Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 21-01-2011) 02-03-2011, n. 8361 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 23-6-2005 il Tribunale di Catania, Sezione Distaccata di Bronte, assolveva R.S., R.M. e R.A. dal reato di cui agli artt. 110 e 392 c.p. perchè il fatto non sussiste.

Con sentenza in data 11-6-2008 la Corte di Appello di Catania, in accoglimento dell’appello proposto dalla parte civile S. A. nei confronti di R.S., condannava quest’ultimo al risarcimento dei danni in favore della parte civile, da liquidarsi in separata sede.

Nel motivare tale decisione, il giudice del gravame dava atto che nel corso del procedimento di primo grado era stato accertato che R. S., al fine di attraversare con mezzi meccanici il fondo dello S., aveva tagliato il lucchetto di chiusura del cancello apposto da quest’ultimo, e che tale fatto, ammesso nelle sue dichiarazioni spontanee dal R., era stato arbitrariamente posto in essere con violenza sulle cose, dopo che il giudice civile aveva disconosciuto con sentenza all’imputato il diritto e il possesso della servitù di passaggio con mezzi meccanici sul fondo in questione.

Il R., mediante il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, lamentando la violazione dell’art. 606, lett. a), b) ed e). Il ricorrente evidenzia in primo luogo la singolarità di una decisione che ha condannato l’imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile sulla base di una sentenza che aveva assolto il prevenuto e che non è stata impugnata dalla Procura della Repubblica. Fa presente, inoltre, che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di Appello, la sentenza civile non aveva impedito il passaggio all’imputato nel fondo del R., ma solo il parcheggio in tale spazio. Aggiunge che poichè tale spazio, interamente recintato, è posto dinanzi all’abitazione dell’imputato, dopo l’apposizione e chiusura del cancello da parte dello S. l’imputato era stato costretto a tagliare il lucchetto, non potendo accedere in altro modo alla propria abitazione. Sostiene che la sentenza impugnata costituisce frutto di una totale obliterazione delle emergenze processuali e non ha tenuto conto dei più elementari principi giuridici che, quanto meno, scriminano il fatto contestato al prevenuto.
Motivi della decisione

Il primo ordine di censure mosse dal ricorrente è manifestamente infondato.

A norma dell’art. 576 c.p.p., la parte civile è legittimata a proporre appello avverso la sentenza di assoluzione, ai soli effetti della responsabilità civile; con la conseguenza che tale appello, in mancanza di impugnazione del Pubblico Ministero, non può condurre ad una modifica della decisione penale, sulla quale si è formato il giudicato, ma solo all’affermazione della responsabilità dell’imputato per un fatto previsto dalla legge come reato, che giustifica la condanna alle restituzioni ed al risarcimento del danno.

In tale ipotesi, pertanto, il giudice della impugnazione, dovendo decidere su una domanda civile necessariamente dipendente da un accertamento sul fatto reato, e, dunque, sulla responsabilità dell’autore dell’illecito, può, seppure in via incidentale, statuire in modo difforme sul fatto oggetto della imputazione, ritenendolo ascrivibile al soggetto prosciolto, nel qual caso la res indicando si sdoppia, dando luogo a differenti decisioni, potenzialmente in contrasto tra loro (Cass., Sez. 2, 31-1-2006 n. 5072; sez. 2, 24-10- 2003/16-1-2004 n. 897).

E’ appunto ciò che si e verificato nel caso in esame, nel quale la Corte di Appello, nel ritenere accertata, in punto di fatto, la condotta contestata al R. nel capo d’imputazione, in mancanza di impugnazione del Pubblico Ministero non è intervenuta sulla decisione penale di assoluzione, ormai divenuta irrevocabile, ma si è limitata a pronunciare la condanna dell’imputato al risarcimento dei danni in favore dell’appellante parte civile.

Per il resto, il ricorrente, attraverso la formale denuncia di violazione di legge e di vizi della motivazione, si limita a prospettare una ricostruzione fattuale della vicenda diversa da quella posta a base della decisione impugnata, sollecitando, quindi, una rilettura degli atti ed una rinnovata valutazione delle risultanze processuali, che esorbitano dai limiti del sindacato esercitabile in sede di legittimità. Come è noto, infatti, esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Cass. S.U. 30-4-1997 n. 6402).

Per le ragioni esposte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle Ammende, che si stima equo fissare in Euro 1.000,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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