Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 21-12-2010) 02-03-2011, n. 7991 Bancarotta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Gup presso il Tribunale di Arezzo, giudicava:

D.M.V.;

B.D.;

unitamente a numerosi altri imputati, per i reati di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di una serie di reati-fine quali: bancarotta, truffe, falsi ed altro, nell’ambito dell’originario progetto criminoso, consistito nell’acquisizione della decotta società Novatec srl, con assunzione di dipendenti ed acquisto di merci, il tutto sino alla fine del giugno 2003, decorso il quale termine temporale i soggetti imputati "sparivano dalla scena" lasciando privi di pagamento sia i dipendenti che i fornitori;

in (OMISSIS);

al termine del giudizio condotto con il rito abbreviato, il Gup condannava gli imputati alla pena indicata in sentenza;

D.M.V., N.C., B.D. e B. M., proponevano gravame e la Corte di Appello di Firenze, con sentenza del 07.01.2010, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ritenuta la continuazione dei reati per quanto riguardava D. M. e N., riduceva le pene inflitte ai medesimi in primo grado, confermando nel resto;

Ricorrono per Cassazione gli imputati D.M.V. e B.D., deducendo:

D.M. (avv. Carnelutti):

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e).

1)- Il ricorrente censura la decisione impugnata per violazione di legge ed illogicità della motivazione avendo ritenuto il reato di associazione per delinquere senza considerare che nella specie ricorreva una serie di reati uniti dal vincolo della continuazione;

la sentenza impugnata non aveva motivato sugli elementi costitutivi del reato associativo e, in maniera illogica, non aveva considerato che mancava un programma criminoso duraturo nel tempo, tanto che la stessa Corte di appello aveva riconosciuto che l’accordo tra i correi prevedeva di effettuare le truffe sino alla fine del giugno 2003;

oltre tale termine sarebbero venuti in scadenza i pagamenti e tutti i partecipanti erano già d’accordo nel senso di "sparire" dalla scena ed interrompere cosi ogni attività delittuosa.

2)- La sentenza era illogica per avere ritenuto la partecipazione all’associazione anche del D.M. nonostante che, in realtà, costui era entrato in scena solo nel (OMISSIS), dopo che gli altri correi avevano già rilevato la società Novatec; doveva perciò ritenersi che i compensi ricevuti, nella misura del 30% del valore della merce acquistata, non era frutto della partecipazione all’associazione per delinquere ma solo una retribuzione per l’attività criminosa svolta in favore degli altri correi;

3)- La sentenza era erronea anche in relazione all’imputazione di bancarotta fraudolenta documentale che non poteva essere attribuita al D.M.: – perchè egli non aveva mai avuto un ruolo di responsabilità nell’azienda Novatec e non poteva essere ritenuto responsabile dei registri contabili;

– perchè non vi era la prova che egli avesse la precisa volontà di danneggiare i creditori attraverso l’omessa tenuta della contabilità aziendale;

– perchè, la Corte territoriale era incorsa nel vizio di mancata correlazione tra la sentenza e l’imputazione, avendo ritenuto che il D.M. svolgesse attività di "amministratore di fatto" della Novatec, circostanza che invece non era mai stata contestata al ricorrente, qualificato nel capo di imputazione come "socio";

B.:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e);

1) Il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere omesso la motivazione riguardo alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato di ricettazione;

si lamenta che la Corte territoriale aveva valorizzato la sua attività di autotrasporto della merce proveniente dalle truffe commesse dagli altri coimputati ma, illogicamente, aveva omesso di verificare e dimostrare se il B. fosse a conoscenza della provenienza delittuosa della merce;

la buona fede dell’imputato risultava, invece, dall’attività di autotrasportatore abitualmente espletata e dalla circostanza che egli aveva rilasciato idonea documentazione per i viaggi effettuati;

– la sentenza era illogica perchè aveva ritenuto insufficienti le prove atte a dimostrare la responsabilità del ricorrente rispetto alla partecipazione all’associazione per delinquere e, per converso, aveva ritenuto provata la consapevolezza in ordine all’origine delittuosa della merce trasportata;

Chiedono pertanto l’annullamento della sentenza impugnata.
Motivi della decisione

Il ricorrente D.M. sostiene che nella specie non potrebbe ravvisarsi il reato di associazione per delinquere, stante la mancanza di un tempo indeterminato nel quale commettere i reati-fine, ma si tratta di un motivo totalmente infondato in quanto sostiene una tesi non accolta dalla giurisprudenza.

Invero questa Corte di legittimità ha espresso il principio, condiviso da questo Collegio, secondo il quale ai fini della consumazione del delitto di associazione per delinquere non occorre un notevole protrarsi del rapporto, essendo sufficiente uno svolgersi dell’attività associativa anche per breve tempo.

(Cassazione penale, sez. 1, 10 febbraio 1981).

Neppure assume rilievo la circostanza che il periodo in cui doveva operare l’associazione avesse un termine preordinato, in quanto la durata del tempo nel quale si svolge l’attività criminosa non ha influenza sul reato, caratterizzato dal progetto di compiere una serie indeterminata di reati, come avvenuto nella specie (ove sono contestati una serie considerevole di reati-fine) mentre non è necessario che il vincolo associativo assuma carattere di assoluta stabilità, essendo sufficiente che esso non sia "a priori" circoscritto alla consumazione di uno o più reati predeterminati.

Cassazione penale, sez. 1, 03 ottobre 1989.

La Difesa sostiene erroneamente che la predeterminazione del termine nel quale deve cessare l’associazione criminosa priverebbe la medesima del requisito dell’indeterminatezza, atteso che questa Corte di legittimità ha affermato il principio per il quale.

E’ configurabile un’associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati di insolvenza fraudolenta, allorchè il programma criminoso dei compartecipi preveda un numero indeterminato di delitti di truffa o di insolvenza fraudolenta e la consecutiva distrazione dei beni dell’impresa, nel cui nome gli associati svolgono l’attività contrattuale, fino a quando la stessa non venga dichiarata fallita. (Nell’occasione la Corte ha osservato prefigurare come termine dell’attività criminosa il momento della dichiarazione di fallimento – dichiarazione che è comunque subordinata all’iniziativa dei creditori dell’impresa e non è predeterminabile da parte degli associati – conferma la genericità del programma associativo e non dimostra, di per sè, l’unicità dell’iter criminoso, relativamente ai singoli reati-fine). Cassazione penale, sez. 5, 21 novembre 2003, n. 78.

Anche i motivi relativi al merito sono totalmente infondati.

Invero il ricorrente propone interpretazioni alternative delle prove già analizzate in maniera conforme dai giudici di primo e di secondo grado, richiamando una diversa valutazione delle dichiarazioni dei testi, che risultano vagliate dalla Corte di appello, con una sequenza motivazionale ampia, analitica e coerente con i principi della logica, sicchè non risulta possibile in questa sede procedere ad una rivalutazione di tali elementi probatori senza scadere nel terzo grado di giudizio di merito.

La Corte territoriale ha indicato in maniera chiara il percorso logico-motivazione con il quale è giunto ad affermare la penale responsabilità del D.M., osservando:

– che, guanto all’associazione per delinquere, la sua responsabilità emergeva:

a) – dalle dichiarazioni dei testi S.E. e G.A. che, in qualità di dipendenti della Novatec avevano riferito che il D.M. svolgeva il ruolo apicale di responsabile degli acquisti e disponeva anche di un ufficio all’interno dell’azienda; b)- dalle dichiarazioni accusatorie del coimputato D.C., che ha affermato come al D.M. andava il 30% delle merci che la Novatec acquisiva mediante le varie truffe contestate; c) – dalla condotta dello stesso prevenuto, che partecipava all’attività fraudolenta degli altri correi spacciandosi come capoufficio ed usando un nome falso; (pag. 11 motivaz.).

– che quanto, alla contestazione di bancarotta fraudolenta documentale, la sua responsabilità emergeva:

a)- dal ruolo apicale svolto nella società Novotec e quindi di amministratore di fatto, per come sopra indicato;

b)- dalla circostanza che egli, svolgendo il ruolo di capoufficio e responsabile degli acquisti, non poteva ignorare le condizioni in cui si trovava la contabilità, strumentalmente carente all’evidente scopo di occultare le illecite attività del gruppo ed impedire la ricostruzione del patrimonio, (pag. 12 motivaz.).

Si tratta di una motivazione che appare congrua perchè aderente alle emergenze fattuali e conforme alla situazione giuridica in cui ha operato il D.M.; al medesimo è contestato di avere operato quale "socio di fatto" per avere realizzato una società di fatto con gli altri partecipanti alla società Novatec"; poichè in una società di fatto l’amministrazione, salvo patto contrario (che qui non risulta), spetta a ciascuno dei soci disgiuntamente dagli altri (Cass. civ. sez. lavoro, 23.12.1995, n. 2037, Rosati; conf.Cass. civ. sez. lav. 27.09.2002 n. 14068), ne deriva che, indipendentemente dal ruolo ufficiale rivestito dal ricorrente, egli era comunque investito dell’amministrazione sicchè, del tutto correttamente, la sentenza impugnata ha ritenuto la sua responsabilità sia per il concorso nel delitto di associazione per delinquere che nel reato-fine di bancarotta documentale.

Tanto premesso sul piano giuridico si deve osservare come la motivazione impugnata non sia censurabile sotto il profilo dell’accertamento dei fatti e della loro valutazione, essendo i giudizi espressi immuni da illogicità evidenti perchè conformi ai criteri di comune esperienza;

è noto, infatti che la Corte di Cassazione non può fornire una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione di merito, nè può stabilire se questa propone la migliore ricostruzione delle vicende che hanno originato il giudizio, ma deve limitarsi a verificare se la giustificazione della scelta adottata in dispositivo sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento. Cassazione penale, sez. 4, 16 gennaio 2006. n. 11395.

Nè può ritenersi sussistente il vizio di mancata correlazione tra l’accusa e la decisione, che il ricorrente solleva in relazione all’originaria imputazione di socio di fatto che la Corte di appello avrebbe (indebitamente) mutato in quella di amministratore di fatto, atteso che la Corte di appello ha fatto preciso riferimento alle risultanze testimoniali (testi S. e G.) nonchè alle dichiarazioni accusatorie del coimputato D.C., utilizzando prove acquisite nel contraddittorio, sicchè il ricorrente è stato posto in grado di difendersi e di chiarire la sua posizione difensiva riguardo all’attività svolta nell’ambito dell’azienda Novatec ed all’interno del sodalizio criminale.

Va ricordato che le norme che disciplinano la necessaria correlazione tra l’accusa e la sentenza ( art. 516 e 522 c.p.p.) hanno lo scopo di assicurare il contraddicono e, quindi, il pieno esercizio del diritto di difesa dell’imputato.

Pertanto la violazione denunciata non ricorre dinanzi a qualsiasi modificazione rispetto all’accusa originaria ma solo allorchè il mutamento pregiudichi la possibilità di difesa dell’imputato, essendo il sistema di garanzia ispirato all’esigenza di evitare che l’imputato sia condannato per un "fatto", inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi. In questa prospettiva non sussiste la violazione dell’anzidetto principio anche qualora la decisione riguardi fatti parzialmente diversi da quelli contestati, ma relativi a circostanze per le quali l’imputato è stato in grado di difendersi. Cassazione penale, Sez. 4, 16 settembre 2008. n. 38819.

In ogni caso, le deduzioni sopra espresse riguardo alla facoltà di amministrazione che compete al socio di fatto, esclude radicalmente ogni mancanza di correlazione tra l’accusa e la sentenza.

Consegue il rigetto del ricorso proposto dal D.M..

I motivi proposti da B.D. risultano totalmente infondati e, pertanto inammissibili, avendo egli censurato la sentenza impugnata per omessa motivazione in ordine alla ricorrenza dell’elemento soggettivo del reato di ricettazione, laddove nella sentenza impugnata si legge che tale prova rinveniva:

a)- dalla circostanza che i trasporti effettuati dal B. risultavano – a prima vista – sospetti, attesa la quantità ed eterogeneità delle merci trasportate, b) – dalla circostanza che tali merci venivano da lui trasportate presso un soggetto "nullatenente" come il N., da lui ben conosciuto; c)- dalla circostanza che era stato il medesimo B. a concedere in affitto al N. il magazzino ove le merci erano trasportate; d) dalla circostanza che il contratto di affitto del magazzino era stato formato in un momento successivo all’utilizzo, dimostrando così la sua strumentalità ed artificiosità.

La Corte di appello trae dal complesso di tali circostanze la convinzione della piena consapevolezza del B. in ordine alla provenienza delittuosa delle merci in questione, in tutta evidenza distratte dal patrimonio aziendale da persone che lui ben conosceva, motivando tale convincimento in maniera congrua perchè ancorata a precisi dati fattuali ed immune da illogicità;

a questo ultimo riguardo non può ritenersi illogica la motivazione solo per avere ritenuto che gli elementi probatori, pur se idonei ai fini della prova della ricettazione, non lo erano ai fini della prova dell’adesione al sodalizio criminale, trattandosi di due ipotesi di reati scindibili e diverse tra loro.

Va ricordato che la Corte di Cassazione non può fornire una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione di merito, nè può stabilire se questa propone la migliore ricostruzione delle vicende che hanno originato il giudizio, ma deve limitarsi a verificare se la giustificazione della scelta adottata in dispositivo sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento. Cassazione penale, sez. 4, 16 gennaio 2006, n. 11395.

Al rigetto del ricorso del D.M. ed alla dichiarazione di inammissibilità per il B. segue la condanna dei medesimi al pagamento delle spese processuali, per il B., – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione dell’inammissibilità – anche della soma di Euro 1.000 cosi determinata in maniera equitativa ex art. 616 c.p.p., nonchè entrambi al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile in questa sede, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

– Rigetta il ricorso di D.M.V. e dichiara inammissibile il ricorso di B.D. e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed il B. anche al pagamento della somma di Euro 1.000 alla cassa delle ammende;

– Condanna altresì i ricorrenti alla rifusione in favore della parte civile Curatela del Fallimento Novatec srl delle spese sostenute in questo grado di giudizio da essa parte civile, liquidate in complessivi Euro 3.000, oltre spese forfetario, I.V.A. e C.P.A..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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