Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 13-01-2011) 02-03-2011, n. 8352 Falsità ideologica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Palermo ha confermato la sentenza in data 9-7-2007, con la quale il Tribunale di Palermo ha dichiarato R.G. colpevole del reato di concussione ascrittogli al capo A) della rubrica e dei reati di falsità ideologica ascrittigli ai capi B) e C) e, ritenuta la continuazione, concesse le attenuanti generiche prevalenti rispetto alle contestate aggravanti, lo ha condannato alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione, oltre alla pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque.

Il R., per mezzo dei suoi difensori, ha proposto ricorso per cassazione, deducendo con un primo motivo la violazione dell’art. 192 c.p.p. e la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alle specifiche censure mosse con l’atto di appello riguardo alla sussistenza della condotta addebitata all’imputato al capo A), alla attendibilità della deposizione della persona offesa ed alla valutazione dei riscontri esterni.

Con un secondo motivo il ricorrente lamenta l’erronea applicazione dell’art. 317 c.p., deducendo che i fatti contestati al capo A) andavano più correttamente qualificati in termini di corruzione, avendo la P. agito in una posizione paritaria col R., al fine di avere un trattamento di favore. A riprova della mancanza di uno stato di soggezione della persona offesa fa presente, in particolare, che proprio nel contesto degli incontri intercorsi tra la P. e l’imputato nacque tra gli stessi un rapporto sentimentale. Sostiene, comunque, che nei fatti, come ricostruiti dalla Corte di Appello, sarebbero eventualmente ravvisabili i reati di truffa aggravata (avendo ti pubblico ufficiale indotto la P. a promettere e poi versare una somma di denaro mediante il ricorso ad artifici e raggiri, consistiti nella prospettazione della possibilità di manipolare il verbale di accertamento; laddove dagli atti non risulta che tale verbale sia stato artatamente modificato in favore della P.) o di millantato credito (avendo la P. riferito che il R. aveva precisato che una parte della somma richiestale era destinata al collega che aveva partecipato all’ispezione).

Con un terzo motivo il R. si duole dell’erronea applicazione degli artt. 476 e 479 c.p. e della mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in ordine all’elemento soggettivo dei reati di falso ideologico contestati ai capi B) e C).

Con un ultimo motivo il ricorrente lamenta l’erronea applicazione degli artt. 81 e 133 c.p., nonchè la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine all’applicazione degli aumenti di pena per la continuazione, operata in misura rilevante.
Motivi della decisione

1) In relazione ai reati di falsità ideologica contestati ai capi B) e C) della rubrica (commessi rispettivamente il (OMISSIS)) è maturato il termine di prescrizione, stabilito, a norma del combinato disposto degli artt. 157, 158, 160 e 161 c.p. (nel testo novellato dalla L. n. 251 del 2005, entrata in vigore prima della pronuncia della sentenza di primo grado e, quindi, applicabile alla fattispecie in esame), in anni sette e mesi sei.

Di conseguenza, poichè dagli atti non si evince la prova evidente dell’insussistenza dei fatti, della loro irrilevanza penale o della non commissione dei medesimi da parte dell’imputato, in relazione a tali reati, in applicazione dell’art. 129 c.p.p., la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio con la formula corrispondente, con eliminazione della relativa pena di mesi otto di reclusione, determinata nella sentenza di primo grado.

2) Questa Corte, pertanto, deve limitare il proprio esame ai motivi di ricorso concernenti il reato di concussione contestato al capo A).

Col primo motivo il ricorrente, attraverso la formale denuncia di violazione dei criteri di valutazione del materiale probatorio e di vizi di motivazione, propone sostanziali censure di merito in ordine alla ricostruzione in fatto della vicenda operata dalla Corte di Appello e al giudizio dalla stessa espresso riguardo all’attendibilità intrinseca della deposizione dibattimentale resa dalla persona offesa e ai riscontri estrinseci dalla stessa ricevuti.

Tali valutazioni si sottraggono al sindacato di questa Corte, essendo sorrette da argomentazioni prive di macroscopicbe incongruenze logiche, con le quali è stata fornita adeguata risposta alle deduzioni svolte dall’appellante con i motivi di impugnazione.

Ne consegue l’inammissibilità del motivo in esame, esulando dai poteri attribuiti alla Corte di Cassazione quello di procedere ad una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza e attendibilità delle fonti di prova.

2) Le censure di violazione di legge mosse col secondo motivo di ricorso sono infondate.

Dalla ricostruzione in fatto della vicenda operata dai giudici di merito, non sindacabile in questa sede, si evince che il R., abusando dei suoi poteri, dopo l’ispezione eseguita presso la ditta della P. ha posto in essere una indebita pressione su quest’ultima, attraverso la prospettazione della possibilità di ridurre, con la manipolazione del verbale, gli importi dovuti a titolo di sanzione e di pagamento di contributi INPS, facendosi pagare una somma di denaro (L. 5 milioni) per evitare il maggior pregiudizio costituito dalla quantificazione dell’importo dovuto per le irregolarità riscontrate.

Ciò posto, si osserva che correttamente i giudici di merito, nel rilevare che il comportamento dell’imputato ha avuto come effetto la coartazione della libertà di determinazione della persona offesa, hanno ravvisato in tale condotta gli estremi del reato di concussione per induzione.

Come è noto, infatti, elemento caratterizzante del reato di concussione è l’abuso di potere, per effetto del quale la volontà del soggetto passivo si determina sotto l’influenza del c.d. metus publicae potestatis (Cass. Sez. 6, 10-10-1979/3-3-1980 n. 2972), il quale deve consistere non nella generica posizione di supremazia, sempre connaturata alla qualifica di pubblico ufficiale, bensì nel concreto abuso della veste pubblica, idoneo a far sì che la indebita promessa o dazione da parte del privato sia collegata alla pressione connessa alla funzione esercitata (Cass. Sez. 6, 20-11-2003 n. 6073) e alla correlata posizione non paritaria con il pubblico ufficiale e, quindi, di soggezione nei suoi confronti, in cui il privato si sia venuto a trovare (Cass. Sez. 6. 18-4-1994 n. 9389);

L’elemento discriminante della concussione rispetto alla corruzione, pertanto, è costituito dalla presenza, nella prima, di una volontà prevaricatrice del pubblico ufficiale, condizionante la volontà del privato (Cass. Sez. 6, 3-11-.2003/2-3-2004 n. 4898), per effetto della quale quest’ultimo versa in stato di soggezione di fronte alla condotta del pubblico ufficiale, mentre nella corruzione i due soggetti trattano pariteticamente e si accordano sul pactum sceleris con manifestazioni di volontà convergenti (Cass. Sez. 6, 5-2-1996 n. 3022, Sez. 6, 13-1-2000 n. 2265; Sez. 6, 9-1-2009 n. 9528).

Nel caso di specie, la qualificazione della condotta del prevenuto in termini di concussione risulta conforme agli enunciati principi, avendo i giudici di merito ravvisato una situazione di squilibrio prevaricatone nel rapporto tra l’imputato e la P., tale da determinare in quest’ultima uno stato di soggezione psicologica, idoneo a condizionarne la volontà e a determinarla all’indebita erogazione della somma di denaro. Secondo quanto accertato nella sentenza impugnata, infatti, l’accordo raggiunto non è stato formato dalle parti in una posizioni paritetica, ma risulta viziato dall’esistenza a monte di una vis compulsiva posta in essere dal pubblico ufficiale, il quale, in relazione all’accertamento ispettivo ed alle sue conseguenze, fin dal primo incontro con la P. e prima dell’avvio di un rapporto sentimentale con la stessa ha agito con tutto il peso del suo ruolo.

Non vale, d’altro canto, ad escludere la configurabilità del reato di concussione il fatto che la vittima abbia aderito alla illegittima pretesa del pubblico ufficiale in quanto a sua volta ne ha conseguito un vantaggio. Ai fini dell’integrazione del delitto di cui all’art. 317 c.p., infatti, ciò che conta è che la volontà del privato non sì sia formata liberamente a cagione, diretta o indiretta, della condotta del pubblico ufficiale, che abbia abusato della sua funzione per ottenere un indebito vantaggio. Il delitto in esame, al contrario, non è escluso dalla circostanza che la vittima versi in una situazione illecita e possa trarre un qualche vantaggio economico dell’accettazione della pretesa del pubblico ufficiale (Cass. Sez. 6, 2-10-2010 n. 41360; Sez. 6, 5-11-2003 n. 46805; Sez. 6, 4-6-2001 n. 35172; Sez. 6, 26-4-2001 n. 29113).

4) Sotto altro profilo, si osserva che non ha pregio l’assunto prospettato dal ricorrente, secondo cui il fatto contestato dovrebbe essere più correttamente qualificato in termini di truffa aggravata o di millantato credito.

Giova rammentare che la distinzione tra il delitto di concussione per induzione e quello di truffa aggravata dalla qualità di pubblico ufficiale va individuata nel fatto che nella concussione il privato mantiene la consapevolezza di dare o promettere qualcosa di non dovuto, mentre nella truffa la vittima viene indotta in errore dal soggetto qualificato circa la doverosità delle somme o delle utilità oggetto di dazione o promessa, e la qualità di pubblico ufficiale concorre solo in via accessoria a condizionare la volontà del soggetto passivo (Cass. Sez. 6, 22-4-2009 n. 20195; Sez. 6, 16-12- 2005/23-1-2006 n. 2677).

Quanto alla distinzione col millantato credito, ricorre tale reato (aggravato ex art. 61 c.p., n. 9) e non quello di concussione quando la vittima è indotta a versare una somma di danaro soltanto perchè raggirata dal pubblico ufficiale mediante la falsa rappresentazione di una situazione di grave pregiudizio e la proposta di comprare i favori di altri ignari e inesistenti pubblici ufficiali per ottenere un risultato a lei favorevole. In tal caso, il fatto è commesso "con" abuso e non "mediante" abuso della qualità o dei poteri, cosicchè l’abuso non assume una preminente importanza prevaricatrice dalla quale sia derivata una costrizione o, comunque, un’induzione del soggetto passivo all’ingiusta dazione della somma di danaro (Cass. Sez. 6, 3-6-2002 n. 30002; Sez. 6, 1 -7-2009 n. 34827).

Nel caso in esame, secondo quanto accertato dai giudici di merito, l’imputato ha indotto la P. a versargli una somma di denaro abusando dei suoi poteri e dello stato di soggezione in cui la persona offesa si trovava nei suoi confronti, e la donna era ben consapevole dell’illegittimità della pretesa del pubblico ufficiale.

Non vi è spazio, pertanto, per le ipotesi alternative di reato prospettate dalla difesa.

5) Le ulteriori deduzioni svolte col motivo in esame per negare che vi sia stata una coartazione della volontà della P. e per sostenere che, al contrario, le parti hanno trattato in posizione paritetica, si risolvono ancora una volta, al di là della formale denuncia di vizi di motivazione, nella richiesta di una rilettura degli atti ed una rinnovata valutazione delle risultanze processuali, esulanti dai poteri di cognizione riservati a questa Corte.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente ai reati di falsità ideologica perchè estinti per prescrizione ed elimina la relativa pena di mesi otto di reclusione.

Rigetta nel resto il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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