Cass. civ. Sez. II, Sent., 28-04-2011, n. 9474 Risoluzione del contratto per inadempimento

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Svolgimento del processo

M.S., nella qualità di titolare della ditta Ancona Pubblicità, con atto di citazione del 22.4/14.5.94 evocava in giudizio avanti al tribunale di Latina, D.M.F. deducendo di aver con lei stipulato un contratto avente ad oggetto l’attività di organizzazione per conto della medesima, di una vendita promozionale quale saldo di fine stagione, per il pattuito corrispettivo di L. 16 milioni, e che la ditta Da Mauren in data 2.2.93 aveva preannunciato di rinunciare al detto contratto per asserita inadempienza di esso attore, i cui dipendenti non si erano presentati il 31.1.93 ai fini dell’occorrente attività prodromica alla preparazione della vendita in parola; chiedeva pertanto la condanna della convenuta al pagamento del compenso convenuto, oltre interessi e spese. Resisteva la D.M., opponendo la non corrispondenza della firma apposta in calce al contratto a quella del titolare e successivamente la mancata esecuzione dell’attività di preparazione ed organizzazione della vendita nei sei giorni decorrenti dal 31.1.93, giorno nel quale inutilmente erano stati attesi i dipendenti del M..

Il tribunale di Latina con sentenza in data 9.4.2001, in accoglimento della domanda dell’attore, condannava la convenuta al pagamento della somma richiesta con gli interessi e le spese, ritenendo non provata l’inadempienza attribuita all’attore dalla D.M. in ordine alla data d’inizio dell’attività preparatoria della vendita promozionale, stante alla non essenzialità del termine previsto in contratto.

Avverso la sentenza proponeva appello la D.M. rilevando che il termine fissato per l’inizio della vendita doveva ritenersi essenziale proprio perchè si trattava di vendita promozionale.

L’adita Corte d’Appello di Roma con sentenza n. 3327/04 depos. in data 15.7.04, accoglieva la tesi dell’appellante e, ritenuto la essenzialità del termine di adempimento con la conseguente legittimità della disdetta del contratto stesso, rigettava la domanda proposta dal M. che condannava al pagamento delle spese del doppio grado.

Avverso la predetta pronuncia, ricorre per cassazione il M. sulla base di 4 mezzi, illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c.;

l’intimata resiste con controricorso.
Motivi della decisione

Con il primo motivo del ricorso l’esponente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 167 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. Osserva che l’iniziale tesi difensiva della convenuta era solo quella della propria carenza di legittimazione passiva in quanto il contratto con il M. non sarebbe stato firmato da lei ma dal proprio marito; tale eccezione doveva ritenersi incompatibile con l’eccezione d’inadempimento successivamente formulata, sulla quale non sarebbe stato mai accettato il contraddittorio.

L’esponente ha poi osservato che La Corte d’appello aveva erroneamente ritenuto che vi era stata un’implicita accettazione del contraddittorio sulle ulteriori eccezioni della convenuta (sulla contestata inadempienza del M.) in quanto questi non aveva fatto valere l’eventuale preclusione, ciò che però non era esatto avendo egli puntualmente contestato le nuove eccezioni.

Con il 2 motivo del ricorso l’esponente denunzia la violazione e falsa applicazione degli stessi artt. 112 e 345 c.p.c. sotto altro profilo. L’eccezione d’inadempimento non era stata mai spiegata dalla convenuta, essendo stata proposta solo con la conclusionale del primo grado di giudizio. Nell’atto d’appello la medesima solleva invece la diversa eccezione dello spirar del termine essenziale quale causa di risoluzione di diritto dei contratto, eccezione questa da dichiararsi inammissibile stante la sua novità.

Entrambe le doglianze – congiuntamente esaminate essendo connesse – non hanno giuridico pregio , tenuto conto che la causa è stata introdotta prima del 24.9.95 e l’eccezione nuova poteva farsi anche in appello Si rileva a questo riguardo che la modificazione apportata alla novella 26 novembre 1990, n. 353, art. 90 dal D.L. 9 agosto 1995, n. 347, art. 9 che, con disposizione di diritto transitorio, ha definitivamente sottratto all’operatività della novella stessa i procedimenti pendenti alla data del 30.4.95, prevedendo per essi la persistente applicabilità del vecchio rito, va, infatti, intesa nel senso che debbano considerarsi pendenti tutti i procedimenti, introdotti sino al 29.4.95, in qualunque fase e grado essi si trovassero a quella data; pertanto, al presente giudizio, introdotto con citazione 20.1.90, non poteva trovare applicazione l’art. 345 c.p.c. nel testo modificato con la detta L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 52. A norma, poi, dell’art. 345 c.p.c. nella formulazione antecedente a quello introdotto con il menzionato art. 52, applicabile per quanto sopra nel presente giudizio, la proponibilità d’eccezioni nuove in appello era sempre consentita all’appellante, anche nel caso in cui venisse ampliato il thema decidendum fissato dall’atto introduttivo, semprechè le eccezioni formulate nell’atto stesso fossero dirette, come nella specie, all’esclusivo fine della reiezione della domanda avversaria; nè il silenzio o l’inerzia mantenuti in primo grado dalla parte interessata potevano essere interpretati quali comportamenti obiettivamente valutabili come rinuncia alla volontà d’avvalersi delle eccezioni, la cui proponibilità restava, dunque, sempre consentita in grado d’appello.

Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 1362 c.c. nonchè l’illogicità della motivazione. Sostiene la Corte che le parti avevano pattuito la data d’inizio della svendita per il 6.2. perchè incominciando invece il 13.2 non vi sarebbero state le 4 settimane pattuite, visto che le svendite si dovevano tenere dal 7 gennaio al 7 marzo. Invece la questione era diversa, perchè nel contratto in realtà non era stato previsto che le vendite dovessero durare n. 4 settimane. La doglianza è inammissibile difettando di autosufficienza per omessa riproduzione integrale del contratto e per prospettazione soggettiva a fronte di motivazione adeguatamente argomentata con riferimento alla normativa in tema vendite a saldo.

Con il 4 motivo infine si deduce la violazione degli artt. 1457, 1460, 2697 c.c., della L. n. 80 del 1980, artt. 7 e 8 in rel. L. n. 130 del 1991, artt. 1 e 2 per difetto di prova dei presupposti oggettivi d’applicabilità normativa invocata dall’appellante (citata dalla Corte d’Appello), nonchè l’illogicità della motivazione.

Secondo l’esponente, anche ammesso che la vendita avrebbe dovuto iniziare il 6 febbraio, tale termine non poteva ritenersi essenziale;

la convenuta poi avrebbe dovuto produrre in giudizio la licenza merceologica per verificare se la merce da vendere fosse effettivamente compresa nella tabella merceologica 9^, altrimenti la vendita poteva svolgersi in qualsiasi periodo dell’anno.

Il motivo è inammissibile per novità della questione,non sollevata in precedenza.

In conclusione il ricorso dev’essere rigettato; le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.

rigetta il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento della somma di Euro 1.400.000,00, di cui Euro 1.200,00 per onorario, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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