Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 21-12-2010) 02-03-2011, n. 8015 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il GIP presso il Tribunale di Messina, con ordinanza del 13.07.2010, applicava la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di:

B.A.:

perchè indagato, unitamente ad altri, per il reato di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74;

Il Tribunale per il riesame di Messina, con ordinanza del 03.08.2010, respingeva il reclamo e confermava il provvedimento impugnato.

Avverso tale decisione, ricorre per Cassazione il difensore, deducendo:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) c) d) e).

Il ricorrente censura la decisione impugnata di:

1)- violazione del paradigma normativo di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 poichè nella specie emergeva che i vari episodi di spaccio erano scollegati tra loro e non potevano integrare il reato associativo ma semmai solo varie ipotesi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5;

– invero, dalle conversazioni telefoniche intercettate non emergevano:

nè l’esistenza di un gruppo, nè l’esistenza di un’organizzazione, nè l’apporto individuale atto di integrare il contributo alla stabilità e all’unione illecita;

– al tal riguardo il ricorrente sottolinea come nelle conversazioni intercettate il coimputato Bu., conversando con R. G. ed altri, non prospetterebbe mai alcuna comunanza di interessi con il ricorrente C.A.; quest’ultimo risulta relazionarsi solo con R.G. e mai con Bu., sicchè mancherebbe la prova dell’adesione del ricorrente al presunto sodalizio criminale;

2)-violazione di legge atteso che il Tribunale per il riesame non avrebbe considerato che nella specie, le varie condotte sono, comunque relative ad attività di piccolo spaccio, sicchè ricorrerebbe semmai l’ipotesi attenuata di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 6; per altro, l’attività di spaccio continuativo non è incompatibile con l’attenuante della lieve entità del fatto;

3)- l’ordinanza sarebbe affetta da illogicità riguardo alle ritenute esigenze cautelari, avendo motivato sulla base della presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., senza però considerare gli elementi probatori atti ad escludere la persistenza del vincolo associativo tra l’indagato C. e gli altri coimputati, come emergerebbe dalle conversazioni telefoniche in data 24.10.2007 e 31.10.07;

CHIEDE pertanto l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
Motivi della decisione

I motivi di ricorso sono totalmente infondati.

Le doglianze mosse dal ricorrente non tengono conto del fatto che il provvedimento impugnato, contiene una serie di valutazioni ancorate a precisi dati fattuali ed appaiono immuni da vizi logici o giuridici.

Infatti il Tribunale del riesame ha con esaustiva, logica e non contraddittoria motivazione, evidenziato tutte le ragioni, fattuali e giuridiche, che sostengono il provvedimento restrittivo impugnato.

In proposito va ricordato che, in tema di misure cautelari personali, il controllo di legittimità è circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato ; 2) l’assenza di illogicità evidenti, risultanti "prima facie" dal testo del provvedimento impugnato, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. (Cassaz. Pen., sez. 4, 06.07.2007 n. 37878).

Invero il Tribunale, ha ampiamente, congruamente e logicamente motivato in ordine alle ragioni, in punto di fatto, per le quali ha ritenuto raggiunti i gravi indizi di colpevolezza, osservando:

a)- che l’esistenza dell’organizzazione emergeva:

– dall’attività investigativa delle PG e dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali;

– dai contatti tenuti da Bo.Do., R.G. e A.A.;

– dal contenuto di numerose conversazioni intercettate, come quella del 18.10.07 nel quale il Bo. spiega i diversi ruoli attribuiti ad ogni sodale e la pluralità di sostanze stupefacenti che il gruppo era in grado di spacciare;

b)- che la partecipazione del ricorrente B. all’associazione emergeva.

-dalla sua disponibilità a svolgere attività di spaccio in favore del sodalizio, come risulta dalle conversazioni: – del 13.10.07 – del 14.10.07 – del 24.10.07 nel corso delle quale il Bo. descrive l’attività di spaccio e l’apporto offerto da "(OMISSIS)" ( B.) nelle varie situazioni;

si tratta di conversazioni tutte analiticamente e criticamente valutate dal Tribunale, anche ai fini di escludere le ipotesi attenuate prospettate dal ricorrente, con argomentazioni motivazionali logiche e complete.

Il Tribunale ha compiuto una valutazione di puro fatto, in ordine alla sussistenza dei gravi indizi, che appare congruamente motivata, con richiami a specifici rilievi fattuali dimostrative dello stabile inserimento dell’indagato nel gruppo con attività di costante attività di spaccio, in linea con i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, che ha sottolineato come in materia di applicazione di misure cautelari, la sussistenza di gravi indizi di cui all’art. 273 c.p.p., in ordine all’esistenza di un’associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti può essere desunta anche da un singolo episodio criminoso, che attesti l’intervento di un gruppo che partecipa nel suo insieme ad un evento importante per l’associazione. Cassazione penale, sez. 6, 14/01/2008, n. 6867.

Nè possono assumere rilievo in questa fase le deduzioni difensive contenute nel ricorso con riferimento ai singoli episodi ed ai singoli indizi raccolti, atteso che in tema di misure cautelari personali, la valutazione del peso probatorio degli indizi è compito riservato al giudice di merito e, in sede di legittimità, tale valutazione può essere contestata unicamente sotto il profilo della sussistenza, adeguatezza, completezza e logicità della motivazione, mentre sono inammissibili, viceversa, le censure che, pure investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze già esaminate da detto giudice. Cassazione penale, sez. 4, 06/07/2007, n. 37878.

Neppure possono trovare ingresso in questa sede le deduzioni difensive riguardo al mancato inquadramento della condotta nell’ambito del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 4 atteso che, al riguardo, il Tribunale motiva in maniera del tutto condivisibile, osservando che dagli atti emerge una catena distributiva che parte dal grosso traffico al vertice per giungere al piccolo spaccio alla base ma che si inserisce nell’ambito di un’unica associazione, sicchè l’attività di piccolo spaccio è relativa agli specifici ruoli rivestiti da alcuni ma non può estendersi all’intera organizzazione -e ai suoi partecipanti- ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 6;

Tali principi inducono a ritenere inammissibili anche i motivi relativi alla ricorrenza delle esigenze cautelari, atteso che sul punto il Tribunale ha evidenziato il concreto rischio di recidiva, tratto dalla elevata professionalità dimostrata dall’indagato, riscontrata dalla riscontrata disponibilità dell’indagato alla "continuativa attività di spaccio in contesti associativi" nonchè dalla negativa personalità, "testimoniata dai precedenti penali" sicchè non può ritenersi la dedotta occasionante e sporadicità della condotta criminosa, mentre emerge, al contrario, la necessità di sottoporre l’indagato alla custodia in carcere, unica misura ritenuta idonea a salvaguardare le esigenze cautelari.

Il Tribunale ha compiuto così una valutazione di puro fatto, in ordine al pericolo di recidiva, che appare congruamente motivata, con richiami a specifici rilievi fattuali, priva di illogicità evidenti.

Consegue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè -ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità- al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro 1000,00, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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