Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 02-02-2011) 02-03-2011, n. 8291

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il Tribunale di Catania, a seguito di giudizio abbreviato, ha affermato la responsabilità di F.C. in ordine al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 e, concesse attenuanti generiche, escluso l’aumento di pena per la recidiva, lo ha condannato, partendo dalla pena base di nove anni di reclusione, alla pena di cinque anni di reclusione e 18.000,00 Euro di multa.

La pronunzia è stata parzialmente riformata dalla Corte d’appello di Catania che ha escluso l’esistenza delle circostanze attenuanti generiche, ha attribuito rilievo alla recidiva ed è comunque pervenuta a confermare la pena inflitta dal primo giudice, partendo dalla pena base di sei anni di reclusione.

La terza Sezione di questa Suprema Corte ha annullato con rinvio la sentenza d’appello avendo ritenuto che l’esclusione delle attenuanti generiche fosse priva di appropriata motivazione e che, inoltre, erroneamente si fosse ritenuta l’obbligatorietà della recidiva di cui all’art. 99 c.p., comma 4.

La Corte d’appello, nuovamente decidendo in sede di rinvio, ha concesso le attenuanti generiche, reputando corretta la valutazione in tal senso compiuta dal Tribunale; e, adeguandosi al principio di diritto enunciato da questa Corte con la richiamata sentenza, ha escluso la rilevanza in concreto della contestata recidiva.

La stessa Corte ha infine ritenuto che la pena di cinque anni di reclusione e 18.000,00 Euro di multa irrogata dal primo giudice fosse appropriata e l’ha quindi confermata.

2. Ricorre per cassazione l’imputato, lamentando violazione di legge e segnatamente dell’art. 597 c.p.p..

Il primo giudice ha determinato la pena base in nove anni di reclusione.

In accoglimento del gravame della difesa, la Corte d’appello l’ha rideterminata in sei anni.

Tale decisivo aspetto del giudizio non è stato oggetto di ulteriore gravame e, dunque, non può essere ulteriormente posto in discussione.

La stessa Corte, decidendo in sede di rinvio a seguito delle pronunzia della Suprema Corte, ha accolto le ulteriori prospettazioni difensive relative alle attenuanti generiche ed all’irrilevanza della recidiva, ma non ne ha tratto le conseguenze in ordine al trattamento sanzionatorio.

Essa, infatti, si è limitata a confermare la prima sentenza, che aveva determinato la sanzione base in nove anni di reclusione, trascurando che tale valutazione era stata superata dalla più favorevole valutazione della prima sentenza d’appello che aveva computato la pena base in sei anni di reclusione; ha omesso di trarre le conseguenze delle più favorevoli valutazioni in tema di generiche e recidiva; ha infine confermato la sanzione già irrogata dal Tribunale senza fornire alcuna concreta motivazione in ordine al quantum della sanzione.

3. Il ricorso è fondato.

E’ sufficiente rammentare brevemente che, in relazione allo sviluppo dinamico del rapporto processuale, il giudicato può avere una formazione non simultanea, ma progressiva, e ciò può accadere sia quando nel processo confluiscono più azioni penali, suscettibili di autonoma decisione, sia quando il procedimento riguarda un solo reato attribuito ad un solo soggetto, perchè anche in quest’ultimo caso la sentenza definitiva può essere la risultante di più decisioni, intervenute attraverso lo sviluppo progressivo dei mezzi di impugnazione.

Tale principio enunciato per la prima volta della Sezioni unite nell’anno 1990 (Sez. Un., 23 novembre 1990, Agnese ed altri, Rv.

186114) è stato confermato dalla giurisprudenza successiva anche a Sezioni unite (Sez. Un. 19 gennaio 2000, Tuzzolino, Rv. 216239; Sez. Un., 26 marzo 1997, Attinà, Rv. 207640; Sez. Un., 19 gennaio 1994, Cenerini ed altri, Rv. 196889; Sez. Un., 11 maggio 1993, Ligresti, Rv. 193419).

Tale giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che la norma di cui all’art. 624 c.p.p. fa riferimento a qualsiasi statuizione avente autonomia giuridico-concettuale e, quindi, non solo alle decisioni che concludono il giudizio in relazione ad un determinato capo d’imputazione, ma anche a quelle che, nell’ambito di una stessa contestazione, individuano aspetti non più suscettibili di riesame.

Anche in relazione a questi ultimi la decisione adottata, benchè non ancora eseguibile, acquista autorità di cosa giudicata, quale che sia l’ampiezza del relativo contenuto.

Alla luce di tale principio generalissimo le Sezioni unite (Sez. Un., 23 novembre 1990, Agnese cit.) hanno pure avuto modo di enunciare che il giudizio di rinvio non si identifica nella pura e semplice rinnovazione del giudizio conclusosi con la sentenza annullata, ma rappresenta una fase a sè stante, caratterizzata dal condizionamento che scaturisce dalla sentenza della Corte di cassazione che lo ha disposto.

Il giudice di rinvio non solo deve uniformarsi alla sentenza della Corte di cassazione per ciò che concerne ogni questione di diritto con essa decisa, ma non può neppure attrarre al suo potere decisorio statuizioni diverse ed autonome rispetto a quelle dovutegli.

I limiti oggettivi del giudizio di rinvio sono conseguenti agli effetti preclusivi propri della intangibilità del giudicato.

Da tali principi emerge che gli unici temi devoluti riguardavano la recidiva e le attenuanti generiche, sulle quali la Corte d’appello si è espressa nei termini, favorevoli all’imputato, che si sono prima indicati. Il Giudice, tuttavia, nel determinare conseguentemente la pena, non si è attenuto al principio sopra sintetizzato afferente alla progressività del giudicato; ed ha indebitamente messo in discussione l’entità della pena base che era stata in precedenza definitivamente fissata in sei anni di reclusione, non essendovi state impugnazioni sul punto.

Partendo dalla nuova pena di nove anni impropriamente determinata, la Corte d’appello ha fissato la pena finale in cinque anni di reclusione e 18.000,00 Euro di multa, corrispondente a quella inflitta dal Tribunale; così violando il principio del divieto di reformatio in peius ed eludendo gli effetti favorevoli derivanti per l’imputato dall’accoglimento dell’appello.

Invero al riguardo questa Suprema Corte ha ripetutamente enunciato anche a Sezioni unite che, nei casi previsti dall’art. 597 c.p.p., comma 4, di accoglimento dell’appello dell’imputato relativo a circostanze o a reati concorrenti, il giudice, oltre che essere vincolato dal generale divieto della "reformatio in peius" posto dal comma 3 del medesimo articolo, ha "in ogni caso" il dovere di diminuire la pena complessivamente irrogata in misura corrispondente all’accoglimento dell’impugnazione.

Nell’occasione la Corte ha pure precisato che il giudice d’appello, in applicazione del principio devolutivo, non può intervenire su elementi di pena relativi a capi o a punti in nessun modo coinvolti nell’impugnazione (Sez. Un. 12/5/1995 Rv. 201034).

Il senso della disciplina è stato ulteriormente chiarito affermando che nel giudizio di appello, il divieto di reformatio in peius della sentenza impugnata dall’imputato non riguarda solo l’entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione, per cui il giudice di appello, anche quando esclude una circostanza aggravante e per l’effetto irroga una sanzione inferiore a quella applicata in precedenza ( art. 597 c.p.p., comma 4), non può fissare la pena base in misura superiore rispetto a quella determinata in primo grado (Sez. un. 27/9/2005 Rv. 232066).

In breve, il senso della detta giurisprudenza è che gli effetti favorevoli derivanti dall’accoglimento dell’impugnazione non possono essere elisi con valutazioni che di fatto impediscono che la pena finale risenta del più favorevole giudizio espresso nella sede impugnatoria (in tal senso ad es. Sez. 5^, 30/9/2009, Rv. 245394).

Conclusivamente la pronunzia impugnata, non essendosi uniformata ai principi di diritto sopra indicati, deve essere annullata con rinvio ai fini della determinazione della pena.

Dai detti principi discende che la pena base di sei anni di reclusione non potrà essere posta in discussione; ed inoltre la finale determinazione della sanzione dovrà risentire delle valutazioni favorevoli all’imputato espresse in tema di attenuanti generiche e di recidiva.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Catania.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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