Cass. civ. Sez. I, Sent., 27-04-2011, n. 9387 Effetti del fallimento per i creditori

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con sentenza del 5 ottobre 2001 il Tribunale di Lecce accolse l’azione revocatoria fallimentare proposta dal curatore del fallimento della I.C.e.F. S.r.l. nei confronti della Banca 121 S.p.a.

(già Banca del Salento S.p.a.), dichiarando inefficaci le rimesse effettuate sul conto corrente bancario intestato alla società fallita dal 2 aprile 1990, data di conoscenza dello stato d’insolvenza da parte della convenuta, e condannando quest’ultima al pagamento della somma di L. 313.168.938, oltre interessi legali dalla data della dichiarazione di fallimento.

2. – La sentenza fu appellata dalla Banca 121, che nel corso del giudizio venne incorporata dalla Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a., con la conseguente interruzione del processo, che fu riassunto dalla società incorporante.

2.1.- Con sentenza del 1 febbraio 2005, la Corte d’Appello di Lecce ha accolto parzialmente l’impugnazione, riducendo l’importo dovuto a L. 294.441.582.

Premesso che le somme accreditate sul conto si riferivano a fatture emesse dalla società fallita a carico di clienti, delle quali la banca aveva anticipato l’importo non già contro la cessione dei relativi crediti, bensì contro il conferimento di un mandato irrevocabile all’incasso, la Corte ha escluso la configurabilità di operazioni di sconto in senso proprio, affermando che, ai fini della revocatoria, non occorreva fare riferimento alla data di consegna delle fatture, ma a quella in cui le stesse erano state saldate dai debitori.

Ha pertanto confermato la decisione di primo grado, nella parte in cui aveva ritenuto revocabili tutte le rimesse affluite sul conto con decorrenza da 2 aprile 1990, riformandola invece nella parte in cui aveva incluso nell’importo dovuto un accredito corrispondente ad un’operazione di mera rettifica di valuta.

3. – Avverso la predetta sentenza propone ricorso per cassazione la Banca Monte dei Paschi di Siena, per un unico, articolato motivo, illustrato anche con memoria. Resiste con controricorso il fallimento.
Motivi della decisione

1. – Con l’unico motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 67 degli arti. 1823, 1858 e 2697 cod. civ. e degli artt. 112 e 345 cod. proc. civ., nonchè l’erroneità e la contraddittorietà della motivazione su un punto decisivo della controversia.

Sostiene infatti che la Corte d’Appello ha accolto una domanda diversa da quella proposta, in quanto ha ritenuto revocabili i pagamenti indipendentemente dal negozio che a monte li legittimava, affermandone la natura solutoria sull’erroneo presupposto dell’avvenuto rilascio di un mandato irrevocabile all’incasso, non risultante da alcun documento e neppure dedotto dalla curatela.

Nell’escludere che l’anticipo degl’importi delle fatture comportasse il trasferimento dei relativi crediti, essa non ha tenuto conto che il curatore aveva chiesto la revoca delle operazioni di sconto ai sensi dell’art. 67, comma 2, e non già quella del mandato ai sensi del comma 1, n. 2, della medesima disposizione, omettendo altresì di considerare che il negozio giustificativo dell’anticipo comporta una cessione del credito, che in tanto è revocabile in quanto si collochi nell’ambito del c.d. periodo sospetto.

Nella specie, invece, come accertato dal c.t.u., le operazioni di sconto erano intervenute dal 5 gennaio al 9 marzo 1990, e quindi anteriormente alla data indicata come dies a quo del periodo sospetto, senza che fosse stata fornita la prova della scientia decoctionis della banca.

1.1. – Le censure sono infondate.

Nel l’affermare la revocabilità delle rimesse affluite sul conto corrente della società fallita, la Corte d’Appello ha negato ogni rilievo alla circostanza, fatta valere dalla ricorrente, che le rimesse derivassero dall’incasso di fatture scontate alla società fallita in epoca anteriore al periodo sospetto, rilevando, sulla base della documentazione acquisita agli atti, che all’anticipazione dell’importo delle fatture da parte della Banca aveva fatto riscontro non già la cessione dei relativi crediti, a garanzia del finanziamento ricevuto, ma solo il conferimento di un mandato irrevocabile all’incasso.

Tale affermazione appare conforme ai principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento alla revocatoria fallimentare dei pagamenti ricevuti da una banca a fronte dell’anticipazione in favore del fallito dell’importo di crediti da quest’ultimo vantati nei confronti di terzi. Al riguardo, infatti, questa Corte ha distinto l’ipotesi in cui all’anticipazione si accompagni il conferimento di un mandato irrevocabile all’incasso del credito da quella in cui essa abbia luogo quale corrispettivo della cessione del credito, individuando l’elemento caratteristico di quest’ultima fattispecie nel trasferimento immediato della titolarità del credito, in virtù del quale il cessionario diviene l’unico soggetto legittimato a pretendere il pagamento dal debitore ceduto, laddove nel mandato all’incasso viene conferita al mandatario solo la legittimazione alla riscossione del credito, del quale resta titolare il mandante. Sebbene entrambe le figure possano essere utilizzate in funzione di garanzia, nel mandato irrevocabile all’incasso tale funzione si realizza in forma meramente empirica e di fatto, come conseguenza della disponibilità del credito verso il terzo e della prevista possibilità che, al momento dell’incasso, il mandatario trattenga le somme riscosse, soddisfacendo così il suo credito, sicchè gli atti solutori sono autonomamente revocabili, ai sensi della L. Fall., art. 67, indipendentemente dalla revocabilità del mandato (cfr. Cass., Sez. 1^, 5 aprile 2005. n. 7074; 30 gennaio 2003, n. 1391).

1.2. – Proprio in conseguenza di tale autonomia la Corte territoriale ha ritenuto che, per accertare l’avvenuta effettuazione nel periodo sospetto, dovesse tenersi conto non già della data in cui, attraverso la consegna delle fatture alla Banca, aveva avuto luogo il conferimento del mandato all’incasso, ma di quella posteriore in cui le fatture erano state saldate dai debitori, con conseguente accredito del relativo importo sul conto corrente intestato alla società fallita. Può quindi escludersi anche che la Corte d’Appello sia incorsa in ultrapetizione, non avendo essa inteso dichiarare l’inefficacia de mandato all’incasso, ma solo quella degli atti solutori, che, come si evince dall’esame degli atti, ai quali questa Corte può legittimamente accedere avuto riguardo alla natura processuale del vizio denunciato, costituivano lo specifico oggetto dell’azione revocatoria proposta dal curatore del fallimento ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 2. 1.3. – Quanto alla qualificazione del negozio giustificativo dell’anticipazione, essa, presupponendo la ricerca della comune volontà delle parti, costituisce attività riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale, nonchè per vizio di motivazione, ove la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione.

La denuncia di tale vizio avrebbe peraltro richiesto, in ossequio al principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, la trascrizione della regolamentazione pattizia del rapporto o quanto meno della parte in contestazione, con la precisa indicazione delle lacune argomentative, ovvero degli clementi di giudizio ai quali sarebbe stato attribuito un significato estraneo al senso comune, o ancora dei punti inficiati da assoluta incompatibilità razionale degli argomenti (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. 2^, 3 settembre 2010, n. 19044; Cass., Sez. 1^, 22 febbraio 2007, n. 4178).

La ricorrente si è invece limitata ad insistere nella tesi della necessaria qualificazione della fattispecie come cessione di credito, escludendo in linea di principio la possibilità di qualsiasi interpretazione alternativa, ed astenendosi quindi da qualsiasi indicazione in ordine al contenuto concretamente conferito dalle parti al programma negoziale, con la conseguente inammissibilità della censura, per difetto di autosufficienza.

2. – Il ricorso va pertanto rigettalo, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso, e condanna la Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a. al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in complessivi Euro 3.200,00, ivi compresi Euro 3.000,00 per onorario ed Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *