Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 18-11-2010) 02-03-2011, n. 8340

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con la decisione in epigrafe la Corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza dell’8 febbraio 2007 con cui il Tribunale di Sondrio, in sede di giudizio abbreviato, aveva affermato la responsabilità di C.K.D. e di E.D.O. C. in ordine al reato di resistenza a pubblico ufficiale, per avere, in concorso tra loro, minacciato e usato violenza al maresciallo della Guardia di Finanza P.G. che, aggredito, aveva intimato loro di allontanarsi.

Entrambi gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione per mezzo dei loro rispettivi difensori.

Il difensore del C. ha dedotto, con i primi due motivi l’erronea applicazione dell’art. 337 c.p., rilevando, da un lato, l’insussistenza del reato sotto il profilo oggettivo per la mancanza del compimento di un atto del proprio ufficio da parte del pubblico ufficiale, dall’altro, la manifesta illogicità della motivazione sul punto, in particolare, il ricorrente sostiene che quando è avvenuta l’aggressione del P., questi non stava effettuando alcuna attività del proprio ufficio.

Con altro motivo ha denunciato la violazione dell’art. 521 c.p.p. per la mancata correlazione tra imputazione e sentenza, in quanto i giudici d’appello avrebbero ritenuto la responsabilità dell’imputato per essersi opposto all’identificazione, condotta questa non oggetto di contestazione.

Con altri due motivi il ricorrente ha censurato la sentenza in ordine alla mancanza dell’elemento soggettivo del dolo specifico, mancando ogni prova che l’azione posta in essere sia stata finalizzata ad opporsi al compimento della pubblica attività, laddove le minacce e l’aggressione erano soltanto dirette a manifestare il disprezzo e il rancore nei confronti del pubblico ufficiale per fatti accaduti in precedenza.

Con l’ultimo motivo contesta la decisione per avere ritenuto la sussistenza del concorso tra i due imputati.

Il difensore di E.D. ha, con un primo motivo, dedotto la manifesta illogicità della motivazione della sentenza nel punto in cui ha ritenuto sussistente la minaccia rivolta dall’imputato nei confronti del maresciallo.

Con un secondo motivo denuncia lo stesso vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta circostanza secondo cui l’imputato era presente al momento in cui il pubblico ufficiale dichiarò la sua qualifica intimando ai due aggressori di allontanarsi.

Con il terzo motivo lamenta la mancata applicazione del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario.

I ricorsi appaiono fondati nei limiti di seguito indicati.

Dalla stessa ricostruzione dei fatti contenuta in sentenza risulta che il maresciallo P. è stato minacciato da C., cui successivamente si è unito anche l’altro imputato, per ragioni connesse a fatti avvenuti in precedenza – identificazione dei due imputati da parte del militare a seguito delle intemperanze di cui si sarebbero resi protagonisti sul treno sul quale tutti e tre stavano viaggiando -, comunque non ricollegabili ad una condotta diretta ad opporsi ad un atto del pubblico ufficiale. Si è trattato, in altri termini, di una violenta aggressione verbale occasionata da un atto già svolto dal pubblico ufficiale che i due imputati non avrebbero "gradito".

Quindi, in questa ricostruzione non emerge alcun atto a cui gli imputati si sono opposti. Ne consegue che quando il comportamento di aggressione all’incolumità fisica del pubblico ufficiale non abbia la finalità di opporsi allo svolgimento dell’atto di ufficio e quando manchi, come nel caso in esame, un nesso di causalità psicologica tra l’offesa arrecata e le funzioni esercitate dal pubblico ufficiale, la condotta non integra il delitto di resistenza a pubblico ufficiale, ma rappresenta piuttosto l’espressione di uno sfogo di sentimenti ostili, di disprezzo nei confronti del pubblico ufficiale, che porta a configurare un diverso reato.

Nella specie, le condotte poste in essere dagli imputati configurano il reato di minaccia aggravata, perchè commessa ai danni di un pubblico ufficiale; tuttavia, mancando la querela, deve pronunciarsi sentenza di annullamento perchè l’azione penale non poteva essere iniziata.
P.Q.M.

Qualificata l’imputazione come minaccia aggravata ex art. 61 c.p., n. 10, annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè l’azione penale non poteva essere iniziata per mancanza di querela.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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