Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 21-01-2011) 02-03-2011, n. 8360

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 26-10-2006 il Tribunale di Frosinone ha dichiarato B.R. colpevole del reato di concussione continuata ascrittogli in rubrica e, con le attenuanti generiche, lo ha condannato alla pena di anni tre e mesi sei di reclusione.

Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Formia, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha ritenuto l’imputato responsabile della sola concussione in danno di F. C., mandandolo assolto dalle altre condotte ascrittegli perchè il fatto non sussiste, e rideterminando la pena, con le già concesse attenuanti generiche, in anni due e mesi quattro di reclusione, interamente condonati.

Il B., mediante il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, lamentando con un primo motivo l’erronea applicazione dell’art. 317 c.p.. Nel richiamare i principi enunciati in materia dalla giurisprudenza, sostiene che la Corte di Appello ha erroneamente ravvisato nella condotta tenuta dell’imputato una continua pressione e induzione operata nei confronti del F..

Da parte del prevenuto non vi è stato, infatti, alcun atteggiamento diretto ad indurre il privato a sottostare passivamente alle sue iniziative; tant’è che il F. non ha mai rinunciato alle sue spettanze, richiedendo più volte il pagamento di quanto dovuto dal B. e dichiarandosi, al cospetto del Tribunale, tuttora creditore del pubblico ufficiale.

Con un secondo motivo il ricorrente deduce la mancata correlazione tra l’ipotesi accusatoria e la sentenza di condanna, data la divergenza tra i fatti contestati e quelli emersi in relazione all’effettiva condotta dell’imputato, inidonea ad integrare il reato di cui all’art. 317 c.p..

Con un terzo motivo, infine, il B. si duole della mancata assunzione di una prova decisiva, in relazione alla mancata audizione della teste D.S.A., moglie del F., la quale avrebbe potuto fornire un contributo determinante ai fini della ricostruzione dei fatti, essendo l’unica persona presente nel luogo in cui, secondo l’accusa, sarebbe stata attuata e reiterata la presunta condotta illecita dell’imputato.
Motivi della decisione

1) Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

La Corte di Appello ha basato il proprio convincimento circa la penale responsabilità del B. sulla deposizione del F., il quale ha riferito che l’imputato si presentava nel suo negozio, prelevava merce e andava via senza pagare, e che gli doveva circa tre milioni di lire; che il fatto andò avanti con frequenza e che alla fine egli non ne poteva più; che il B. faceva pesare la divisa che indossava, nel senso che lo invitava a stare attento alle licenze e a fare entrare nel circolo solo i tesserati, faceva riferimenti al rispetto dell’orario di chiusura o al libretto sanitario, terminando però sempre il discorso dicendo che non doveva preoccuparsi, in quanto il F. avrebbe potuto rivolgersi a lui in ogni momento; che, pertanto, egli capiva che era meglio non insistere per il pagamento della merce, perchè si rendeva conto che il prevenuto avrebbe potuto fargli chiudere l’esercizio.

Alla stregua di simili emergenze, il giudice del gravame ha legittimamente ritenuto integrati gli estremi del reato di concussione per induzione, rilevando che la condotta del B., per la sua qualità di comandante della locale Stazione dei Carabinieri (e, dunque, deputato a vigilare sul rispetto della normativa che interessava gli esercenti commerciali) e per il contesto (rifornimento di merce senza pagare) in cui le sue espressioni venivano pronunciate, era idonea ad incutere timore nel commerciante, il quale si vedeva costretto a soggiacere ai comportamenti del prevenuto per non avere problemi nello svolgimento della sua attività. Il B., in altri termini, approfittando della sua qualifica, otteneva di non pagare quanto dovuto, non mediante esplicite minacce nei confronti del F., ma con una condotta che induce va in quest’ultimo uno stato di soggezione psicologica, al fine di evitare un pregiudizio maggiore.

Nella specie, è stata fatta corretta applicazione del principio enunciato dalla giurisprudenza, secondo cui il metus publicae potestatis, necessario ai fini della configurabilità del reato di concussione, è ravvisabile, oltre che nei casi in cui la volontà del privato sia coartata dalla esplicita minaccia di un danno ovvero sia fuorviata dall’inganno, anche quando sia repressa dalla posizione di preminenza del pubblico ufficiale, il quale, pure senza avanzare esplicite ed aperte pretese, di fatto agisca in modo da ingenerare nel soggetto privato la fondata convinzione di dovere sottostare alle decisioni del pubblico ufficiale, per evitare il pericolo di subire un pregiudizio, inducendolo cosi a dare o promettere denaro o altra utilità (Cass, Sez, 6, 22-3-2000 n. 5548). E’ appunto quanto si è verificato nel caso in esame, in cui, secondo quanto accertato dai giudici di merito, l’imputato, approfittando della sua qualifica e dei poteri ad essa connessi, con una condotta tesa ad ingenerare nel destinatario uno status di sudditanza psicologica, otteneva ingiusti benefici, consistenti nell’omesso pagamento di quanto dovuto per la fruizione di forniture.

Non rileva, in contrario, il fatto che il F. possa aver beneficiato di qualche vantaggio in ragione dell’illecita condotta del B.. Ai fini dell’integrazione del delitto di cui all’art. 317 c.p., infatti, ciò che conta è che la volontà del privato non si sia formata liberamente a cagione, diretta o indiretta, della condotta del pubblico ufficiale, che abbia abusato della sua funzione per ottenere un indebito vantaggio. Il delitto in esame, ai contrario, non è escluso dalla circostanza che la vittima versi in una situazione illecita e possa trarre un qualche vantaggio economico dell’accettazione della pretesa del pubblico ufficiale (Cass. Sez. 6, 2-10-2010 n. 41360; Sez. 6, 5-11-2003 n. 46805; Sez. 6, 4-6-2001 n. 35172; Sez. 6, 26-4-2001 n. 29113).

Ciò posto, si osserva che il ricorrente, nel negare che vi sia stata, nella specie, una coartazione per induzione della volontà del privato, propone, al di là della formale denuncia di violazione di legge, sostanziali censure di merito, che mirano ad ottenere una valutazione della vicenda alternativa rispetto a quella operata dai giudici di merito. Ma, come è noto, esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di procedere ad una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Cass. S.U. 30-4-1997 n. 6402).

2) Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Nessuna immutazione, infatti, è ravvisabile tra il fatto contestato e quello ritenuto in sentenza, avendo la Corte di Appello accertato che, cosi come ipotizzato dall’accusa, il B., approfittando dello stato di sudditanza psicologica che incuteva nei confronti del F. per la sua qualifica di comandante della locale Stazione dei Carabinieri, ha usufruito di indebite forniture di merce, omettendo di corrispondere il prezzo dovuto.

3) Il terzo motivo è inammissibile, non potendo l’imputato dolersi della mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello ai fini dell’audizione della teste D.S.A., trattandosi di richiesta che non risulta essere stata formulata con i motivi di appello e sulla quale, pertanto, il giudice del gravame non era tenuto a pronunciare.

4) Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle Ammende, che si stima equo fissare in Euro 1.000,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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