Cass. civ. Sez. I, Sent., 27-04-2011, n. 9375 Ricorso

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Svolgimento del processo

1 – Con sentenza depositata in data 19 luglio 2005 il Tribunale di Firenze, che con precedente decisione aveva già dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto da F.M. e da C.D., accoglieva la domanda di assegno da costei avanzata, determinandone l’ammontare in Euro 200,00.

La Corte di appello di Firenze, pronunciando sull’appello proposto dal F., il quale aveva dedotto l’insussistenza dei presupposti per l’attribuzione dell’assegno, rilevato che il tribunale aveva fondato la propria decisione sulla constatata disparità reddituale fra le parti (l’appellante percepiva uno stipendio mensile di Euro 1.400,00 circa, la C. percepiva ogni mese, a titolo di pensione, 776,00 Euro circa), con la sentenza indicata in epigrafe osservava, da un lato, che il deterioramento delle condizioni di vita di entrambi i coniugi costituisce una normale conseguenza della cessazione della convivenza, e, dall’altro, che la mera disparità reddituale non può essere posta a fondamento dell’attribuzione dell’assegno. D’altra parte, l’appellata non aveva dimostrato di trovarsi nell’impossibilità di procurarsi ulteriori redditi.

Veniva modificato il regime delle spese processuali, nel senso della condanna della C. – previa compensazione per un terzo – al pagamento della differenza.

Per la cassazione di tale decisione propone ricorso C. D., deducendo due motivi, illustrati con memoria.

Resiste con controricorso il F..
Motivi della decisione

2. – Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 878 del 1990, art. 5, come successivamente modificata, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, formulando, al riguardo, i seguenti quesiti di diritto:

a) Quali sono gli elementi che integrano il diritto all’assegno divorzile? b) Quali sono i fatti che determinano l’adeguatezza dei mezzi economici a disposizione del richiedente l’assegno divorzile? c) Come deve essere considerato il tenore di vita analogo e comparato a quello goduto in costanza di matrimonio o che poteva legittimamente e ragionevolmente fondarsi sulle aspettative maturate nel corso del matrimonio? d) Quando – se al momento del divorzio o meno – devono essere fissate e considerate le valutazioni in ordine all’adeguatezza o meno dei mezzi economici? e) Quali sono gli elementi che devono essere considerati e valutati ai fini di una corretta quantificazione dell’assegno divorzile presupposto il diritto alla sua percezione? f) La disparità reddituale al momento del divorzio è un elemento da valutarsi al fine di accertare l’adeguatezza o meno dei redditi del richiedente l’assegno divorzile? g) La percezione della pensione da parte del richiedente l’assegno divorzile è elemento che può escludere il diritto all’assegno divorzile? h) il richiedente l’assegno divorzile che sia pensionato deve dare la prova di trovarsi nell’oggettiva impossibilità di procurarsi ulteriori redditi? i) Il pensionato può essere considerato come soggetto che per l’ordinamento non è più in grado di procurarsi ulteriori redditi? 1) La prova in ordine alla potenzialità economica di procurarsi altro reddito da parte del pensionato spetta o meno a chi l’assume in quanto l’ordinamento presume che da tale status deriti un’impossibilità in ordine all’attività abitualmente svolta? 2.1 – Con il secondo motivo si deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione, all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Viene dedotto, in particolare, che la corte territoriale non avrebbe adeguatamente considerato la pur sussistente disparità reddituale, valutando in termini contraddittori la percezione, da parte della ricorrente, di trattamento pensionistico.

2.2 – Il ricorso è inammissibile.

Debbono, infatti, trovare applicazione, per essere stata impugnata una sentenza depositata in data 18 settembre 2006, le disposizioni del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (in vigore dal 2.3.2006 sino al 4.7.2009), con particolare riferimento all’art. 6, che ha introdotto l’art. 366 bis nel codice di procedura civile. Alla stregua di tali disposizioni – la cui peculiarità rispetto alla già esistente prescrizione della indicazione nei motivi di ricorso della violazione denunciata consiste nella imposizione di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione stessa, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto al fine del miglior esercizio della funzione nomofilattica – l’illustrazione dei motivi di ricorso, nei casi di cui all’art. 360, comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto che, riassunti gli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito e indicata sinteticamente la regola di diritto applicata da quel giudice, enunci la diversa regola di diritto che ad avviso del ricorrente si sarebbe dovuta applicare nel caso di specie, in termini tali per cui dalla risposta che ad esso si dia discenda in modo univoco l’accoglimento o il rigetto del gravame. Analogamente, nei casi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illustrazione del motivo deve contenere (cfr. ex multis:

Cass., S.U., n. 20603/2007; Cass. n. 16002/2007; Cass., n. 8897/2008) un momento di sintesi – omologo del quesito di diritto – che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità. 2.3 – Tanto premesso, deve porsi in evidenza come i quesiti relativi al primo motivo contengano la prospettazione di mere questioni giuridiche, senza alcun riferimento alla fattispecie concreta oggetto della controversia, con la richiesta di verificare se vi sia stata violazione della norma indicata (cfr., in termini, Cass., Sez. Un., 24 marzo 2009, n. 7032; Cass., 17 luglio 2008, n. 19769). Non si tratta, a ben vedere, di sanzionare la frammentazione del quesito in più articolazioni, a volta ritenuta necessaria, e comunque ammissibile (Cass., 29 gennaio 2008, n. 1906; Cass., 29 febbraio 2008, n. 5733), per meglio prospettare le questioni sottoposte all’esame di questa Corte, quanto di constatare come nel caso di specie la pluralità delle questioni, al di là della loro sovrabbondanza, rimane confinata nell’astrattezza, non essendo possibile ravvisare, anche all’esito di una complessiva considerazione, l’enunciazione degli elementi di fatto che caratterizzano la fattispecie e la regola di diritto applicata dal giudice del merito (Cass., Sez. Un., 14 febbraio 2008, n. 3519).

Giova ribadire, per altro, come non possa tenersi conto di quanto enunciato nel motivo di ricorso, avendo questa Corte (Cass., Sez. Un., 26 marzo 2007, n. 7258) precisato che un’interpretazione in tal senso della norma si risolverebbe nella sua abrogazione tacita.

2.4 – Quanto al secondo motivo, con il quale viene denunciata l’insufficienza della motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c. n. 5, l’inammissibilità deriva dalla mancanza nella dedotta censura, di quel momento di sintesi (omologo al quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti in maniera da non generare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass., Sez. Un., 1 ottobre 2007, n. 20603).

3. – La declaratoria di inammissibilità comporta la condanna della ricorrente al pagamento delle spese relative al presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controparte, delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.

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