Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-02-2011) 02-03-2011, n. 8094

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 25 febbraio 2010, la Corte d’Appello di Lecce – Sezione Distaccata di Taranto confermava la sentenza emessa il 13 maggio 2005 dal Tribunale di Tarante, con la quale P.M. era stato condannato per il reato di cui all’art. 513 bis c.p.p..

Avverso tale decisione il P., tramite il proprio difensore, proponeva ricorso per cassazione.

Con un primo motivo di ricorso deduceva la mancanza assoluta di motivazione in ordine alla ritenuta prescrizione del reato.

Con un secondo motivo di ricorso denunciava la contraddittorietà della motivazione in ordine alla valutazione delle prove testimoniali.

Con un terzo motivo di ricorso rilevava la mancata assunzione di una prova decisiva, in quanto la richiesta di escussione di tre testimoni ai sensi dell’art. 507 c.p.p. era stata rigettata dal giudice di prime cure e, nonostante la specifica doglianza difensiva, la Corte d’Appello non disponeva la rinnovazione del dibattimento.

Con un quarto motivo di ricorso deduceva, infine, la erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art. 133 c.p. ed in relazione alla quantificazione della pena irrogatagli.

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione

Il ricorso è in parte fondato.

Va in primo luogo rilevato che il reato contestato risulta prescritto.

Ciò posto, occorre ricordare che la L. 5 dicembre 2005, n. 251 ha modificato la disciplina della prescrizione prevedendo anche una disciplina transitoria.

In base al disposto dell’art. 10 della legge predetta, la nuova disciplina non è applicabile ai procedimenti ed ai processi in corso alla data di entrata in vigore, se i termini di prescrizione risultano più lunghi di quelli previgenti (comma 2) ma, se per effetto delle nuove disposizioni, i termini di prescrizione risultano più brevi, le stesse si applicano ai procedimenti ed ai processi pendenti alla data di entrata in vigore della legge, ad esclusione dei processi già pendenti in primo grado ove vi sia stata la dichiarazione di apertura del dibattimento, nonchè dei processi già pendenti in grado di appello o avanti la Corte di Cassazione (comma 3).

La Corte Costituzionale ha successivamente dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma predetto, limitatamente alle parole "dei processi già pendenti in primo grado ove vi sia stata la dichiarazione di apertura del dibattimento, nonchè".

In ordine alla individuazione della pendenza in appello, le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che ai fini dell’operatività delle disposizioni transitorie della nuova disciplina della prescrizione, la pronuncia della sentenza di condanna di primo grado determina la pendenza in grado d’appello del procedimento, ostativa all’applicazione retroattiva delle norme più favorevoli (SS. UU. n. 47008,10 dicembre 2009).

Date tali premesse, si osserva che, nella fattispecie, la sentenza di primo grado risulta pronunciata il 13 maggio 2005 quindi antecedentemente all’entrata in vigore della L. 5 dicembre 2005, n. 251 con la conseguenza che, essendo il procedimento pendente in appello in ragione delle disposizioni sopra richiamate, risulta applicabile la disciplina previgente.

Considerando la pena applicabile, previa applicazione delle attenuanti generiche riconosciute dal giudice di prime cure e la sospensione di mesi 5 e giorni 15 (dall’11 aprile 2003 al 26 settembre 2003), il termine massimo risulta spirato il 9 settembre 2009.

Il reato ascritto al ricorrente deve essere dichiarato estinto per prescrizione.

Occorre inoltre rilevare che, poichè il giudice di prime cure si è pronunciato anche in ordine al risarcimento del danno e delle spese sostenute in favore della parte civile, tale statuizione impone, in ossequio al disposto dell’art. 578 c.p.p., di decidere comunque sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili.

Ciò posto, deve rilevarsi come i residui motivi di ricorso siano infondati.

Il secondo motivo, infatti, prospetta solo apparentemente la contraddittorietà della motivazione – la quale, peraltro, appare del tutto coerente ed immune da cedimenti logici – e si risolve, invece, in una richiesta di riesame nel merito della vicenda processuale non consentita in sede di legittimità.

Il terzo motivo di ricorso è altrettanto infondato, in quanto la mancata ammissione di prove sollecitate al giudice ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen. non costituisce un vizio deducibile ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), (Sez. 3^ n. 24259, 24 giugno 2010 ed altre prec. conf).

Il quarto motivo di ricorso, infine, è del tutto generico e non indica specificamente le ragioni per le quali i criteri direttivi indicati dall’art. 133 c.p. sarebbero stati disattesi dal giudice del merito.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso agli effetti delle disposizioni civili.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *