Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 30-11-2010) 02-03-2011, n. 7983

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile, in quanto deduce, in sostanza, vizi rapportabili alla motivazione del provvedimento impugnato, ripetendo, per lo più, doglianze già proposte in sede di gravame ed adeguatamente esaminate e respinte dal giudice di secondo grado, con ragionamento immune da vizi logico – giuridici.

Con puntuale ed affidabile ricostruzione del fatto, insindacabile in questa sede, la Corte reggina ha accertato che A.G. ha ricevuto un assegno bancario provento di furto in danno di S. V..

Del tutto infondata è la contestazione del ricorrente, secondo cui mancherebbe l’elemento soggettivo del reato.

Per costante giurisprudenza di questa Corte la consapevolezza dell’agente della provenienza delittuosa della cosa può desumersi da qualsiasi elemento di fatto e da qualsiasi indizio giuridicamente apprezzabile, compreso il suo comportamento, che dimostri la certezza dell’origine illecita del bene.

Nel caso di specie la Corte territoriale ha argomentato la sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto de quo da elementi precisi e attraverso valutazioni logiche, che sfuggono al sindacato di legittimità, respingendo motivatamente la versione "del tutto inattendibile", fornita dal prevenuto.

Poichè il venire meno della relazione materiale del titolare con una cosa che -come nelle ipotesi di assegno o altro titolo – conservi chiari e intatti i segni esteriori di un legittimo possesso altrui non implica, al di fuori dei casi di dismissione volontaria, che il potere di fatto sia cessato, colui che fa proprio un simile bene pone in essere una condotta riconducibile, sotto il profilo psicologico, ad un’ipotesi dolosa, dato che l’impossessamento è voluto dall’agente con piena consapevolezza dell’origine e della provenienza del bene.

Quando, poi, il giudice di merito abbia accertato con coerente motivazione – come nel caso di specie – che l’impossessamento è avvenuto non in via diretta, ma tramite intermediario, corretta è la qualificazione del fatto come ricettazione.

Alla stessa stregua, manifestamente infondata è la doglianza relativa al mancato riconoscimento dell’ipotesi attenuata di cui all’art. 648 cpv. c.p, (e delle attenuanti generiche) (ancorata ad una negativa valutazione globale del fatto connotato di oggettiva gravità e di negativa colorazione soggettiva (il ricorrente ha due precedenti per rapina e ricettazione); nonchè quella relativa alla commisurazione della pena prossima al minimo edittale.

Alla luce di queste considerazioni sono evidenti la manifesta infondatezza e la genericità del ricorso, con la conseguente inammissibilità.

A mente dell’art. 616 c.p.p., alla declaratoria di inammissibilità – determinata da profili di colpa emergenti dal ricorso (v. Corte Cost. sent. 186/2000) – consegue l’onere delle spese del procedimento, nonchè del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, fissata in via equitativa, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00 (mille).
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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