Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 28-04-2011, n. 9444 giurisdizione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto del 2002, D.A.P. conveniva di fronte al tribunale de L’Aquila il Comune di Capestrano, premettendo di essere locatario di un immobile di proprietà comunale in forza di contratto di locazione stipulato a seguito di autorizzazione della Giunta comunale del 2001; con decreto del 17.1.2002, il Sindaco aveva disposto il rilascio dell’immobile de quo.

Chiedeva pertanto dichiararsi inefficace il decreto stesso; si costituiva il Comune, sostenendo che era emerso che l’alloggio in questione era risultato ristrutturato con fondi ERP e che non poteva pertanto essere concesso in locazione, donde l’annullamento della originaria delibera e il decreto di rilascio in contestazione. Con sentenza del 2002, l’adito Tribunale accoglieva la domanda attorea e regolava le spese.

Avverso tale decisione proponeva appello il Comune, ponendo una questione di giurisdizione; il D.A. resisteva alla domanda.

Con sentenza in data 23.3/10.5.2005, la Corte di appello de L’Aquila respingeva l’impugnazione e regolava le spese.

Osservava la Corte distrettuale essere incontestato che tra le parti era intervenuto un contratto di locazione di diritto privato; non esisteva norma alcuna che consenta alla P. A. di risolvere unilateralmente, con atto amministrativo, un contratto di locazione con un privato.

Il decreto di revoca era pertanto da considerarsi abnorme e, come tale, inidoneo ad influire su una fattispecie di diritto privato, donde l’accertamento, in via incidentale, della illegittimità dello stesso, con conseguente disapplicazione, e anche L’inconsistenza della questione di giurisdizione, asseritamente spettante al giudice amministrativo, attesa la natura del rapporto dedotto in giudizio e quindi da respingersi.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre, riproponendo la questione di giurisdizione, il comune di Capestrano sulla base di tre motivi, cui la controparte resiste con controricorso.
Motivi della decisione

Con il primo motivo, si lamenta falsa applicazione del D.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035, art. 11 e disapplicazione del D.Lgs. n. 80 del 1998 e della L. n. 205 del 2000. La estrema sinteticità dell’argomentazione svolta nel mezzo in esame consente di riportarne quasi letteralmente il senso; se può essere discutibile che nella materia edilizia possa farsi rientrare l’edilizia residenziale pubblica, è certo però che la materia dell’assegnazione e delle vicende di circolazione e gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica rientra nel concetto di pubblico servizio. Ne consegue che in detta materia, per quanto emerge dalla Legge, la giurisdizione è del giudice amministrativo.

La considerazione appare del tutto aliena da una valutazione della fattispecie concreta: l’astratta esattezza del concetto esposto non si applica nella fattispecie, atteso che l’alloggio in questione, non rileva per quali ragioni, è stato concesso in locazione ad un privato in base ad un contratto di diritto privato, la cui valenza non può essere travolta da un provvedimento amministrativo che prescinda totalmente dalla esistenza di un titolo scaturente da un incontro di volontà sostanziatosi in un contratto, come tale e perchè tale regolato dalla disciplina privatistica; il motivo non può pertanto trovare accoglimento.

Con il secondo mezzo si lamenta violazione del D.Lgs. 31 marzo 1998, art. 33 e della L. 21 luglio 2000, n. 205.

La ripartizione della giurisdizione è senza dubbio stata applicata in ragione di criteri non coincidenti con quelli previgenti, ma il presupposto per l’applicazione della normativa sopravvenuta, rimane sempre la differenza tra una attività espletata dall’Ente pubblico iure imperii ed un’attività posta in essere con le forme del diritto privato.

Il ricorrente Comune, nell’invocare la disciplina attuale, sembra ignorare che nella specie non vi è stata alcuna assegnazione, nè al riguardo è quindi ipotizzabile quella "serie di poteri e facoltà di ordine pubblicistico nella fase di concreta gestione degli alloggi assegnati" che connoterebbe l’attività gestionale in toto dell’alloggio assegnato.

Se può in ultima analisi, convenirsi nel senso che spettano alla giurisdizione amministrativa le controversie relative alla fase dell’assegnazione degli alloggi, deve escludersi che nella fattispecie concreta vi sia stata una assegnazione, dato il diverso strumento privatistico adottato dalle parti. Anche tale motivo deve essere pertanto respinto.

Con il terzo mezzo, singolarmente intestato anch’esso a violazione e falsa applicazione del D.P.R. 30 dicembre 1972, n 1035, art. 11 sotto altro profilo, si lamenta che la controparte avrebbe adito il giudice ordinario con un ricorso basato sul dettato del D.P.R. cit., art. 11, comma 12, sostenendo nel merito che la detta norma non fosse applicabile nella fattispecie.

Tanto avrebbe comportato che egli si fosse rivolto al giudice amministrativo e non, come ha fatto, al giudice ordinario, attesa la natura della domanda proposta. Con ogni evidenza, il ricorrente Comune ha interpretato la domanda in modo del tutto diverso da quello con cui la stessa è stata valutata dal giudice adito. Questi infatti, ha comprensibilmente letto la domanda stessa, anche in ragione delle sede in cui veniva proposta, come volta ad escludere che nella specie potesse trovare applicazione una norma regolante la materia amministrativa, in ragione della fattispecie che veniva sottoposta al suo esame.

E’ appena il caso di aggiungere che nella specie trattavasi di un bene rientrante nel patrimonio disponibile del Comune, mentre la pretesa successiva classificazione dello stesso come bene di edilizia residenziale pubblica, che avrebbe, secondo la tesi del Comune, determinato una diversa disciplina in ordine alla gestione dello stesso, non risulta supportata da alcuna base documentale, cosa questa che comporta come il ricorso sia anche privo del requisito dell’autosufficienza. Anche tale motivo deve essere pertanto respinto e, con esso, il ricorso. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in 3.700,00 Euro, di cui 3.500,00 Euro per onorari, oltre agli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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