Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 16-12-2010) 02-03-2011, n. 8350

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

usco Stefano, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo

1. – Con la decisione in epigrafe la Corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza del 19 maggio 2009 con cui il Tribunale di Roma aveva ritenuto F.R. responsabile del reato di cui all’art. 372 c.p., condannandola alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione e al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita.

Secondo la sentenza d’appello l’imputata avrebbe deposto il falso all’udienza del 12 febbraio 2004, dichiarando di non essere mai stata invitata da C.G., direttore didattico della scuola presso cui svolgeva la sua attività di insegnante, a ritirare alcune comunicazioni del Provveditorato che la riguardavano, concernenti l’esito di un procedimento disciplinare, conclusosi con la censura.

Secondo i giudici d’appello la falsità della dichiarazione resa sarebbe dimostrata, oltre che da quanto riferito dallo stesso direttore, dalla nota che questi inviò al Provveditorato dopo che l’imputata, convocata in direzione il 2.10.1998, si rifiutò di ricevere la notifica della sanzione disciplinare, nonchè dal contenuto di una missiva spedita dal legale della F. al C., in cui si fa riferimento a tale convocazione, e da una successiva raccomandata del 15.10.1998 in cui la si invitava a presentarsi in ufficio per ricevere la comunicazione del provvedimento disciplinare.

Il procedimento in cui l’imputata ha reso la falsa testimonianza è scaturito dalla sua denuncia nei confronti di C., per violazione della legge sulla privacy, in relazione all’avvenuta affissione nella bacheca della scuola della comunicazione recante l’invito a ritirare la nota del Provveditorato agli studi.

2. – Contro questa decisione l’imputata, tramite il suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione.

Con il primo motivo ha dedotto la manifesta illogicità della motivazione, con riferimento alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato di falsa testimonianza. In particolare, la ricorrente rileva che la sentenza avrebbe travisato il contenuto della deposizione resa all’udienza del 12 febbraio 2004, in cui non ha mai riferito di non aver ricevuto convocazioni o inviti a ritirare comunicazioni provenienti dal Provveditorato, ma si sarebbe limitata a sostenere che tali comunicazioni non erano state fatte in maniera regolare ("a regola d’arte"), in quanto mai notificate all’indirizzo dove aveva fissato la propria residenza. Con riferimento alla convocazione del 2.10.2004 evidenzia come dall’attento esame della dichiarazione risulti che non ha mai negato il tentativo di convocazione da parte del direttore didattico, avendo detto di non ricordarsi di essere stata convocata, ma di non poterlo escludere; in ogni caso, contesta l’identificazione operata in sentenza tra rifiuto di presentarsi all’invito e rifiuto di ricevere la notifica personalmente.

Con il secondo motivo ha denunciato la mancata applicazione della causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 376 c.p. e l’omessa motivazione sul punto.

Con il terzo motivo ha censurato la sentenza in ordine alle statuizioni sugli interessi civili, rilevando che nessun pregiudizio sia derivato alla parte civile per effetto della condotta che le è stata attribuita, criticando la sentenza per avere ricondotto il danno all’immagine al delitto di falsa testimonianza e per averlo fatto derivare dalla sottoposizione al processo, peraltro già instaurato al momento della presunta falsa testimonianza. In sostanza, si sostiene che nessun danno sia derivato in via immediata e diretta al C. dalla falsa testimonianza e che la sentenza è incorsa nella violazione del principio di necessaria corrispondenza tra decisione e fatto contestato, avendo fatto derivare conseguenze dannose da reati mai contestati e comunque diversi da quello imputato alla F..

Si contesta, infine, anche la quantificazione del danno.
Motivi della decisione

3. – Preliminarmente, deve darsi atto che l’imputata ha fatto pervenire a questa Corte, il giorno stesso dell’udienza, una richiesta di rinvio, motivata in relazione all’intervenuta revoca del proprio difensore di fiducia, avvocato Stefano Fusco.

A questo proposito si osserva che l’intervenuta revoca del difensore, comunicata dopo l’avvenuta notifica dell’avviso dell’odierna udienza, è da considerare priva di rilevanza e, inoltre, non può giustificare alcuna richiesta di rinvio.

Nel giudizio di cassazione l’obbligo per il presidente di nominare un difensore di ufficio è previsto dall’art. 613 c.p.p., comma 3 per l’ipotesi in cui l’imputato sia privo di difensore di fiducia, ma se l’imputato ne sia munito e ad esso sia stato tempestivamente notificato l’avviso di udienza, la successiva revoca del mandato (come pure la rinuncia al mandato) non comporta l’obbligo di nomina di un difensore di ufficio e della notifica di una nuova udienza, con conseguente rinvio di quella già fissata. Un tale obbligo sorge solo nell’ipotesi in cui, rinviata l’udienza già fissata per un qualche motivo, occorra notificare un nuovo avviso, che non potrà essere notificato al difensore revocato o rinunciante.

Infatti, l’art. 107 c.p.p., commi 3 e 4 prevede espressamente che la revoca del mandato difensivo, al pari della rinuncia, non ha effetto immediato nei confronti del difensore che abbia già ricevuto l’avviso di udienza. Nel caso di specie, l’avvocato Stefano Fusco, avendo ricevuto regolare avviso dell’udienza, prima della revoca da parte dell’imputata, deve ritenersi ancora onerato della difesa della cliente, non essendo intervenuta alcuna nuova nomina di difensore.

Pertanto, non ricorre alcuna necessità di rinviare l’udienza, dal momento che l’imputata risulta difesa ancora dall’avvocato summenzionato.

4. – Passando all’esame del ricorso deve rilevarsi che i primi due motivi sono infondati.

La sentenza impugnata ha correttamente ritenuto la sussistenza del reato di falsa testimonianza per avere l’imputata negato di avere ricevuto notizia del provvedimento disciplinare che la riguardava. In particolare, i giudici di appello hanno rilevato la falsità delle dichiarazioni rese in quanto dagli atti è risultato che il 2 ottobre 1998 la F. venne convocata dal direttore didattico, il quale le comunicò il provvedimento in questione, di cui però l’imputata rifiutò la notifica formale. Tale circostanza è stata riferita non solo dal C., cioè dall’allora direttore didattico, ma risulta in una nota che questi inviò al Provveditorato, per comunicare il rifiuto dell’insegnante a ritirare il provvedimento; inoltre, l’episodio della convocazione emerge anche dalla lettera del 3 ottobre 1998 inviata dal legale della F. al C.. A ciò la sentenza aggiunge anche la raccomandata che lo stesso direttore inviò successivamente all’imputata, in data 15 ottobre 1998, invitandola a presentarsi entro tre giorni in ufficio per ricevere la notifica del provvedimento disciplinare.

Rispetto a questa ricostruzione la ricorrente ha tentato di sostenere che le dichiarazioni rese davanti al giudice non fossero false, negando di avere ricevuto qualsiasi notifica e offrendo una rilettura del senso delle sue dichiarazioni. Invero, la sentenza impugnata ha ben rappresentato l’atteggiamento dell’imputata quando ha reso la sua testimonianza, evidenziandone la falsità soprattutto per avere negato che nella convocazione del 2 ottobre 1998 il direttore le comunicò la necessità di notificarle la nota, dalla stessa rifiutata. Peraltro, i giudici hanno censurato il tentativo difensivo di evocare notifiche fatte non a "regola d’arte", sottolineando che anche a voler dar credito a questa interpretazione, resta il fatto che tale giustificazione non avrebbe rilievo rispetto alla convocazione del 2 ottobre 1998, sicuramente avvenuta e di cui i giudici, come si è detto, hanno indicato le prove dirette.

Coerente è anche la spiegazione che la sentenza da circa il comportamento dell’imputata: negare le notifiche e i tentativi di comunicazione del provvedimento disciplinare era funzionale alla dimostrazione che il direttore didattico non aveva eseguito le corrette procedure per notificarle personalmente il provvedimento del Ministero, procedendo illegittimamente all’affissione in bacheca della nota stessa, in questo modo giustificando e dando forza alla querela presentata nei suoi confronti.

5. – Del tutto infondato è il motivo con cui la ricorrente lamenta la mancata applicazione dell’art. 376 c.p..

Nessun elemento dimostra che l’imputata abbia inteso ritrattare le dichiarazioni rese. Al contrario, le condotte indicate nel ricorso, relative alla "ammissione di poter esser stata convocata" dal direttore e al riconoscimento della propria firma sulla cartolina della raccomandata, lungi dal poter essere considerate forme di ritrattazione, costituiscono, stando alla ricostruzione dei fatti contenuta nella sentenza, elementi che dimostrano la pervicacia dell’imputata nel sostenere consapevolmente una versione dei fatti palesemente falsa, tentando, al contempo, di limitare il rischio di una incriminazione per falsa testimonianza.

6. – E’ invece fondato il motivo riguardante il capo civile della sentenza.

La Corte d’appello ha ritenuto di confermare le statuizioni civili a carico dell’imputata, in quanto il C., avrebbe ricevuto un danno all’immagine per il fatto di essere stato "ingiustamente sottoposto a giudizio, con conseguente suo stress e patimento per l’esito dello stesso" e ha quantificato in via equitativa la somma a titolo di risarcimento, tenendo conto anche della durata del processo.

In questo modo i giudici territoriali hanno posto in relazione causale il danno all’immagine subito dalla parte civile con il processo penale a cui è stata sottoposta, ma senza considerare che il processo non è stato causato dalle false dichiarazioni della F., processo che era ovviamente già iniziato quando l’imputata le ha rese, commettendo il reato di falsa testimonianza.

Il danno che in questo caso può essere risarcito è quello che direttamente sia derivato dalla falsa testimonianza, in base a quanto prevede l’art. 185 c.p., sicchè il riferimento al "processo" come l’evento produttivo dell’obbligazione risarcitoria è del tutto improprio. Nel caso di specie, il danno derivante dal reato di cui all’art. 372 c.p. non può ricomprendere la totalità degli effetti dannosi subiti dal privato per la sottoposizione al processo, ma solo quelli che, eventualmente, siano derivati dal mendacio.

Su questo punto la sentenza ha offerto una motivazione manifestamente illogica, oltre che fondata su una erronea applicazione degli artt. 185 e 372 c.p., sicchè il relativo capo della sentenza deve essere annullato, con rinvio, ai sensi dell’art. 622 c.p.p., al giudice civile competente per valore in grado di appello, perchè accerti ed eventualmente quantifichi il danno derivato alla parte civile dal reato commesso dall’imputata.

Nel resto il ricorso deve essere rigettato.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello per il relativo giudizio.

Rigetta nel resto il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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