Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 29-04-2011, n. 9575 Dimissioni Lavoro subordinato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza dell’8 novembre 2000 il Giudice del Lavoro del Tribunale di BARCELLONA PG rigettava la domanda proposta da P.C. nei confronti della BANCA DI CREDITO COOPERATIVO "LA RISCOSSA" DI REGALBUTO, diretta alla declaratoria dell’illegittimità del rifiuto della Banca, già datrice di lavoro, a volerlo riammettere in servizio previo annullamento delle dimissioni per violenza morale e dolo.

Avverso tale decisione proponeva appello il P. deducendone l’illegittimità per avere il Giudice erroneamente applicato i principi normativi in materia. Si costituiva la Banca contestando il gravame con articolate argomentazioni. Con sentenza del 17 ottobre- 15 dicembre 2006, l’adita Corte d’appello di Messina rigettava l’impugnazione.

A sostegno della decisione osservava che la dedotta annullabilità delle dimissioni per violenza morale non trovava alcuna giustificazione nell’avviso della datrice di lavoro della futura assegnazione ad una diversa sede di lavoro e nella contestazione disciplinare relativa ad un’assenza ingiustificazione dal lavoro, ben potendo entrambe essere sottoposte ad un controllo giudiziale.

Osservava ancora che non rilevava, ai fini della definitività della efficacia delle dimissioni, che le stesse erano state revocate quando il rapporto era ancora in vita.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre P.C. con quattro motivi. Resiste la Banca di Credito Cooperativo "La Riscossa" di Regalbuto con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale subordinato, affidato ad un unico motivo. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione

Va preliminarmente disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale, trattandosi di impugnazione avverso la medesima sentenza (art. 335 c.p.c.).

Con il primo motivo di ricorso, il P. denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1435 c.c. per avere la Corte d’Appello affermato che oggettivamente nessun effetto intimidatorio potevano avere l’avviso della futura assegnazione ad una diversa sede di lavoro e la contestazione disciplinare relativa ad un’assenza ingiustificata dal lavoro ben potendo entrambe essere sottoposte ad un controllo giudiziale (il trasferimento addirittura anche con ricorso d’urgenza) al fine di accertarne la giustificatezza e, quindi, la legittimità.

Il contrasto di questo argomento del Collegio del merito con l’art. 1435 c.c. sarebbe da ravvisarsi nel fatto che tale disposizione stabilisce che "la violenza deve essere di tal natura da far impressione sopra una persona sensata e farle temere di esporre se o i suoi beni ad un male ingiusto e notevole", senza fare riferimento alcuno alle possibilità in capo al soggetto minacciato di ricorrere all’autorità giudiziaria "al fine di fare preventivamente verificare la legittimità del contenuto dell’azione intimidatoria".

Con il secondo motivo il P. denuncia omessa ed insufficiente motivazione, per avere la Corte d’Appello ritenuto che non avrebbe potuto validamente parlarsi di provvedimento discriminatorio nei confronti dell’appellante relativamente al trasferimento, riguardando il provvedimento tutti i dipendenti della Banca di Credito Cooperativo di Pace del Mela (all’epoca da incorporare in quella in giudizio, e di cui il P. era stato dipendente) ad eccezione di una e con effetto da data successiva all’incorporazione.

La Corte di merito avrebbe errato perchè il comportamento di che trattasi sarebbe stato denunciato dal lavoratore non come discriminatorio ma come persecutorio; sarebbe conseguito dall’essere il ricorrente figlio del primo firmatario e promotore del tentativo di far recedere la B.C.C., di Pace del Mela dall’accordo di fusione con la B.B.C. "La Riscossa" di Regalbuto; e si sarebbe concretizzato nel "provvedimento" di trasferimento del P., nel suo demansionamento da Vice ufficio a cassiere terminalista; e nella contestazione illegittima di un addebito disciplinare per una violazione mai commessa. E la Corte territoriale avrebbe inadeguatamente motivato per relationem aderendo alle argomentazioni del Tribunale senza tener conto, se non per respingerle, delle ragioni esposte nell’atto di appello e per aver preso in considerazione il "provvedimento" di trasferimento senza far riferimento alla contestazione illegittima ed all’immotivato demansionamento ed escludendo la natura ritorsiva del trasferimento.

Con il terzo motivo di gravame si denuncia omessa ed insufficiente motivazione per avere la Corte d’Appello di Messina aderito alle conclusioni del CTU senza motivare, sia pure in modo succinto, il mancato accoglimento dei rilievi critici mossi dal consulente di parte, ribaditi e trascritti nelle note e memorie difensive di parte.

Questi primi tre motivi, da trattarsi congiuntamente perchè strettamente connessi, sono privi di fondamento.

Invero, il Giudice a qua, dopo avere affermato di condividere appieno quanto già detto dal primo Giudice e dopo avere rimarcato che, in linea di principio ("oggettivamente") nessun effetto intimidatorio potevano avere l’avviso della futura assegnazione ad una diversa sede di lavoro e la contestazione disciplinare relativa ad un’assenza ingiustificata dal lavoro – ben potendo entrambe essere sottoposte ad un controllo giudiziale (il trasferimento addirittura anche con ricorso d’urgenza) al fine di accertarne la giustificatezza e quindi la legittimità- ha osservato che il P., a fronte della assenza di motivi a sostegno del trasferimento, non aveva avanzato alcuna richiesta neanche tacita mentre aveva immediatamente paralizzato gli effetti della contestazione per l’assenza ingiustificata dal lavoro facendo pervenire alla banca la certificazione medica attestante il suo impedimento. Tale condotta non portava, dunque, a ritenere un situazione di intimidazione.

Analogamente era a dirsi per il ventilato demansionamento, non potendosi validamente parlare di provvedimento discriminatorio – ma il ragionamento vale per qualsiasi provvedimento "anomalo" e, quindi, anche "intimidatori o ritorsivi" o, ancora "persecutori",come sostiene il ricorrente – nei confronti del P. relativamente al trasferimento, poichè questo aveva riguardato tutti i dipendenti della Banca (all’epoca da incorporare) ad eccezione di una e con effetto da data successiva all’incorporazione, nell’ottica di una ottimizzazione delle risorse ed effettivamente i trasferimenti erano poi avvenuti e nessun dipendente li aveva impugnati.

La Corte d’appello è passata poi a valutare la circostanza, evidenziata dal ricorrente, secondo cui, una volta assodato che la Banca non aveva posto in essere atti intimidatori, ritorsivi o discriminatori, o che comunque avrebbero potuto risultare tali ad un uomo medio sensato e ragionevole, occorreva accertare se il P., a causa della sopravvenuta "nevrosi ansioso depressiva" che lo aveva ridotto in uno stato di prostazione psichica era o meno in condizioni di incapacità di intendere e volere al momento in cui aveva presentato le dimissioni. A tal proposito la Corte ha disposto consulenza tecnica d’ufficio affidando al perito l’incarico di accertare se alla data in cui aveva presentato le dimissioni il P. "fosse o meno capace di intendere e volere, anche in via transitoria, tenuto conto della personalità neuro – psichica dello stesso e della situazione di fatto verificatasi in quei frangenti";

ed ha, quindi concluso, motivatamente – richiamando i passaggi più significativi della ctu e del disposto supplemento – che il P. non aveva sofferto di una condizione psicopatologica tale da poter compromettere la sua capacità di intendere e volere.

La sentenza dunque appare sul punto congruamente motivata ed immune dai lamentati vizi.

Con il quarto motivo di censura il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2118 c.c. e dell’art. 97 CCNL per avere la Corte d’appello negato giuridica rilevanza alla revoca delle dimissioni pervenuta alla Banca destinataria il 23.9.1997, quando il rapporto inter partes, risolto il 1 ottobre successivo, era ancora in vita, deducendo che le dimissioni, data la loro natura di atto unilaterale recettizio, producono il loro effetto nel momento in cui la loro comunicazione perviene al datore di lavoro (nella specie il 2 settembre 1997), senza annettere alcun rilievo al fatto che l’art. 97 del CCNL consente alla Banca datrice di lavoro di far cessare il rapporto nel giorno stesso delle dimissioni od in qualunque altro giorno entro la scadenza del termine di preavviso, e che la BCC di Pace del Mela "aveva deciso di far valere le dimissioni con decorrenza 1 ottobre" ossia alla scadenza del periodo di preavviso.

Anche questo motivo è privo di fondamento.

Invero, ai sensi dell’art. 2118 c.c. il lavoratore che intenda recedere dal contratto è tenuto a comunicano al datore di lavoro con il preavviso contrattualmente stabilito, essendo tenuto, in caso contrario, a pagare l’indennità sostitutiva. Come in più occasioni affermato da questa Corte, le dimissioni del lavoratore costituiscono un negozio unilaterale recettizio idoneo a determinare la risoluzione del rapporto di lavoro dal momento in cui venga a conoscenza del datore di lavoro e indipendentemente dalla volontà di quest’ultimo di accettarle. Ne consegue che, una volta risolto il rapporto, per la sua ricostituzione è necessario che le parti stipulino un nuovo contratto di lavoro, non essendo sufficiente ad eliminare l’effetto risolutivo che si è prodotto la revoca delle dimissioni da parte del lavoratore, neppure se la revoca sia manifestata in costanza di preavviso (Cass. n. 20787/07; Cass. n. 9046/04).

Non essendo state prospettate ragioni anche mediante il richiamo all’art. 97 CCNL di categoria- che inducano a discostarsi da tale orientamento, l’esaminato ricorso va, dunque, rigettato con assorbimento di quello incidentale condizionato. Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

LA CORTE riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito l’incidentale. Condanna il ricorrente principale alle spese di questo giudizio, liquidate in Euro 60,00 oltre Euro 3.000,00 per onorari ed oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *