Cass. civ. Sez. II, Sent., 29-04-2011, n. 9568 contratto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La s.a.s. Moroni Riccardo, premesso di avere eseguito in qualità di subappaltatrice dei lavori di asfaltatura stradale in favore della ditta individuale di C.C. nell’ambito di un rapporto intrattenuto dalla stessa con il Comune di Berbenno di Valtellina, convenne in giudizio il C. chiedendone la condanna al pagamento della somma di L. 8.958.459 a titolo di corrispettivo.

Il convenuto si oppose alla domanda negando di avere commissionato i predetti lavori ed assumendo che essi erano stati ordinati direttamente all’attrice dal Comune tramite il proprio direttore dei lavori, geom B.. l’espletata l’istruttoria anche mediante prove orali, il tribunale di Sondrio condannò il convenuto al pagamento della somma richiesta, oltre interessi e spese.

Proposto appello dalla s.p.a. Carnazzola Geom. Camillo, a cui la ditta individuale C.C. era stata conferita, con sentenza n. 2857 del 9 novembre 2004 la Corte di appello di Milano rigettò il gravame, affermando che dalle prove acquisite in giudizio risultava dimostrato che i lavori di cui trattasi erano stati effettivamente commissionati dal C. nell’ambito del contratto di appalto da questi stipulato con il Comune.

Per la cassazione di questa decisione, con atto spedito a mezzo posta il 27 settembre 2005, ricorre la s.p.a. Carnazzola Geom. Camillo, affidandosi a due motivi.

Resiste con controricorso, illustrato anche da memoria, la s.a.s.

Moroni Riccardo.
Motivi della decisione

Va esaminato per primo il secondo motivo di ricorso, che pone una questione preliminare di merito potenzialmente decisiva del giudizio.

Con questo mezzo la società ricorrente denunzia violazione dell’art. 97 Cost., del R.D. n. 2440 del 1923, art. 17 e degli artt. 1321, 1325, 1326, 1350, 1418, 1423, 1655, 1656 cod. civ., nonchè della L. n. 646 del 1982, art. 41 e contraddittorietà e illogicità della motivazione, censurando la sentenza impugnata per avere dichiarato inammissibile e quindi anche infondata l’eccezione sollevata dalla appellante di nullità del contratto di subappalto asseritamente intercorso con la società Moroni in ragione del fatto che il contratto di appalto intercorso con il Comune, nel cui ambito esso si inseriva, difettava della forma scritta. Sotto altro profilo, il contratto di subappalto sarebbe poi nullo, ai sensi del citato L. n. 646 del 1982, art. 21 in quanto privo dell’autorizzazione da parte Comune appaltante.

La Corte di appello, ad avviso della ricorrente, ha pertanto errato laddove, peraltro senza spiegare le ragioni, ha qualificato tale eccezione come tardiva, non considerando che, vertendosi in tema di nullità per violazione di norma imperativa, il vizio dedotto era rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio.

Il motivo è infondato.

Occorre premettere che la sentenza del giudice di primo grado aveva condannato la società convenuta al pagamento della somma richiesta a titolo di corrispettivo dei lavori eseguiti. Dato il suo oggetto, tale pronuncia deve ritenersi emessa sul presupposto implicito della ritenuta validità del contratto. Ciò precisato, la decisione del secondo giudice, che ha dichiarato inammissibile l’eccezione di nullità del contratto per difetto di forma scritta in quanto proposta dalla parte per la prima volta in comparsa conclusionale appare corretta. L’accertamento anche implicito della validità del contratto, compiuto dal giudice di primo grado, imponeva infatti alla parte di proporre tempestiva impugnazione sul punto, deducendo la nullità dell’atto come motivo di gravame. La doglianza espressa in comparsa conclusionale appare, pertanto, palesemente tardiva, atteso che la parte appellante non può proporre in tale atto processuale nuovi motivi di impugnazione (Cass. n. 16582 del 2005). Nè può soccorrere, in senso contrario, la regola della rilevabilità d’ufficio delle cause di nullità del contratto ( art. 1421 cod. civ.). Questo principio, infatti, deve essere coordinato, nella sua applicazione concreta, con le regole fondamentali del processo, tra cui quello della preclusione derivante dalla mancata impugnazione delle statuizioni che, costituendo il presupposto della decisione, debbono ritenersi espresse in modo implicito nella sentenza. Da tale coordinamento discende la conseguenza che la nullità del contratto non soggiace alla regola della sua rilevabilità d’ufficio quando, come nel caso di specie, vi sia stata pronuncia, non impugnata, sulla validità del contratto stesso (Cass. n. 9642 del 2006; Cass. n. 18540 del 2009; Cass. n. 13438 del 2002).

Il primo motivo di ricorso denunzia violazione degli artt. 1321, 1325, 1326, 1655 e 1656 cod. civ., nonchè insufficienza e contraddittorietà e illogicità della motivazione, censurando la sentenza impugnata per avere affermato che i lavori per cui è causa erano stati effettivamente commissionati dal C..

Secondo la ricorrente, la Corte territoriale è pervenuta a questa conclusione attraverso una lettura parziale, approssimativa e lacunosa delle dichiarazioni rese dalle parti in sede di interrogatorio e dei testi. In particolare, la Corte ha omesso di considerare che il M. aveva esplicitamente ammesso di avere ricevuto l’incarico dal geom. B., direttore dei lavori nominato dal Comune committente, e la dichiarazione del teste Bu., che aveva dichiarato che i lavori commissionati riguardavano strade diverse da quelle oggetto del contratto stipulato tra il C. ed il Comune e che essi vennero commissionati all’impresa Moroni dal geometra del Comune, il quale assicurò anche che essi sarebbero stati contabilizzati a parte unitamente ad altri lavori di asfaltature in corso di esecuzione. Per contro è stata tenuta in conto e valorizzata la testimonianza del geom. B., che era invece chiaramente interessato a confermare la versione dei fatti della attrice, al fine di non incorrere in eventuali responsabilità personali. L’accertamento compiuto dal giudice territoriale palesa anche una motivazione insufficiente, laddove non precisa la fonte dell’obbligazione di pagamento delle opere posta a carico della convenuta ed è viziato per violazione degli artt. 1321 e 1326 cod. civ., nonchè degli artt. 1655 e 1656 cod. civ., poichè ha dato per pacifica l’esistenza di una obbligazione contrattuale senza accertare l’effettivo perfezionamento del contratto, che la Corte ha si è limitata a dare per pacifico, senza darsi carico di indicare in che cosa esso fosse consistito e quando e come fosse stato raggiunto.

Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

In particolare, il mezzo è inammissibile nella misura in cui tende ad accreditare una ricostruzione della vicenda contrattuale e, soprattutto, a sollecitare questa Corte ad una valutazione delle prove raccolte in giudizio divergente da quella compiuta dal giudice di merito. E’ noto, per contro, che nel giudizio di legittimità, non essendo questa Corte giudice del fatto, non sono proponibili censure dirette a provocare un nuovo apprezzamento delle risultanze processuali, diverso da quello espresso dal giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze che ritenga più attendibili ed idonee nella formazione dello stesso, potendo il ricorrente sindacare tale valutazione solo sotto il profilo della congruità e sufficienza della motivazione (Cass. n. 14972 del 2006; Cass. n. 4770 del 2006; Cass. n. 16034 del 2002).

Nè sussiste nel caso di specie il denunziato vizio di insufficienza e contraddittorietà della motivazione.

La Corte di appello ha invero motivato in modo adeguato e congruo il proprio convincimento affermando, mediante richiamo alle dichiarazioni rese dal convenuto in sede di interrogatorio formale ed alle deposizioni dei testi escussi, che i lavori per cui è causa erano compresi tra quelli oggetto di appalto tra il Comune e la convenuta e che essi erano stati eseguiti dalla società Moroni seguendo gli ordini e le direttive dell’impresa Carnazzola. Quanto alle dichiarazioni rese dal legale rappresentante dell’attrice nel suo interrogatorio formale ed alla deposizione del teste Bu., il giudice territoriale ha invece motivato, quanto alla prima, che esse non avevano contenuto confessorio, avendo la parte riferito che il lavori di cui trattasi erano già stati appaltati al geom.

C. e che questi aveva inequivocabilmente manifestato la volontà di subappaltarglieli, e, quanto alla seconda, che il teste non poteva considerarsi attendibile essendo incorso in palesi errori di memoria e di comprensione dei fatti, specificandone in dettaglio le contraddizioni. La doglianza con cui il ricorso deduce l’inattendibilità del teste B. è invece inammissibile, risolvendosi il giudizio sulla attendibilità del testimone in un apprezzamento di fatto demandato dalla legge alla esclusiva competenza del giudice di merito, che, come tale, non è censurabile in sede di legittimità. Le censure che deducono violazioni di legge appaiono infine generiche e comunque infondate, apparendo chiaro dal percorso motivazionale della decisione che la condanna della convenuta ha trovato causa nell’accertamento con cui il giudice di merito ha dichiarato che tra le parti in giudizio era intervenuto un contratto di subappalto e che esso era stato eseguito dalla ditta subappaltatrice.

Il ricorso va pertanto respinto.

Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza della società ricorrente.
P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in Euro 1.400,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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