T.A.R. Campania Salerno Sez. II, Sent., 28-02-2011, n. 363 Edilizia e urbanistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La società ricorrente, proprietaria di un lotto di mq. 3.575, sito in Avellino, alla via Palombi, sul quale insiste un fabbricato di circa mq. 1.000, suddiviso nei corpi A, B e C, per il quale aveva ottenuto dal Comune di Avellino, in data 21.08.06, un p. di c., n. 11157, per ristrutturazione, manutenzione straordinaria ed adeguamento igienico – funzionale, da eseguirsi nel termine di tre anni, decorrenti dalla data d’inizio dei lavori; premesso che detta area ricadeva nel comparto Rq 10 del P. U. C. di cui all’epigrafe, contenente la previsione, da attuarsi su iniziativa privata, della creazione di un’arteria di viabilità pubblica, che attraversava l’immobile. denominato edificio C, di proprietà della medesima, rappresentava che, in data 18.10.07, l’Amministrazione Comunale aveva avviato un procedimento, volto alla verifica della legittimità del prefato p. di c., conclusosi con la conferma della stessa; che, approssimandosi la scadenza del termine per l’esecuzione dei lavori (14.09.09), la ricorrente aveva chiesto al Comune, in data 16.07.09, una proroga di ventiquattro mesi dello stesso termine, la quale, tuttavia, era stata concessa, soltanto per i corpi A e B, con esclusione del corpo C, la cui ristrutturazione non avrebbe garantito la realizzazione e la cessione delle aree a viabilità, previste nel P. U. C.; avverso detto provvedimento la stessa ricorrente articolava, pertanto, i seguenti motivi di censura:

1) Violazione del principio del legittimo affidamento; degli artt. 12 e 15 d. P. R. 380/01; art. 10 l. r. Campania 16/04; art. 4.5 del R. E. del Comune di Avellino; del giusto procedimento; Eccesso di potere (contraddittorietà con precedenti determinazioni, illogicità, irragionevolezza, travisamento dei fatti, erronea valutazione dei presupposti): non era applicabile l’art. 15 co. 4 d. P. R. 380/01, prevedente la decadenza del p. di c., per sopravvenienze urbanistiche, perché relativamente al corpo C, trattandosi di ristrutturazione edilizia, non ne era prevista la demolizione e ricostruzione; del resto, al momento del rilascio del titolo edilizio, il P. U. C. era già stato adottato; se il ragionamento del Comune fosse stato valido, lo stesso ente avrebbe dovuto sospendere ogni determinazione in merito alla domanda, come prescritto dall’art. 12, co. 3, del d. P. R. 380/01 e dall’art. 10 della l. r. Campania n. 16/04; inoltre, il provvedimento impugnato si poneva in palese contraddizione con l’atto, emanato dal Comune in data 22.11.07, con il quale era stata ribadita la legittimità del p. di c. in questione;

2) Violazione dell’art. 3 l. 241/90; Eccesso di potere (sviamento, difetto d’istruttoria, travisamento dei fatti ed erronea valutazione dei presupposti): la motivazione del provvedimento gravato era assolutamente incongrua ed insufficiente, tanto più in considerazione del fatto che la previsione di piano doveva essere attuata, per mezzo di iniziativa privata;

3) Violazione dell’art. 42 Cost.; dei principi del giusto procedimento, di proporzionalità, di ragionevolezza e buon andamento dell’azione amministrativa; degli artt. 7 e 11 d. P. R. 327/01; degli artt. 3, 7 e ss. l. 241/90; Eccesso di potere (illogicità e contraddittorietà): qualora il vincolo, insistente sul corpo di fabbrica C, fosse stato ritenuto di natura espropriativa, sarebbero stati allora violati i parametri normativi di riferimento, non avendo il Comune attivato, al riguardo, alcun contraddittorio con la società ricorrente.

La stessa società proponeva, infine, due distinte domande di risarcimento danni, la prima, per il caso dell’accoglimento del ricorso e del conseguente annullamento del provvedimento gravato, relativa alle conseguenze dannose patrimoniali (lucro cessante, danno all’immagine, danno da perdita di chance) che si sarebbero prodotte, nella sfera giuridica della stessa società, per effetto dell’adozione del medesimo (relativamente alla quantificazione delle quali, era chiesto l’espletamento di c. t. u.); la seconda, per il caso di mancato accoglimento del ricorso e, quindi, di mancato annullamento dello stesso provvedimento, relativa comunque ai danni, derivati alla società, per effetto della violazione dell’affidamento ingenerato, dal Comune di Avellino, circa la legittimità del p. di c. di cui sopra.

Il Comune di Avellino depositava controricorso, in cui eccepiva, preliminarmente, l’irricevibilità del ricorso per tardività, relativamente all’impugnativa del P. U. C.; l’inammissibilità od improcedibilità dello stesso, per mancata impugnativa dell’atto presupposto, rappresentato appunto dal prefato P. U. C.; nel merito, concludeva per il rigetto del ricorso e delle pedisseque richieste di risarcimento dei danni, perché infondate.

Si costituiva la Provincia di Avellino, rilevando l’infondatezza della censura, impingente nell’omessa garanzia del contraddittorio procedimentale, quanto all’approvazione del P. U. C., di competenza dell’ente locale intermedio.

La ricorrente produceva documentazione ed una memoria difensiva, nella quale controdeduceva rispetto alle eccezioni preliminari ed alle argomentazioni difensive, svolte dal Comune di Avellino, nonché ribadiva i motivi, a sostegno del gravame e delle domande di risarcimento dei danni, ivi formulate.

Anche il Comune di Avellino depositava uno scritto difensivo riepilogativo.

All’udienza pubblica del 9.12.2010 il ricorso era trattenuto in decisione.

Con il secondo dei ricorsi in epigrafe, l’E.N.E.L.S., proprietaria di un lotto di mq. 3.575 sito in Avellino alla via Palombi, sul quale insiste un fabbricato di circa mq. 1.000, suddiviso nei corpi A, B e C, per il quale aveva ottenuto dal Comune di Avellino, in data 21.08.06, un p. di c., n. 11157, per ristrutturazione, manutenzione straordinaria ed adeguamento igienico – funzionale, segnalava che, negli allegati all’istanza di p. di c., era chiaramente prevista la destinazione ad uffici del piano terra del corpo A (da allestire in "open – space"), la quale rifletteva, del resto, quella dell’intero blocco A; che, con d. i. a. del 29.04.09, cui aveva fatto seguito il silenzio – assenso dell’Amministrazione Comunale, la ricorrente aveva chiesto l’autorizzazione ad effettuare opere di consolidamento strutturale del medesimo blocco, ed aveva ribadito, altresì, al fine di fugare ogni dubbio, il cambio di destinazione d’uso del piano terra ad uffici, rispetto allo stato di fatto esistente; tanto premesso, lamentava che, in data 2.10.09, il Comune le aveva comunicato l’avvio del procedimento, volto all’annullamento del silenzio – assenso, formatosi sulla prefata d. i. a., contestando il cambio di destinazione d’uso che, seppur compatibile con le previsioni del P. U. C., avrebbe posto la necessità d’individuare gli standards urbanistici, per parcheggi pubblici e privati, a norma delle N. T. A. del medesimo piano; che, nonostante la presentazione di osservazioni, il Comune aveva quindi chiuso il procedimento, confermando la validità della d. i. a., quanto alle opere di consolidamento strutturale, ma negando l’ammissibilità del cambio di destinazione d’uso da spogliatoi, servizi igienici e docce, ad uffici; avverso detta determinazione, la ricorrente esponeva le seguenti doglianze:

1) Violazione dell’art. 3 del d. P. R. 300/92; dell’art. 19 co. 3 della l. 241/90; degli artt. 22 e 23 del d. P. R. 380/01; dell’art. 2 della l. r. Campania 19/01; del principio del giusto procedimento; Eccesso di potere (sviamento, illogicità, irragionevolezza, travisamento dei fatti ed erronea valutazione dei presupposti): ove l’Amministrazione avesse ravvisato l’incompletezza o l’irregolarità della d. i. a., presentata dalla ricorrente, avrebbe dovuto, anziché annullare il provvedimento tacitamente formatosi al riguardo, richiedere un’integrazione documentale, e tanto ai sensi del combinato disposto degli artt. 19 co. 3 della l. 241/90 e 3 co. 3 del d. P. R. 300/92;

2) Violazione degli artt. 21 quinquies e 21 nonies della l. 241/90; dei principi del legittimo affidamento e di proporzionalità; Eccesso di potere (illogicità, irragionevolezza, travisamento dei fatti ed erronea valutazione dei presupposti): sarebbe mancato, nella specie, l’interesse pubblico, concreto ed attuale, all’annullamento del provvedimento tacitamente formatosi, laddove era stato violato il legittimo affidamento, ingeneratosi nel privato, per effetto del comportamento del Comune, circa la legittimità del cambio di destinazione d’uso;

3) Violazione dell’art. 3 l. 241/90; dei principi del legittimo affidamento, del giusto procedimento, di ragionevolezza e di buon andamento dell’azione amministrativa; Eccesso di potere (incompletezza e difetto d’istruttoria, travisamento dei fatti ed erronea valutazione dei presupposti): il provvedimento impugnato non recava un’adeguata motivazione, tanto più se si teneva presente che, secondo la ricorrente, il mutamento di destinazione d’uso doveva ritenersi autorizzato, già con il permesso di costruire.

La ricorrente proponeva, altresì, domanda di risarcimento dei danni, cagionati alla medesima dalla condotta dell’Amministrazione, sotto i profili del danno emergente, del danno all’immagine e del danno da perdita di chance, chiedendo che fosse espletata una c. t. u., volta alla precisa quantificazione degli stessi.

Il Comune di Avellino depositava controricorso, in cui concludeva per il rigetto del gravame, nonché della domanda di risarcimento dei danni.

Entrambe le parti producevano, quindi, documentazione e memorie difensive; in particolare, la ricorrente controdeduceva, rispetto alle argomentazioni esposte dal Comune, mentre quest’ultimo eccepiva, ulteriormente, l’improcedibilità del ricorso, per sopravvenuta carenza d’interesse, in relazione al deposito, da parte di E.N.E.L.S., di un’integrazione alla d. i. a. del 29.04.09, volta al ripristino della destinazione d’uso originaria del piano terra del corpo A.

All’udienza pubblica del 9.12.2010, il ricorso era trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

Preliminarmente va disposta la riunione dei due ricorsi, per evidenti ragioni di connessione soggettiva e, in parte, oggettiva.

Vanno, quindi, affrontate le eccezioni preliminari sollevate – nel ricorso n. 2200/2009 R. G. – dalla difesa del Comune di Avellino.

La prima – d’irricevibilità del ricorso, per tardività, nella misura in cui lo stesso è diretto a contestare il P. U. C. di Avellino, adottato con delibera di C. C., n. 18 sub 13 del 23.01.06, ed approvato con d. P. G. P. n. 1 del 15.01.08 (nella parte in cui, all’art. 16 delle N. T. A. ed alla scheda normativa all. 1 b delle stesse N. T. A., prevede nella zona di riqualificazione urbana "Collina Liquorini" (Rq 10) la costruzione di una arteria di viabilità pubblica, che attraversa gli immobili di proprietà E. N. E. L., siti in Avellino alla via Palombi), non è fondata.

Tale eccezione si fonda sul rilievo che il termine per impugnare gli atti generali (nella fattispecie, il P. U. C.), che non richiedono una comunicazione ovvero una notificazione individuale e per i quali è prevista la pubblicazione, decorre dal giorno successivo a quello ultimo di pubblicazione (nella specie: 28.01.08), laddove il ricorso in esame è stato notificato assai più tardi (30.11.09).

La società ricorrente ha replicato che, nella specie, la concreta lesione del suo interesse si sarebbe verificata, solo al momento dell’atto applicativo delle prefate prescrizioni delle N. T. A. del P. U. C., vale a dire con la conoscenza, da parte sua, del provvedimento, prot 36508/31375 del 2.10.2009 (notificato mediante consegna, a mani, in pari data), con cui il Comune di Avellino ha denegato la proroga di dodici mesi del termine per l’ultimazione dei lavori di ristrutturazione edilizia del complesso di proprietà della ricorrente, sito alla via Palombi n. 10, relativamente al corpo di fabbrica C; la ricorrente ha osservato, in particolare, che il vincolo derivante dalle N. T. A. del P. U. C., con il quale s’ipotizza la collocazione di un’arteria di viabilità pubblica che attraversa il lotto della ricorrente, "tagliando" il suddetto corpo di fabbrica C, non assoggetterebbe l’immobile in questione ad un vincolo espropriativo, ovvero d’inedificabilità assoluta, trattandosi di prescrizione che consente al privato, ove ne ravvisi l’opportunità, d’attuare le previsioni di piano, tramite un P. U. A. ad iniziativa privata con cui, previa demolizione dei corpi di fabbrica preesistenti, ridefinire l’assetto plano volumetrico dei propri immobili, includendo nella progettazione l’arteria pubblica, senza tuttavia far nascere alcun vincolo, per il privato, a dare corso alla riqualificazione degli edifici preesistenti, secondo tali modalità attuative.

Si tratterebbe, in sostanza, secondo la ricorrente, "di una mera ipotesi programmatica la cui concreta ed effettiva attuazione viene rimessa esclusivamente alla volontà del privato proprietario"; e, pertanto, la stessa avrebbe potuto essere legittimamente impugnata, solo con il provvedimento che ne ha fatto, in concreto, applicazione.

La tesi di parte ricorrente è, in effetti, confermata dall’esame della concreta conformazione del vincolo "de quo", quale emerge dalla lettura dell’art. 16 delle N. T. A. al P. U. C. in oggetto.

Detto articolo, dopo aver illustrato, tra le altre, le zone di riqualificazione Rq (tra cui quella in esame – Rq 10), detta, alla lett. C, norme – valide per tutte le zone ivi disciplinate – per la "modificazione dell’assetto urbano", e, quindi, alla lett. E, le relative "modalità attuative", prevedendo effettivamente (come rilevato dalla ricorrente), che "l’attuazione degli interventi avviene nel rispetto dei contenuti dell’art. 34 l. r. n. 16/2004" (disciplinante il comparto edificatorio) "e degli artt. 4 e 5 delle presenti norme", vale a dire per mezzo di piano urbanistico attuativo; anche se, per "le aree destinate alla viabilità" (e ai servizi), lo stesso articolo (punto 17) stabilisce che "è facoltà dell’Amministrazione procedere alla realizzazione degli stessi anche prima dell’approvazione delle trasformazioni private, attraverso le modalità di esproprio" (il successivo punto 18 prevede poi che "in alternativa all’esproprio i proprietari, in caso di cessione gratuita delle aree necessarie alla viabilità e ai servizi, possono rimanere titolari della relativa quota di utilizzazioni edificatorie, da utilizzare in sede di trasformazione e per un periodo non superiore a 5 anni dalla data di cessione delle aree").

Tale essendo il concreto contenuto del vincolo in questione, se ne deve quindi affermare, anche per le aree destinate, come quella in esame, a viabilità, la natura non immediatamente lesiva; pur essendo stata testualmente riservata, all’Amministrazione, la facoltà di esercitare la concreta modalità di attuazione delle previsioni di piano, consistente nell’esproprio, la stessa è tuttavia "in alternativa" alla cessione gratuita delle aree, da compensare (secondo il meccanismo della cd. "perequazione urbanistica") con una "quota di utilizzazioni edificatorie", da utilizzarsi entro cinque anni dalla data della cessione; la conseguenza di tale alternatività dello strumento espropriativo, rispetto a quello perequativo, consiste, a parere del Tribunale, in ciò, che detta previsione di piano non può considerarsi immediatamente lesiva, potendo, quindi, la sua impugnazione essere differita al momento della conoscenza del provvedimento applicativo.

Le conclusioni di cui sopra trovano conferma nella circostanza che la scheda urbanistica, riferita alla zona Rq 10 – Zona di riqualificazione Collina Liquorini – ha previsto unicamente lo strumento urbanistico esecutivo, ai sensi dei prefati artt. 4 e 5 delle N. T. A. del P. U. C., quale procedura ordinaria d’attuazione degli interventi, da effettuarsi nella medesima.

Ciò – se pure non toglie che l’Amministrazione si sia comunque riservata, in astratto, la facoltà d’utilizzare lo strumento espropriativo, al fine di realizzare le previsioni di piano – pone comunque il predetto strumento in termini di alternatività, anzi di subalternità, e di mera eventualità, rispetto all’applicazione delle procedure d’attuazione, previste nella disposizioni generali delle N. T. A. (convenzione ovvero piano urbanistico attuativo).

Devono pertanto trovare applicazione, nella specie, gli orientamenti giurisprudenziali, compendiati nelle seguenti massime: "La prescrizione di piano regolatore generale che sottopone un’area ad un vincolo di previa pianificazione urbanistica attuativa, pur costituendo una disposizione puntuale di natura provvedimentale, in relazione alla perimetrazione della specifica porzione del territorio comunale cui si riferisce, non può essere di norma considerata "ex se" quale atto immediatamente lesivo, potendo la lesività apprezzarsi solo con riferimento ad un preciso tipo di intervento che si intenda realizzare" (T. A. R. Lombardia Brescia, 6 dicembre 2002, n. 2206); "Allorquando sia realizzabile ad iniziativa privata in alternativa all’iniziativa pubblica – onde la previa ablazione del bene costituisce una mera eventualità – il vincolo di destinazione ad attrezzature ad uso collettivo non può considerarsi di natura espropriativa, per essere espressione della potestà conformativa del diritto di proprietà sul bene, utilizzabile anche da parte dei privati in vista del soddisfacimento di esigenze di pubblico interesse specificamente individuate. In tali casi, in altri termini, trattandosi di previsioni che si limitano ad imporre una vocazione specifica a determinate porzioni di suolo, vocazione attuabile a mezzo di opere di pubblico interesse – senza la necessità di vere e proprie opere pubbliche – risulta ammissibile la loro realizzazione anche su iniziativa dei proprietari, mentre non è indispensabile la previa espropriazione da parte dell’Amministrazione pubblica" (T. A. R. Emilia Romagna Parma, sez. I, 28 ottobre 2008, n. 409).

Neppure la seconda eccezione preliminare svolta dalla difesa del Comune di Avellino, (di inammissibilità od improcedibilità del ricorso, per omessa impugnativa dell’atto presupposto, rappresentato dal suddetto P. U. C.), ha, del resto, pregio.

La sua inidoneità a produrre effetti, di paralisi dell’avversa impugnativa, si desume in particolare, anche in tal caso, dalla considerazione della non immediata lesività della prescrizione urbanistica in commento, per le ragioni dianzi esposte, onde non v’era ragione, per la ricorrente, di gravare il piano urbanistico comunale, indipendentemente dall’atto applicativo.

La conclusione è confermata, "a contrario", dalla massima che segue, espressione di un indirizzo costante della giurisprudenza: "Lo strumento urbanistico comunale può essere impugnato in sede giurisdizionale fin dalla sua adozione, nella misura in cui è suscettibile di applicazione (mediante le misure di salvaguardia o negli altri modi consentiti dalla legge) e si presenti come immediatamente lesivo, ad esempio limitando con le previsioni in esso racchiuse lo "ius aedificandi" (T. A. R. Puglia Lecce, sez. I, 13 dicembre 2004, n. 8459).

Ciò posto, in via preliminare, quanto alla tempestività ed all’ammissibilità del primo dei due ricorsi in epigrafe, osserva il Tribunale che lo stesso non può, tuttavia, essere accolto.

Non è fondata, in particolare, la prima censura, secondo la quale il Comune di Avellino, in sede di decisione circa la richiesta di proroga del termine d’ultimazione dei lavori, assentiti con il p. di c. n. 11157/2006, avrebbe illegittimamente negato la proroga richiesta, relativamente al fabbricato indicato con la lett. C, motivandola con il sopravvenire di contrastanti previsioni urbanistiche, ai sensi dell’art. 15 comma 4 del d. P. R. 380/2001.

Ciò, in quanto detta norma non sarebbe applicabile al caso concreto, posto che – trattandosi di p. di c. relativo ad interventi di ristrutturazione edilizia, e non essendo quindi prevista la demolizione e successiva ricostruzione del medesimo – la conformità urbanistica del fabbricato preesistente si sarebbe "trasferita" a quello ristrutturato; inoltre, osservava la ricorrente, in sede di rilascio del prefato p. di c., l’Amministrazione Comunale non aveva applicato alcuna misura di salvaguardia, pur essendo stato, il P. U. C., già adottato (con deliberazione di C. C. del 23.01.06).

Orbene, in senso contrario deve rilevarsi come la distinzione, che in tal modo la ricorrente cerca di accreditare, ai fini dell’applicazione della disposizione di legge in questione, tra differenti tipi di p. di c. (rispettivamente volti alla demolizione e ricostruzione, ovvero alla mera ristrutturazione edilizia), non trova alcuna rispondenza, nel testo della citata norma, posto che è stato viceversa osservato che: "L’art. 15 comma 4, t. u. 6 giugno 2001 n. 380 è categorico nel prevedere che il permesso di costruire decade con l’entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio. La norma citata riproduce sostanzialmente l’art. 31 comma 11, l. 17 agosto 1942 n. 1150, nel testo introdotto dall’art. 10, l. 17 agosto 1967 n. 765, secondo il quale l’entrata in vigore di nuove previsioni urbanistiche comporta la decadenza delle licenze in contrasto con le previsioni stesse, salvo che i relativi lavori siano stati iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data d’inizio" (T. A. R. Campania Napoli, sez. II, 21 novembre 2006, n. 10044).

Si tenga presente che, quanto all’ampiezza dell’ambito operativo della norma in oggetto, è stato anche osservato, da parte dei Giudici di Palazzo Spada, che: "La regola generale della decadenza del permesso di costruire in caso di contrasto con il nuovo piano regolatore, disciplinata dall’art. 15, comma 4, d. P. R. n. 380 del 2001, trova la sua "ratio" nell’esigenza di garantire indefettibile applicazione alle sopravvenute previsioni urbanistiche, in quanto volte ad un più razionale assetto del territorio, con la sola eccezione dell’ipotesi che i lavori precedentemente assentiti siano già cominciati nel vigore del piano precedente e siano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio"; e che: "II decorso di un notevole lasso di tempo non impedisce la pronuncia di decadenza di cui all’art. 15, comma 4, d. P. R. n. 380 del 2001, in quanto quest’ultima è espressione di un potere vincolato, avente natura ricognitiva con effetti "ex tunc", diretto ad accertare il venir meno degli effetti del titolo edilizio difforme dal piano urbanistico sopravvenuto. Ne deriva che la pronuncia di decadenza, per il suo carattere dovuto, è sufficientemente motivata qualora si evidenzi l’effettiva sussistenza dei presupposti di fatto, stante la prevalenza dell’interesse pubblico all’attuazione del piano sopravvenuto imposta dalla norma in questione" (Consiglio Stato, sez. IV, 10 agosto 2007, n. 4423).

Né può valere, in senso difforme, l’osservazione di parte ricorrente, impingente nella mancata applicazione da parte dell’Amministrazione, in sede di rilascio del p. di c., nel 2006, delle misure di salvaguardia, derivanti dal piano urbanistico comunale in corso di approvazione, posto che: "In sede di adozione di una variante al piano regolatore generale, le misure di salvaguardia non si applicano con riferimento alla ristrutturazione edilizia di un fabbricato, non comportando tale intervento alcuna trasformazione, né alcun ampliamento del fabbricato medesimo" (Consiglio Stato, sez. V, 19 marzo 1999, n. 277).

Legittimamente, quindi, il Comune di Avellino non ha tenuto conto della normativa urbanistica "in itinere", in sede di rilascio, nel 2006, del p. di c. per la ristrutturazione degli immobili di pertinenza della società ricorrente, laddove altrettanto legittimamente ha stabilito di negare, nel 2009, la proroga richiesta, limitatamente al corpo C, stante la vigenza di previsioni urbanistiche contrastanti, essendo intanto stato approvato (con d. P. G. P. n. 1/2008) il P. U. C. cittadino, che nella scheda relativa alla zona Rq 10 consentiva, in particolare, soltanto interventi edilizi compatibili con la "realizzazione e la cessione gratuita delle aree destinate alla viabilità, nonché la realizzazione ovvero l’assoggettamento ad uso pubblico delle aree da destinare a parcheggio denominate, nel piano, pt".

Neppure ha pregio, per il Tribunale, la seconda censura, relativa al ricorso n. 2200/2009 R. G., secondo cui sarebbe ravvisabile, nell’atto impugnato, un difetto di motivazione, derivante dalla mancata considerazione, nel medesimo, del "fatto assorbente", rappresentato dalla realizzabilità della suddetta previsione di piano, concernente la zona Rq 10, per mezzo di un p. u. a., ad iniziativa privata.

La circostanza testé evidenziata non è in realtà decisiva, ai fini della tenuta dell’impianto motivazionale del provvedimento, e ciò sia perché la previsione, in via ordinaria, derivante dalla scheda riguardante la zona Rq 10, di un piano urbanistico attuativo, da realizzarsi per mezzo dell’iniziativa privata, non implica l’abdicazione, da parte del Comune, alla sua potestà di governo delle trasformazioni edilizie (che s’esprime nella specie, precipuamente, nella preventiva approvazione, da parte della P. A., del piano, eventualmente predisposto dai privati), sia perché l’interesse alla viabilità è di carattere eminentemente collettivo e va quindi salvaguardato, in linea di principio, a prescindere dai concreti strumenti, previsti per la sua attuazione; sia, infine, perché la disciplina dettata dall’art. 16 delle N. T. A. del P. U. C., circa le modalità attuative delle prescrizioni concernenti, tra le altre, le zone di riqualificazione, non esclude, comunque, la realizzazione delle opere, destinate alla viabilità ed ai servizi, "anche prima della approvazione delle trasformazioni private", attraverso lo strumento espropriativo.

La terza censura, concernente il primo degli epigrafati ricorsi, è poi smentita proprio dalle osservazioni, dianzi svolte, circa la natura non espropriativa della previsione (emergente dall’art. 16 N. T. A. e dalla scheda normativa – all. 1 b – delle stesse N. T. A.), nella zona di riqualificazione urbana "Collina Liquorini" (Rq 10), della costruzione di una arteria di viabilità pubblica, attraversante gli immobili di proprietà E. N. E. L., siti in Avellino alla via Palombi.

L’affermata natura conformativa della previsione di piano, derivante dalla sua ordinaria realizzabilità a mezzo d’iniziativa privata, infatti, se da un lato esclude – giusta quanto rilevato sopra – che il ricorso in esame possa essere considerato tardivo (in relazione alla mancata impugnativa del P. U. C. nel termine di legge, decorrente dalla sua pubblicazione), dall’altro implica come non possano trovare spazio le doglianze di parte ricorrente, esposte nel terzo motivo di gravame, il cui presupposto riposa proprio sull’eventuale diversa conclusione, della natura espropriativa del vincolo "de quo".

Va quindi condiviso quanto affermato, in proposito, dalla difesa del Comune, vale a dire che il P. U. C. cittadino non impone alcun vincolo preordinato all’esproprio, "in quanto le aree e le attrezzature di interesse pubblico, da cedere all’Amministrazione Comunale, vengono da questa acquisite tramite l’istituto della perequazione urbanistica, previsto dagli artt. 32 e seguenti della l. r. n. 16/2004, contestualmente all’approvazione del piano attuativo di iniziativa privata".

Il mancato accoglimento del ricorso impedisce, in radice, lo scrutinio favorevole della prima delle due domande di risarcimento dei danni, formulata da parte ricorrente per il caso dell’accoglimento del ricorso; mentre, quanto alla seconda di dette istanze risarcitorie (testualmente avanzata proprio per la verificata ipotesi di rigetto dell’impugnativa, avverso il diniego parziale di proroga del termine per l’ultimazione dei lavori, relativi al p. di c. in esame), osserva il Collegio che l’asserita lesione, da parte del Comune di Avellino, dello "affidamento circa la piena e sicura legittimità del permesso di costruire", non pare idonea, in assenza della prova di un fatto illecito generatore di danno e della sua riferibilità ad una condotta, almeno colposa, dell’Amministrazione, a fondare alcuna responsabilità, "ex lege Aquilia", in capo alla medesima.

Si consideri anche, al riguardo, la seguente massima: "Buona fede e correttezza sono parametri di comportamento dei soggetti privati alla cui stregua il giudice ordinario risolve i conflitti intersoggettivi. Il giudice amministrativo non impinge nel merito dell’attività amministrativa, ma si limita al solo controllo di legalità delle modalità con le quali essa è stata svolta in conformità ai principi costituzionali di imparzialità e buon andamento; pertanto non si ravvisano nel nostro ordinamento principi generali di tutela dell’affidamento nell’espletamento dell’attività provvedimentale" (Consiglio Stato, sez. V, 18 novembre 2002, n. 6389).

Ciò stabilito, quanto al primo dei due ricorsi in esame, rileva il Collegio che il secondo è improcedibile, per sopravvenuto difetto d’interesse.

Lo stesso ha per oggetto il provvedimento, prot. 48754 – 42926/Urb del 29.10.09, notificato in data 6.11.09, con cui il Comune di Avellino ha chiuso il procedimento avviato per valutare l’annullamento del silenzio – assenso formatosi sulla d. i. a., presentata dalla ricorrente in data 24.04.09, in variante al permesso di costruire n. 11157/2006, confermando la validità della predetta d. i. a., relativamente alle opere di consolidamento strutturale, ma negando il chiesto mutamento di destinazione d’uso del piano terra (da spogliatoi, servizi igienici e deposito attrezzi ad uffici), relativamente al corpo di fabbrica, di sua proprietà, indicato con la lettera A.

Orbene, nella memoria prodotta in giudizio in data 25.06.2010, la difesa dell’Amministrazione Comunale ha fatto rilevare – con il supporto della relativa documentazione, depositata in giudizio l’11.06.2010 – come, in data 26.03.2010 sia stata presentata, nell’interesse della società ricorrente, relativamente al complesso edilizio di sua pertinenza, sito alla via Palombi di Avellino, una d. i. a. in variante al p. di c. n. 11157/2006 e ad integrazione della d. i. a. del 29.04.2009, al dichiarato scopo di ripristinare la destinazione d’uso originaria del piano terra del corpo A, a servizi igienici, docce e deposito attrezzi.

Più specificamente, nella "descrizione degli interventi" (punto n. 3 della relazione tecnica descrittiva, riguardante la prefata d. i. a.) si legge testualmente: "Per il blocco "A" si tornerà alla (rectius: alle) destinazioni d’uso originarie. Ossia al piano terra saranno realizzati dei locali adibiti a spogliatoi e servizi igienici con l’aggiunta di un w. c. per disabili, così come da prescrizione ASL del 6.06.2006 prot. 1431P".

Sul punto della presentazione di tale d. i. a. integrativa, nessuna specifica deduzione è stata espressa da parte ricorrente, che s’è limitata, negli scritti conclusionali, a ribadire e precisare le censure contenute nell’atto introduttivo del giudizio.

Nulla, in particolare, è stato controdedotto, da parte ricorrente, circa l’eccepita improcedibilità del ricorso, per sopravvenuta carenza d’interesse.

Ne deriva che, essendo stata abbandonata, "per facta concludentia", mercé la presentazione della suddetta d. i. a. integrativa, l’ipotesi progettuale della destinazione ad uffici del piano terra del corpo A, ed essendosi, in tal modo, la ricorrente sostanzialmente conformata al tenore testuale del provvedimento, gravato con il ricorso n. 2201/2009 (il Comune aveva, infatti, con il medesimo, confermato "la destinazione attuale del piano terra come da permesso a costruire n. 11157/2006, ovvero a spogliatoi, servizi igienici, docce, deposito attrezzi"), deve ritenersi venuto meno l’interesse, da parte di E.N.E.L.S., a coltivare tale seconda impugnativa (in assenza di diverse allegazioni sul punto, in grado di modificare tali conclusioni)

Tanto, in conformità a pacifica giurisprudenza, per la quale si leggano, tra le tante, le seguenti massime: "L’interesse a ricorrere è l’utilità pratica che il ricorrente può conseguire dall’accoglimento del gravame e, oltre ad essere concreto ed attuale, deve sussistere non solo al momento della presentazione del ricorso ma anche a quello della decisione" (Consiglio Stato, sez. V, 29 agosto 2005, n. 4398); "Nel processo amministrativo, l’improcedibilità per sopravvenuta carenza d’interesse è dovuta a un comportamento delle parti o a un fatto materiale loro estraneo che si inserisce nell’iter procedimentale o processuale determinando il venir meno dell’utilità della decisione, per essersi realizzata una modificazione dell’assetto giuridico o fattuale incompatibile con gli effetti del giudicato" (Consiglio Stato, sez. IV, 20 gennaio 2006, n. 143).

La decisione circa l’improcedibilità sopravvenuta del ricorso preclude ovviamente l’esame delle censure sollevate dalla ricorrente e della pedissequa domanda risarcitoria.

Sussistono peraltro, per la complessità delle questioni trattate, giustificate ragioni per compensare integralmente, tra le parti, spese, onorari e competenze dei giudizi riuniti.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sui ricorsi in epigrafe, previa loro riunione, respinge il ricorso n. 2200/2009 R. G. e dichiara improcedibile, per sopravvenuta carenza d’interesse, il ricorso n. 2201/2009 R. G.

Respinge le domande di risarcimento dei danni, avanzate dalla società ricorrente.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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