Cass. civ. Sez. V, Sent., 29-04-2011, n. 9552 Imposta reddito persone fisiche Imposta locale sui redditi – ILOR

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’agenzia delle entrate impugna con ricorso per cassazione, basato su due motivi, la sentenza della CTR della Campania del 10.11.2004, con la quale veniva accolto l’appello di L.S. contro quella della commissione tributaria provinciale di Napoli, che a sua volta aveva respinto il ricorso introduttivo della contribuente avverso l’avviso di accertamento per Irpef ed Ilor del 1991. Il giudice del gravame osservava che la contabilità dell’appellante era regolare, senza che l’ufficio avesse provato il proprio assunto, mentre la contribuente resiste con controricorso.
Motivi della decisione

1) Col primo motivo la ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1972, artt. 39, 41 bis e 42, D.P.R. n. 633, art. 21, comma 7, nonchè insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in quanto il giudice di merito non considerava che, a fronte delle contestazioni dell’agenzia, la contribuente riusciva a fornire la prova soltanto di alcune centinaia di milioni sborsati per i costi sostenuti, senza che si potesse nemmeno fare riferimento alla contabilità della società MI.AR srl., esecutrice dei lavori di subappalto, atteso che le fatture vanno emesse e contabilizzate persino per le operazioni inesistenti, come nella specie.

Il motivo è fondato. La CTR osservava che la contabilità della ditta contribuente risultava regolare, e che l’agenzia non aveva fornito la prova del proprio assunto, tanto che persino la società esecutrice delle prestazioni a favore della contribuente aveva emesso ed annotato le relative fatture.

Il giudizio della CTR non è esatto. Invero in tema di accertamento tributario relativo sia all’imposizione diretta, che all’IVA, la legge – rispettivamente del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1 (richiamato dal successivo art. 40 per quanto riguarda la rettifica delle dichiarazioni di soggetti diversi dalle persone fisiche) ed D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54 – dispone che l’inesistenza di passività dichiarate, nel primo caso, o le false indicazioni, nel secondo, possono essere desunte anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, senza necessità che l’Ufficio fornisca prove "certe". Pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’amministrazione, dando atto "in motivazione dei risultati del proprio giudizio (impugnabile in cassazione non per il merito, ma solo per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono) e solo in un secondo momento, qualora ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi dell’art. 2727 c.c., e segg. e art. 2697 cod. civ., comma 2, mentre invece nel caso concreto L. non assolveva tale onere (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 9784 del 23/04/2010, n. 6849 del 2009). D’altronde in materia di IVA, in ipotesi di fatture che l’amministrazione ritenga relative ad operazioni inesistenti, grava su di essa l’onere di provare che le operazioni, oggetto delle stesse, in realtà non sono state mai poste in essere. Ma, se l’ufficio fornisca validi elementi – alla stregua del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, comma 2 – per affermare che alcune fatture sono state emesse per operazioni (anche solo parzialmente) fittizie, come nella specie, in cui quelle annotate coprivano dei costi inferiori rispetto a quelli portati in detrazione, allora passava sulla contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate; il che in realtà non avveniva nella specie (V. pure Cass. Sentenze n. 15395 del 11/06/2008, n. 2847 del 2008, n. 27341 del 2005).

2) Col secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1972, art. 41 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, giacchè il giudice di appello non considerava che l’avviso di accertamento in rettifica conteneva un’adeguata motivazione col richiamo a quella compiuta dall’ufficio IVA, trattandosi in particolare di periodo anteriore all’entrata in vigore dello Statuto del contribuente.

La censura va condivisa. Il giudice di appello rilevava che l’atto impositivo non recava un’adeguata motivazione, col richiamare semplicemente la segnalazione del Centro informatico delle II.DD., senza l’indicazione dei relativi estremi, riportando semplicemente i minori costi accertati e quindi il maggior reddito.

L’assunto non va condiviso. Infatti per l’accertamento parziale di tributi diretti, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 41 bis, tra gli elementi indiziari che consentono di stabilire l’esistenza di un reddito non dichiarato o il maggiore ammontare di un reddito parziale dichiarato, che avrebbe dovuto concorrere a formare il reddito imponibile, rientrano anche le dichiarazioni rilasciate da terzi alla polizia tributaria, a prescindere dal fatto che tale maggior reddito non risulti dalle scritture contabili, facendo le stesse prova contro l’imprenditore, ma non a suo favore ( art. 2709 cod. civ., con l’eccezione stabilita dal successivo art. 2710), ed essendo, quindi, contestabili con qualunque mezzo di prova, non necessariamente documentale, atteso che tali elementi possono essere desunti da qualsiasi fonte d’informazione (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 3573 del 16/02/2010, n. 16845 del 2008).

Ne discende che il ricorso va accolto, con conseguente cassazione della decisione impugnata, con rinvio alla CTR della Campania, altra sezione, per nuovo esame, e che si uniformerà ai suindicati principi di diritto.

Quanto alle spese dell’intero giudizio, se ne demanda il regolamento al giudice del rinvio stesso.
P.Q.M.

LA CORTE Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata, e rinvia, anche per le spese dell’intero giudizio, alla CTR della Campania, altra sezione, per nuovo esame.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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