Cass. civ. Sez. II, Sent., 28-04-2011, n. 9469 Difformità e vizi dell’opera

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 15/4/1994 C.C. e C.A. convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Roma la s.r.l. Edilizia S. Luigi chiedendone la condanna al risarcimento dei danni cagionati ad un immobile che essi avevano acquistato dalla convenuta, pure costruttrice, per effetto della mancata esecuzione di alcuni lavori e per le difformità della qualità delle opere e dei materiali utilizzati rispetto a quanto concordato nell’accordo scritto di compravendita.

La società convenuta si costituiva e contestava la domanda rilevando che, con riferimento alla destinazione a cantina del piano interrato e a servizi del sottotetto, le caratteristiche costruttive dovevano ritenersi adeguate.

Dopo l’espletamento di CTU, il Tribunale di Roma con sentenza 25/1/2001 condannava la convenuta al pagamento di L. 158.000.000 a titolo di risarcimento danno.

La Corte di Appello di Roma, di fronte alla quale era stata impugnata la sentenza dalla convenuta, con sentenza 7/10/2004 rigettava l’appello rilevando:

– che l’appellante aveva impugnato sulla base di due soli motivi: il primo relativo alla decadenza e alla prescrizione dalla garanzia dovuta dall’appaltatore e prevista dall’art. 1667 c.c. e dall’art. 1669 c.c. per la decorrerla dei relativi termini; il secondo concernente l’omessa considerazione della destinazione a servizi dei locali ubicati nel sottotetto e la destinazione a cantina dei locali ubicati nel piano interrato, dovendo, tale destinazione, costituire il parametro per valutare l’esistenza dei difetti;

che il termine decadenza di un anno, previsto dall’art. 1669 c.c., applicabile alla fattispecie per la gravità del vizio, non era decorso e non era decorso nemmeno il termine di un anno dalla denunzia dei vizi previsto per la prescrizione del diritto;

che neppure nell’atto di citazione in riassunzione l’appellante aveva contestato l’applicabilità delle norme in materia di appalto;

che "a natura del vizio (mancanza di isolamento: emoigrometrico) legittimava l’azione risarcitoria del tutto indipendentemente dalla destinazione di uso non abitativo dei locali.

L’Edilizia S. Luigi propone ricorso per Cassazione fondato su tre motivi; resistono con controricorso C.C. e C. A..
Motivi della decisione

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1667 e/o 1669 c.c. assumendo che avrebbe concluso con gli attori un contratto di vendita e non un contratto di appalto, con la conseguenza che i termini per esercitare l’azione diretta ad ottenere l’adempimento contrattuale, diversamente da quanto ritenuto dal giudice di appello, sarebbe stata assoggettata non ai termini di decadenza e prescrizione di cui all’art. 1669 c.c., ma a quelli di cui all’art. 1495 c.c., triplamente scaduti al momento della denuncia (8/9/1993) e al momento dell’esercizio dell’azione (15/4/1994 a fronte della consegna del bene avvenuta il (OMISSIS)).

7 Il motivo è infondato perchè non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata.

La Corte territoriale, infatti, ha ritenuto irrilevante la qualificazione giuridica del contratto concluso tra le parti in quanto gli attori, acquirenti, avevano esercitato nei confronti dell’Edilizia S. Luigi (costruttore) non già una azione contrattuale, ma una azione extracontrattuale (sul punto non è stato censurato un vizio di motivazione, nè di extrapetizione), fondata sull’art. 1669 c.c. che, come ritenute dalla costante giurisprudenza, configura una responsabilità extracontrattuale del costruttore; la relativa azione può essere esercitata anche dall’acquirente in quanto le disposizioni di cui all’art. 1669 c.c. mirano a disciplinare le conseguenze dannose di quei difetti che incidono profondamente sugli elementi essenziali dell’opera e che influiscono sulla durata e solidità della stessa, compromettendone la conservazione, e configurano, quindi, una responsanilità di natura extracontrattuale, sancita per ragioni e finalità di interesse generale, con la conseguenza che la relativa azione, nonostante la collocazione della norma tra quelle in materia di appalto, è data non solo al committente e ai suoi danti causa nei confronti dell’appaltatore, ma anche dall’acquirente contro il costruttore – venditore (tra le tante: Cass. 12.5.2000 n. 6092; Cass. 29/3/2002 n. 4622; Cass. 28/4/2004 n. 8140); in sostanza, in quest’ultima ipotesi, il compratore non agisce come contraente, ma come soggetto danneggiato e il soggetto passivo non è il venditore in quanto tale, ma in quanto costruttore.

2. Con il secondo motivo la ricorrente censura la contraddittorietà della motivazione laddove si afferma che non vi sarebbe stata contestazione in merito all’applicabilità dell’art. 1669 c.c.;

assume che, invece, nell’atto di riassunzione in appello avrebbe contestato l’applicabilità della disciplina relativa al contratto di appalto e la conseguente inapplicabilità dell’art. 1669 c.c..

Il motivo è inammissibile per difetto di rilevanza perchè la Corte di Appello non ha fondato la propria decisione sulla mancata contestazione, da parte del convenuto appellante, dell’applicabilità dell’art. 1669 c.c. (l’osservazione per la quale non era contestata l’applicabilità della citata norma costituisce un obiter dictum), ma sulla natura dell’azione di responsabilità esercitata dagli attori, riconducendola, a prescindere dalla contestazione o meno, alla fattispecie di responsabilità extracontrattuale prevista dall’art. 1669 c.c. Restano assorbiti gli ulteriori profili di inammissibilità ravvisabili nella mancata deduzione della falsa o erronea applicazione della regula iuris della non contestazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, e nella mancanza di autosufficienza in quanto il motivo non riporta la precisa contestazione che sarebbe stata formulata nell’atto di citazione in riassunzione.

3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce insufficiente e contraddittoria motivazione in merito alla rilevanza dei vizi in considerazione alla destinazione ad uso cantina e a servizi dei locali (nei quali si sono verificati i vizi).

Il motivo è inammissibile perchè attiene alla valutazione di merito sulla gravità dei vizi espressa dal giudice di primo grado e confermata dal giudice di secondo grado che ha richiamato le motivazioni del primo grado; la ricorrente non adduce specifici elementi di censura della decisione, ma si limita ad affermare che "i difetti non possono essere considerati errati se valutati in relazione al reale e congruo parametro di riferimento e cioè la destinazione non abitativa degli anzidetti locali".

La ricorrente aggiunge che la Corte di Appello non avrebbe considerato la particolare destinazione non abitativa dei locali, ma ciò è contraddetto dalla mera lettura della sentenza impugnata laddove il giudice di appello richiama, facendole proprie, le valutazioni del giudice di primo grado in merito alla irrilevanza della destinazione a servizi, posto che dalla mancanza di un Isolamento termoigrometrico dell’unità immobiliare derivavano infiltrazioni all’interno di tutte le parti della costruzione.

4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente a pagare ai controricorrenti le spese di questo giudizio di cassazione che si liquidano In complessivi Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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