Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 20-01-2011) 02-03-2011, n. 8395 Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Propone ricorso per cassazione G.P. avverso la sentenza della Corte di appello di Milano in data 23 marzo 2009 con la quale, a parte una riduzione della entità della pena inflitta in primo grado, è stata confermata la sentenza del Tribunale (emessa il 12 febbraio 2002). Con tale ultimo provvedimento era stata affermata la responsabilità del G. in relazione alla fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale configurata a suo carico quale amministratore di fatto della srl Biagini dichiarata fallita il (OMISSIS).

Deduce:

1) la violazione dell’art. 159 c.p.p..

Già nei motivi di appello era stata dedotta la irritualità dei due decreti di irreperibilità emessi l’uno dal PM nel 1999 e l’altro dal Tribunale, nel settembre 2002, sul solo presupposto dell’essere risultato, il G., irreperibile nel luogo di residenza ((OMISSIS)). Erano cioè mancate le ricerche presso il luogo della attività lavorativa.

Il giudice dell’appello aveva affermato come risultasse noto che nel pregresso luogo della attività lavorativa il prevenuto non fosse più reperibile al pari che nel luogo di residenza ma, prosegue il difensore, il codice di rito non consente di sostituire le doverose ricerche con dati notori. E ciò sarebbe dimostrato da una norma come l’art. 160 c.p.p., comma 4 che impone la esecuzione di nuovo ricerche al fine della emissione del nuovo decreto di irreperibilità.

Il mancato rispetto dell’art. 159 c.p.p. da luogo ad una nullità assoluta e insanabile perchè attinente alla regolare citazione a giudizio dell’imputato e comporta, nella specie, l’annullamento senza rinvio della sentenza di primo e secondo grado con restituzione degli atti al PM;

2) ancora la violazione dell’art. 160 c.p.p..

I decreti di irreperibilità emessi nel processo in esame erano due:

l’uno proveniente dall’Ufficio del PM e finalizzato alla notifica dell’invito a comparire ex art. 375 c.p.p.; il secondo emesso dal Tribunale nell’ottobre 2002 per la notifica dell’estratto contumaciale della sentenza di primo grado.

Il primo era stato ritenuto efficace dunque anche ai fini della citazione a giudizio per il procedimento di primo grado ma in violazione dell’art. 160 c.p.p., comma 1 che prevede che il decreto di irreperibilità emesso dal PM nel corso delle indagini preliminari cessa di avere efficacia con la pronuncia che definisce la udienza preliminare (Cass. n. 12195 del 2005; n. 29226 del 2005, attinenti peraltro alla citazione diretta a giudizio disposta dal PM ex art. 552 c.p.p.). Anche nel caso descritto si era prodotta una nullità assoluta e insanabile;

3) il vizio di motivazione.

Alla richiesta della difesa di procedere alla rinnovazione della istruttoria dibattimentale, la Corte aveva risposto negativamente avvalendosi dei poteri discrezionali previsti dall’art. 603 c.p.p., commi 1, 2 e 3. Tuttavia nella specie, la rinnovazione corrispondeva ad un diritto dell’imputato e ad un dovere del giudice del merito, ai sensi dell’art 603, comma 4 in ragione della pregressa dichiarazione di contumacia dovuta alla mancata incolpevole conoscenza della citazione (sent. n. 37456 del 2005). E su tale ultimo punto la difesa ricorda come l’imputato, proprio grazie alla sua incolpevole ignoranza del processo, aveva fruito di un provvedimento di restituzione nel termine per appellare, concesso dalla Corte di appello di Milano nel dicembre 2002;

4) la mancata assunzione di prova decisiva.

La difesa, per dimostrare la estraneità del G. ai fatti di causa, aveva chiesto di assumere gli esponenti della società proprietaria della società fallita nell’epoca precedente il fallimento: cioè tale S., amministratore della Teorema srl che aveva detenuto il pacchetto di maggioranza della Biagini srl e tale C. che si era reso acquirente delle dette quote di partecipazione; inoltre il curatore della soc. Teorema, (OMISSIS).

La cessione delle quote era avvenuta nel giugno 1993, quando l’imputato aveva anche dismesso la carica di amministratore. Ne consegue anche che il nuovo amministratore della Biagini non potè essere nominato quale testa di legno, dal G., diversamente da quanto sostenuto in sentenza. Inoltre potevano essere assunti i dipendenti della società che teneva la contabilità di tutte le società del gruppo Gatti i quali avrebbero potuto deporre sul comportamento tenuto dal ricorrente, del tutto correttamente fino alla cessazione dalla carica;

5) il vizio di motivazione sul diniego delle attenuanti generiche .

Il ricorso è fondato.

Con il primo motivo la parte sembra lamentare la illegittimità in sè del decreto di irreperibilità che afferma essere stato emesso nel 1999 dal Pm al fine di realizzare la notifica dell’invito rivolto all’indagato a presentarsi, secondo il disposto dell’art. 375 c.p.p..

La doglianza, così intesa, non può essere apprezzata posto che, se anche di nullità si fosse trattato, questa avrebbe avuto al più carattere generale e intermedio ed essendosi prodotta, secondo l’assunto del ricorrente, nella fase delle indagini preliminari, non poteva più essere dedotta con riferimento a quella fase, non essendolo stata prima della deliberazione della sentenza di primo grado, secondo il disposto dell’art. 180 c.p.p..

Del pari non è fondato l’ulteriore profilo della nullità eccepita in relazione al decreto di irreperibilità del 2002.

Si tratterebbe, infatti, sempre secondo l’assunto del ricorrente, di decreto di irreperibilità adottato per la notifica dell’estratto contumaciale della sentenza di primo grado. Ma, come la giurisprudenza insegna, persino la "mancata" emissione di decreto di irreperibilità dell’imputato ai fini della notifica dell’estratto della sentenza contumaciale determina solo una nullità generale a regime intermedio dell’atto, da ritenersi sanata laddove l’imputato abbia, impugnando la sentenza di merito, censurato il contenuto della stessa (Rv. 238606; Massime precedenti Conformi: N. 429 del 1993 Rv.

193560, N. 3264 del 1993 Rv. 196035).

E nella specie non v’è dubbio che la sentenza di primo grado sia stata appellata con contestazioni anche sul merito.

Piuttosto, la questione relativa alla corretta emissione del decreto di irreperibilità rileva soltanto ai fini della citazione per il giudizio di primo grado, che è questione sollevata nel secondo motivo di ricorso.

Infatti la legittima emissione del decreto di irreperibilità è condizione in assenza del quale si produce la nullità assoluta delle conseguenti notificazioni, ove attinenti alla citazione dell’imputato (vedi Sez. 3, Sentenza n. 9244 del 21/01/2010 Ud. (dep. 09/03/2010) Rv. 246234; massime precedenti Conformi: N. 2965 del 1996 Rv. 206033, N. 10405 del 1998 Rv. 211839, N. 12016 del 1998 Rv. 211765, N. 10803 del 1999 Rv. 214357, N. 5479 del 2006 Rv. 235098). Si è anche affermato, sul tema, che la rigorosa procedura prevista per la dichiarazione d’irreperibilità dell’imputato esige che le nuove ricerche vengano eseguite cumulativamente e non alternativamente o parzialmente nei luoghi indicati dall’art. 159 cod. proc. pen., sicchè, nell’ipotesi di svolgimento incompleto delle ricerche medesime, l’emissione del decreto di irreperibilità e le conseguenti notificazioni eseguite mediante consegna al difensore – ove attengano alla "vocatio in ius" – integrano nullità assolute, insanabili e rilevabili in ogni stato e grado del procedimento (Sez. 1, Sentenza n. 3488 del 21/09/1993 Cc. (dep. 16/10/1993 ) Rv. 195304).

Si tratterebbe infatti, di un caso di omessa citazione all’imputato con correlata ignoranza del processo da parte di costui – che peraltro la afferma – , sicchè la notifica eseguita comunque all’imputato presso il difensore non sarebbe automaticamente produttiva di una nullità solo di ordine generale secondo lo schema previsto, per ipotesi diverse, dalla sentenza delle SSUU Palumbo del 2004.

D’altra parte il decreto di irreperibilità emesso dal PM nel corso delle indagini preliminari aveva cessato di avere efficacia con la pronuncia che aveva definito l’udienza preliminare o, comunque, con la chiusura delle indagini preliminari ( art. 160 c.p.p., comma 1) e c’era la necessità di rinnovarlo.

Come osservato in plurime occasioni dalla giurisprudenza di questa Corte, infatti, (v. tra le molte, Rv. 226681), in tema di notificazione all’imputato, l’irreperibilità non ha valore assoluto ma relativo, in quanto rappresenta una situazione processuale che si verifica tutte le volte in cui eseguite le ricerche imposte dall’art. 159 cod. proc. pen., l’autorità giudiziaria non sia pervenuta all’individuazione della residenza, del domicilio, del luogo di temporanea dimora o di abituale attività lavorativa del soggetto. Ne consegue che, ai fini della validità del decreto d’irreperibilità e del conseguente giudizio contumaciale, rileva soltanto la completezza delle ricerche con riferimento agli elementi risultanti dagli atti al momento in cui vengono eseguite.

La Corte d’appello, sul punto, si è limitata a motivare sulla assunta completezza delle indagini prodromiche alla irreperibilità dichiarata col decreto emesso durante le indagini preliminari (e cioè nel 1999, v. pag. 4 sent.) e col decreto successivo alla sentenza di primo grado (e cioè nel 2002, ancora pag. 4 sent.) ma non ha rilevato il vizio che, con carattere di assolutezza, ha inficiato la regolarità della vocatio in iudicium relativamente al primo grado del processo.e, conseguentemente, tutti gli atti successivi, dai primi dipendenti.
P.Q.M.

Annulla le sentenze di primo e secondo grado con rinvio al Tribunale di Milano per nuovo giudizio.

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