Cass. civ. Sez. II, Sent., 28-04-2011, n. 9463 Fallimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso ex art. 703 c.p.c. la CA.SA.PA.SE.DA. s.r.l. evocava, dinanzi al Tribunale di Napoli, P.C. ed R.A. esponendo che sin dal 1987 conduceva in locazione l’intero piano cantinato con annesso cortile scoperto, facente parte del fabbricato sito in (OMISSIS), della superficie di mq. 255 circa, composto da quattro locali, oltre il locale caldaia, non comunicanti fra loro e quindi autonomamente utilizzabili, in virtù di contratto di locazione stipulato con il proprietario dell’epoca, F.G., che nel tempo si era tacitamente rinnovato ad ogni scadenza contrattuale, per mancanza dì disdetta, la cui successiva scadenza era fissata al 1. 11.2005. Aggiungeva che il locatario era fallito, pertanto nel rapporto locatizio subentrava la curatela fallimentare, cui erano stati regolarmente versati i canoni di locazione fino al marzo 1999, allorchè il curatore comunicava ai conduttori che gli immobili erano stati trasferiti al P., anche al fine della individuazione de soggetto cui corrispondere i canoni, sebbene questi rifiutasse di riceverli. Con atto di precetto notificato il 18.12.1999 il P. intimava al F. e al curatore fallimentare il rilascio dell’immobile, precetto avverso il quale proponeva opposizione la società CA.SA.PA.SE.DA., ma il G.E. rigettava la richiesta di sospensione dell’esecuzione, per cui l’ufficiale giudiziario portava in esecuzione il precetto, immettendo il P. nel possesso del bene, con integrazione di uno spoglio illegittimo, Tanto premesso, la società ricorrente chiedeva l’immediata reintegra nel possesso dell’immobile.

Instauratosi il contraddittorio, nella resistenza dei convenuti, i quali esponevano che il fallito ( F.G.), approfittando della momentanea assenza del P. e del figlio L., si era indebitamente appropriato dei locali, costringendoli ad esperire azione contro il curatore fallimentare, esecuzione che aveva inizio il 25.2.2000 e veniva eseguita il 10.3.2000, il Tribunale adito rigettava la domanda attorea, condannando la ricorrente alla rifusione delle spese processuali.

In virtù di rituale appello interposto dalla CA.SA.PA.SE.DA., con il quale lamentava che il giudice di prime cure aveva erroneamente applicato l’art. 560 c.p.c. poichè il contratto, recante data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento, era regolato dall’art. 2923 c.c. la Corte di appello di Napoli, nella resistenza degli appellati, accoglieva il gravame ed ordinava agli appellati di reintegrare la società appellante nella piena detenzione della consistenza immobiliare. A sostegno dell’adottata sentenza, la Corte territoriale riconosceva essere pacifico fra le parti che la locazione della consistenza immobiliare in contesa (relativa a contratto avente decorrenza dal 1.11.1987, registrato il 3.11.1987) era antecedente alla dichiarazione di fallimento dell’originario locatore, F.G., intervenuta soltanto con sentenza n. 940 del Tribunale di Napoli in data 9/10.12.1987, per cui nella specie trovava applicazione l’art. 2923 c.c., comma 1, anzichè l’art. 560 c.p.c., come ritenuto dal giudice di prime cure. Aggiungeva, altresì, che quanto al rapporto con la L. n. 392 del 1978, le norme imperative in tema di durata delle locazioni operavano pienamente, in particolare trovava applicazione l’art. 28 di detta legge. Avverso l’indicata sentenza della Corte di Appello di Napoli hanno proposto ricorso per cassazione il P. e la R., che risulta articolato su un unico motivo, al quale ha resistito con controricorso la CA.SA.PA.SE.DA..
Motivi della decisione

Con un unico motivo, in cui risultano prospettate varie censure, i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 2923 c.c. e dell’art. 560 c.p.c., comma 2, nonchè il difetto di motivazione insufficiente, contraddittoria ed illogica in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

In particolare, il giudice del gravame avrebbe erroneamente ritenuto pacifica la circostanza dell’avere il F. concluso il contratto di locazione in data anteriore alla dichiarazione di fallimento, mentre di converso vi sarebbe mancanza di corrispondenza fra l’immobile indicato nel contratto di locazione e quello assegnato in sede d’asta.

La corte di merito, inoltre, avrebbe errato nel respingere l’eccezione di legittimazione attiva per carenza di prova in merito alla detenzione qualificata dell’immobile.

La sentenza impugnata si porrebbe in netto contrasto con la pronuncia de Tribunale di Napoli adottata in sede di opposizione a precetto di rilascio dell’immobile, proposta dalla società nei confronti degli odierni ricorrenti e del fallimento F.G., la quale avrebbe accertato che il contratto di locazione è scaduto il 1.11.1993.

Va preliminarmente esaminata la censura che attiene al rigetto da parte della corte di merito dell’eccezione di carenza di legittimazione attiva della società intimata in mancanza di prova della esistenza di una detenzione qualificata dell’immobile da parte della stessa, trattandosi di questione pregiudiziale con riferimento all’accertamento della validità del contratto di locazione stipulato da F.G. con la società resistente poco prima della sua dichiarazione di fallimento. I ricorrenti, infatti, addebitano ai giudici di merito di avere omesso di considerare che il rapporto giuridico e di fatto in ordine all’immobile, come emerge dalla illustrata scansione degli eventi (conclusione contratto locazione – fallimento del locatore – messa a disposizione delle chiavi dell’immobile da parte del fallito nell’immediatezza al curatore – vendita del cespite, libero da cose e persone, ai ricorrenti con contestuale consegna delle chiavi agli stessi – presa di possesso del bene dai nuovi acquirenti – successivo rinvenimento all’interno dell’immobile della CA.SA.PA.SE.DA.), è intercorso direttamente tra loro ed il curatore, sicchè erroneamente il tribunale – prima – e la corte di appello – dopo – avrebbero qualificato la società come detentore qualificato del cespite in questione. Inoltre i giudici del merito avrebbero omesso di considerare la mancanza al tempo dello spoglio di un rapporto di fatto con il bene da parte della predetta società con i caratteri di esteriorità che costituiscono il presupposto per la tutela di cui all’art. 1168 c.c. La motivazione addotta al riguardo dalla corte distrettuale non risulta comprensibile. Invero alla pag. 3 della decisione impugnata, nello svolgimento de processo, si riferisce che i convenuti esponevano "che nel luglio del 1999 il fallito, approfittando della momentanea assenza del P.C., e del figlio L., si era appropriato indebitamente dei locali, costringendoli ad esperire un’azione coatta contro F.G. e, per lui, contro il curatore fallimentare…". La parte motivazionale è poi tutta incentrata nel dare conto dell’applicazione nel caso di specie del disposto dell’art. 2923 c.c., comma 1, a tenore del quale "le locazioni consentite da chi ha subito l’espropriazione individuale (pignoramento) o concorsuale (sentenza dichiarativa di fallimento, come nella specie), sono opponibili all’acquirente se hanno data certa anteriore al pignoramento" e: a maggiore ragione, alla sentenza dichiarativa di fallimento, come nel caso di specie". E’ di tutta evidenza che la corte territoriale nell’argomentare la decisione non ha tenuto conto o comunque non ha percepito l’impostazione difensiva di parte appellante, attinente all’accertamento della situazione in forza della quale le ragioni del ricorrente avrebbero dovuto essere ritenute indenni dalle altrui pretese. In altri termini, ha assiomaticamente riconosciuto la validità ed efficacia del contratto di locazione sottoscritto da F.G. con la CA.SA.PA.SE.DA, per poi condividere l’orientamento di questa corte in tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, disciplinata dalla legge sull’equo canone, che riconosce effetto automatico, scaturente direttamente dalla legge e non da una manifestazione di volontà negoziale, alla rinnovazione tacita del contratto alla prima scadenza contrattuale, per il mancato esercizio da parte del locatore, della facoltà di diniego della rinnovazione stessa ( L. n. 392 del 1978, artt. 28 e 29), per trame la conseguenza che in caso di pignoramento dell’immobile e di successivo fallimento del locatore, siffatta rinnovazione non necessita di autorizzazione del giudice dell’esecuzione, prevista dall’art. 560 c.p.c., comma 2.

Nella specie il thema decidendum è costituito da azione possessoria esercitata dalla CA.SA.PA.SE.DA. sull’assunto dell’esistenza e validità di un contratto di locazione stipulato con l’originario proprietario.

In tema di reintegrazione il compito del giudice è quello di accertare l’esistenza, da un lato, di un possesso tutelabile e, dall’altro, di un’azione integrante gli estremi dello spoglio, mentre ogni questione riguardante la legittimità del possesso ed in particolare la sua rispondenza ad un valido titolo, resta estranea al giudizio possessorio (nel quale i titoli di proprietà o detenzione qualificata, come nella specie, possono venire in rilievo solo ad colorandam possessionem) (v. Cass. 15 giugno 1991, n. 6772; Cass. 28 febbraio 1989, n. 1087).

E’ dunque errato l’apprezzamento dei giudici di merito che, esperita l’azione di reintegrazione, alla situazione allegata dalla ricorrente di detentore qualificato del bene in ordine al quale ha assunto essere intervenuto il denunziato spoglio e a fronte della contestazione dei convenuti, abbia omesso, nell’accertamento del titolo della pretesa detenzione, di procedere alla verifica de rapporto sostanziale dedotto (quanto alla sua sussistenza, alla sua validità, alla sua efficacia ed alle particolari sue connotazioni) e della corrispondenza tra il contenuto di esso ed il rapporto di fatto in concreto posto in essere dalla ricorrente.

La CA.SA.PA.SE.DA. era tenuta a provare l’effettiva detenzione del bene anche nello spazio intercorrente fra la dichiarazione di fallimento del locatore, la messa a disposizione del cespite in favore della curatela ed il successivo impossessamento (dopo l’acquisto dell’immobile da parte dei ricorrenti), in quanto solo la prova dell’esercizio del potere di fatto sul bene costituisce titolo che la legittima ad agire in possessorio. L’art. 1169 c.c., infatti, tutela solo la detenzione qualificata, quella cioè in cui il rapporto di fatto con la cosa è in funzione dell’interesse del detentore, quale mezzo per esercitare un suo diritto. La censura esaminata va quindi accolta.

Le ulteriori censure lamentate dai ricorrenti sono prive di pregio, oltre ad essere parzialmente assorbite dalle considerazioni di cui sopra.

Quanto alla circostanza della diversa consistenza dell’immobile locato dal fallito rispetto a quello acquistato dai ricorrenti, si tratta di questione nuova, non risultando affrontata nella sentenza impugnata, nè i ricorrenti deducono di averla denunciata con i motivi di appello. Pertanto trattandosi di questione che involge un accertamento di merito, è escluso che possa essere affrontata per la prima volta in sede di legittimità, stante la funzione cui è preposto il ricorso per cassazione.

Infine, relativamente al paventato contrasto di giudicati con riferimento alla pronuncia adottata nell’ambito del giudizio di opposizione a precetto (di cui dinanzi si è detto), trattasi al più di un motivo da far valere con il diverso mezzo impugnatorio della revocazione ( art. 395 c.p.c., n. 5).

Per tutte le considerazioni sopra svolte, il ricorso va accolto nei limiti sopra esposti, mentre per il resto deve essere respinto.

La sentenza impugnata va, pertanto, cassata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli che provvedere ad un nuovo esame della controversia, in applicazione dei principi su enunciati, nonchè alla liquidazione delle spese di questo grado di giudizio.
P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione;

cassa e rinvia la sentenza impugnata ad altra sezione della Corte di appello di Napoli, anche per le spese del giudizio di cassazione.

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