Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 13-01-2011) 02-03-2011, n. 8074 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Bologna ha confermato la pronuncia di colpevolezza di G.M. e V. A. in ordine al reato di cui all’art. 110 c.p., art. 61 c.p., n. 11 bis e del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 bis, loro ascritto per avere detenuto, in concorso, a fini di spaccio, complessivamente grammi 3.057,38 di sostanza stupefacente del tipo cocaina con principio attivo tra il 36% ed il 38,7%.

La sostanza stupefacente di cui si tratta era stata occultata all’interno di due autovetture che procedevano lungo l’autostrada (OMISSIS) provenienti dal nord, con a bordo, la prima i due imputati e la seconda tali C.M. e K.M.. In entrambi i casi la cocaina era stata nascosta in un intercapedine sotto il longherone posteriore dell’auto.

Il fermo delle due autovetture che trasportavano la droga e viaggiavano di concerto era stato eseguito dalla polizia giudiziaria nell’ambito di più vaste indagini dirette a stroncare l’importazione dalla (OMISSIS) di droga commercializzata sulla piazza di (OMISSIS).

A seguito dell’arresto la V. aveva reso piena confessione e si era assunta ogni responsabilità in ordine al traffico illecito della sostanza stupefacente, scagionando il marito G.M. e gli occupanti l’altra autovettura. La V. nel corso del giudizio forniva anche indicazioni in ordine al traffico di droga, che consentivano di arrestare i due destinatari della cocaina trasportata.

Con la sentenza di primo grado veniva affermata la colpevolezza di entrambi gli attuali ricorrenti, mentre gli altri imputati, C. e K., venivano assolti perchè il fatto non costituisce reato.

Per quanto interessa in sede di legittimità la Corte territoriale ha respinto i motivi di appello con i quali la V. aveva chiesto la concessione dell’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7, nonchè la esclusione dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11 bis.

Sul primo punto la sentenza ha affermato che la collaborazione della imputata risulta tardiva, in quanto offerta solo dopo la sentenza di condanna di primo grado, nonchè generica e parziale per avere l’imputata escluso ogni coinvolgimento del marito e non essere ancora noto l’esito investigativo delle propalazione della V. a proposito dei trafficanti di droga operanti in (OMISSIS). Sul secondo punto si è osservato che l’aggravante aveva formato oggetto di censura solo nei motivi aggiunti di appello e, in ogni caso, che non era certa la nazionalità slovena dell’imputata, venendo la stessa identificata anche con alias.

La Corte ha inoltre respinto l’appello del G. con il quale veniva contestata l’affermazione di colpevolezza del predetto imputato.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore degli imputati, che la denuncia per violazione di legge e vizi di motivazione.
Motivi della decisione

Con il primo mezzo di annullamento nell’interesse della V. il difensore della ricorrente denuncia la violazione ed errata applicazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7. Si deduce, in sintesi, che la Corte territoriale ha erroneamente escluso l’operatività della attenuante nell’ipotesi in cui la collaborazione dell’imputato diretta ad impedire che l’attività delittuosa sia portata ad ulteriori conseguenze ovvero a sottrarre risorse per la commissione di delitti debba essere fornita prima della pronuncia di primo grado, non trovando il citato limite temporale alcun riscontro normativo. Si aggiunge che nel caso in esame la collaborazione della V. era già iniziata nel corso delle indagini preliminari, come confermato da uno degli ufficiali di polizia giudiziaria sentito quale teste nel giudizio di primo grado, e che le dichiarazioni rese dalla imputata avevano consentito la individuazione e la neutralizzazione dei corresponsabili del traffico di stupefacenti con la conseguente disarticolazione del sistema criminoso. Con riferimento alla mancata implicazione del marito nella condotta illecita sostanzialmente si contesta l’esistenza di prove di detta implicazione e si rinvia al mezzo di annullamento per vizi di motivazione da cui sarebbe arietta la pronuncia di colpevolezza del G..

Con il secondo mezzo di annullamento nell’interesse di entrambi gli imputati si denuncia la violazione ed errata applicazione dell’art. 61 c.p., n. 11 bis.

Si deduce che la sentenza impugnata ha erroneamente affermato che la contestazione della citata aggravante non è stata formulata tempestivamente con i motivi aggiunti di appello, facendosi rilevare che solo con l’entrata in vigore della L. luglio 2009, n. 94 è stato chiarito che l’art. 61 c.p., n. 11 bis deve intendersi riferito ai cittadini di Paesi non appartenenti all’Unione Europea ed agli apolidi, sicchè solo a seguito della legge citata è stato possibile rilevare la illegalità della applicazione della aggravante nei confronti degli imputati.

Si deduce poi che gli imputati sono stati sempre tratti a giudizio quali cittadini sloveni e l’attribuzione ai medesimi di altra nazionalità, con particolare riferimento alla V., non è fondata sul alcun riscontro probatorio.

Con l’ultimo mezzo di annullamento, nell’interesse del G., si denuncia la illogicità della motivazione della sentenza in ordine alla affermazione di colpevolezza dell’imputato.

In sintesi, si deduce che i giudici di merito hanno ritenuto pienamente credibili la confessione e le dichiarazioni della V. nella parte in cui ha scagionato i coimputati C. e K., mentre hanno illogicamente escluso la credibilità delle medesime dichiarazioni con riferimento alla posizione del G.;

che l’affermazione di colpevolezza dell’imputato è fondata su generici rilievi di carattere presuntivo connessi al vincolo al vincolo di coniugio con la V..

11 ricorso è fondato nei limiti di seguito precisati.

Deve essere in primo luogo esclusa la fondatezza della censura di illogicità della motivazione della sentenza in ordine alla valutazione delle dichiarazioni della V., ritenute credibili nella parte in cui ha escluso il concorso nella commissione del reato di tali C.M. e K.M. e inattendibili, invece, con riferimento alla posizione del marito, G.M..

Invero, la motivazione della sentenza impugnata, integrata per l’identità della decisione da quella di primo grado, da ampiamente conto di tale differente valutazione sulla base di argomentazioni che non risultano affette da vizi logici.

A proposito della posizione del G. è stato, infatti, rilevato dai giudici di merito che lo stesso, secondo le risultanze delle indagini di cui ha riferito quale teste in dibattimento un ispettore di Polizia, è inserito in un traffico internazionale di stupefacenti per il quale è stato attinto da altra ordinanza di custodia cautelare unitamente alla moglie; è gravato da precedenti penali specifici, avendo riportato una rilevante condanna per importazione di stupefacenti commessa nel 2005; era il predetto imputato alla guida dell’auto contenente i due terzi della sostanza stupefacente ed era lui a scegliere l’andatura ed il percorso che di fatto veniva imposto anche all’altro auto che li seguiva. Secondo i giudici di merito inoltre il contributo consapevole del G., secondo la comune esperienza, era assolutamente indispensabile per la buona riuscita del trasporto dello stupefacente. Orbene, si tratta di un complesso di elementi indiziali convergenti che giustificano sul piano argomentativo la diversa valutazione delle dichiarazioni della V. in relazione alla posizione dei vari coimputati e non hanno neppure formato oggetto di contestazione in punto di fatto nei motivi di gravame dinanzi alla Corte territoriale.

Al contrario, con riferimento alla posizione dei coimputati C. M. e K.M., che viaggiavano a bordo dell’altra auto, secondo il giudice di primo grado, non sono emersi elementi che consentissero di affermare con sufficiente certezza la loro consapevolezza circa la presenza della sostanza stupefacente, sicchè le dichiarazioni della V. sono state ritenute attendibili con riferimenti ai predetti imputati, che sono stati assolti dal Tribunale con la formula corrispondente. Anche il motivo di gravame con il quale viene censurata la mancata concessione dell’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7, è infondato.

Secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte in materia, ai fini della applicazione dell’attenuante speciale di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7, la collaborazione dell’imputato deve essere spontanea; avere connotazioni di particolare efficacia (riferita all’intero arco della condotta illecita, e non soltanto ad alcuni segmenti di essa) e costituire contributo pieno e rilevante per la neutralizzazione dell’attività criminosa, (sez. 4^, 18.11.2008 n. 46435, Finazzi ed altro, RV 242311; sez. 4^, 23.1.2007 n. 10115, Galati, RV 236192). In particolare, è stato di recente affermato che, ai fini della applicazione della attenuante, non è sufficiente la mera indicazione del nominativo di qualche complice, ma è necessario che la collaborazione prestata porti alla sottrazione di risorse rilevanti ed eviti la commissione di ulteriori attività delittuose, (sez. 6^, 2.3.2010 n. 20799, Sivolella ed altri, RV 247376). Ovviamente la valutazione sul punto è di merito e non è censurabile in sede di legittimità allorchè abbia formato oggetto di motivazione immune da vizi logici.

Orbene, la sentenza impugnata, indipendentemente dalla ritenuta tardività della collaborazione della V., che peraltro viene ad incidere sulla efficacia della stessa, quale fonte investigativa, ha osservato che le dichiarazioni dell’imputata hanno fornito elementi utili per la cattura delle due persone alle quali doveva essere consegnato lo stupefacente, ma non sono risultate utili per la cattura degli esponenti di maggiore spicco dell’organizzazione dedita al traffico internazionale di stupefacenti.

Si è anche rilevato nella sentenza che in effetti non vi è stata da parte dell’imputata una collaborazione piena e senza riserve con le autorità inquirenti, sicchè il diniego della chiesta attenuante ha formato oggetto di adeguata motivazione, giuridicamente corretta ed immune da vizi logici.

E’, invece, fondato il motivo di gravame con il quale è stata censurata l’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11 bis.

Come è noto con sentenza 5 luglio 2010 n. 249 la Corte Costituzionale ha dichiarato la illegittimità dell’art. 61 c.p., n. 11 bis, sicchè non può più tenersi conto della citata aggravante ai fini della determinazione della pena.

Dalla pena complessivamente inflitta a ciascun imputato, pertanto, deve essere eliminato l’aumento corrispondente alla citata aggravante, che risulta di mesi quattro di reclusione ed Euro 3333 di multa (tenuto conto della diminuzione per il rito sulla misura dell’aumento di pena indicato in sentenza).

Per l’effetto la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente alla citata aggravante, che va esclusa con rideterminazione della pena complessivamente inflitta.

Il ricorso deve essere rigettato nel resto.
P.Q.M.

La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11 bis, aggravante che elimina rideterminando la pena in anni sei, mesi quattro di reclusione ed Euro 46.666,00 di multa. Rigetta nel resto il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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