Cass. civ. Sez. V, Sent., 29-04-2011, n. 9524 Accertamento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La società in epigrafe indicata impugnava in sede giurisdizionale l’avviso, con cui, ai fini Irpeg Ilor, veniva accertato un maggior reddito per l’anno 1994, deducendo motivi di rito e di merito.

L’adita CTP di Genova accoglieva, parzialmente, il ricorso, giusta decisione che, sull’appello della società contribuente, veniva confermata dai Giudici di Secondo Grado, con il provvedimento in questa sede impugnato.

Con ricorso, spedito a notifica, tramite posta il 30 gennaio 2006 e, su conforme disposizione della Corte, rinotificato il 09/10 luglio 2009, la società ha chiesto la cassazione dell’impugnata decisione.

Gli intimati Agenzia e Ministero non hanno svolto difese in questa sede.
Motivi della decisione

La società ha impugnato la decisione di appello, che aveva confermato quella emessa dai Giudici di primo grado, con sei mezzi.

Il primo motivo, con cui si deduce violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, artt. 145 e 156 c.p.c.. Omessa pronuncia su punto decisivo, è infondato, tenuto conto che i Giudici di appello hanno esaminato e, motivatamente, deciso la questione relativa alla notifica dell’avviso di accertamento, rilevando, correttamente, che l’atto risultava notificato alla sede della società, che era stato consegnato a persona ivi rinvenuta, che lo aveva accettato, e, comunque, che era stato raggiunto lo scopo della notifica, dal momento che la parte aveva proposto ricorso nei termini di legge.

Affermazione, quest’ultima, in linea con il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui "La natura sostanziale e non processuale (nè assimilabile a quella processuale) dell’avviso di accertamento tributario – che costituisce un atto amministrativo autoritativo attraverso il quale l’amministrazione enuncia le ragioni della pretesa tributaria – non osta all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, soprattutto quando vi sia un espresso richiamo di questi nella disciplina tributaria. Pertanto, l’applicazione, per l’avviso di accertamento, in virtù del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, delle norme sulle notificazioni nel processo civile comporta, quale logica necessità, l’applicazione del regime delle nullità e delle sanatorie per quelle dettato, con la conseguenza che la proposizione del ricorso del contribuente produce l’effetto di sanare la nullità della notificazione dell’avviso di accertamento per raggiungimento dello scopo dell’atto, ex art. 156 cod. proc. civ.. Tuttavia, tale sanatoria può operare soltanto se il conseguimento dello scopo avvenga prima della scadenza del termine di decadenza – previsto dalle singole leggi d’imposta – per l’esercizio del potere di accertamento" (Cass. n. 19854/2004, n. 4794/2006, n. 17054/2005).

Il secondo mezzo, con cui si prospetta violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2 e art. 36, comma 2, n. 4, è, invece, fondato, avuto riguardo al fatto che la questione relativa agli effetti ostativi, ricollegabili alla sussistenza delle ipotesi di reato di cui alla L. n. 516 del 1982, rispetto alla presentazione della domanda di accertamento con adesione, risulta decisa dall’impugnata decisione sulla base dell’apodittica affermazione "che l’esclusione era dovuta in quanto sussistevano le condizioni di inammissibilità previste dal D.L. n. 554 del 1994, art. 2 bis".

In vero, i Giudici di appello, non hanno assolutamente motivato le ragioni della loro decisione, non dando, così, contezza del percorso logico-giuridico seguito per giungere ad affermare che, nel caso, non era applicabile la normativa di favore invocata, ostandovi le condizioni di inammissibilità, previste dal D.L. n. 554 del 1994, art. 2 bis, convertito nella L. n. 656 del 1994.

A maggior ragione, nel caso, il denunciato vizio di omessa motivazione, risulta rilevante agli effetti decisionali, ove si consideri che costituisce consolidato orientamento giurisprudenziale, quello secondo cui "La disciplina dell’accertamento con adesione del contribuente introdotta dal D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, che ha esteso l’applicabilità dell’istituto – in precedenza regolato dal D.L. 30 settembre 1994, n. 564, convertito in L. 30 novembre 1994, n. 656 -, segnatamente per non aver più previsto cause ostative discendenti da fatti a rilevanza penale, si applica anche alla rettifica delle "dichiarazioni presentate entro il 30 settembre 1994", definibili, in base al D.L. n. 564 del 1994, art. 3, con il cd. concordato di massa ("accertamento con adesione del contribuente per anni pregressi"), con conseguente inoperatività delle cause di esclusione o di inammissibilità per fatti a rilevanza penale stabilite dal D.L. n. 564 del 1994, detto art. 3, attraverso il rinvio al precedente art. 2-bis, abrogato dal D.Lgs. n. 218 del 1997 (art. 17) contestualmente all’introduzione della nuova disciplina.

Ciò in quanto il D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 2, comma 6, nel prevedere l’applicabilità della nuova disciplina, contenuta nei precedenti commi da 1 a 5, "anche in relazione ai periodi d’imposta per i quali era applicabile la definizione ai sensi del D.L. n. 564 del 1994, art. 3", ha inteso riferirsi, secondo l’interpretazione della disposizione seguita dalla Corte costituzionale nella sent. n. 452 del 1997, "a tutte le pendenze rientranti nell’indicata categoria, a prescindere dal fatto di essere state o meno definite".

Una siffatta lettura della disposizione si impone, inoltre, ove si consideri che il D.Lgs. n. 218 del 1997 (all’art. 2, comma 3, secondo periodo) ha escluso la punibilità per alcuni reati cui si riferivano le cause ostative fissate dal D.L. n. 564 del 1994, art. 2-bis, espressamente "con effetto retroattivo", in deroga al principio di ultrattività (nell’iter decisionale che ha condotto all’affermazione del principio che precede, la S.C. ha avuto modo di precisare che, in linea generale – qualora fosse dato di prescindere da eventuali "interferenze" della disciplina sopravvenuta col D.Lgs. n. 218 del 1997 -, l’accertamento con adesione regolato dal D.L. n. 564 del 1994, come convertito, anche una volta perfezionato è annullabile d’ufficio qualora successivamente emerga la sussistenza delle previste cause ostative discendenti da fatti a rilevanza penale, dovendosi necessariamente coordinare il criterio della "irrevocabilità", proprio di ogni normativa premiale tributaria, con i principi dell’autotutela, i quali, in relazione agli atti illegittimi o infondati, già fissati nel D.P.R. 27 marzo 1992, n. 287, art. 68, con la sola preclusione del giudicato, trovano esplicita regolamentazione, "anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità", nel D.L. n. 564 del 1994, art. 2-quater – e nel derivato D.M. 11 febbraio 1997, n. 37 -, nonchè nella L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 2, comma 139, che per la definizione ivi prevista esplicitamente precisa che essa non è impugnabile, nè integrabile o modificabile dall’ufficio, "salvo il potere di autotutela dell’amministrazione finanziaria, ove sussistano le condizioni ostative" stabilite) – Cass. SS.UU. n. 14697/2005, cfr. n. 676/2007, n. 7161/2002, n. 10800/2002.

In buona sostanza, nel caso la decisione risulta fare malgoverno del pacifico principio secondo cui sussiste il vizio di omessa motivazione della sentenza, denunziabile in sede di legittimità, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, "quando il Giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento" (Cass. n. 1756/2006, n. 890/2006).

Con il terzo motivo, si lamenta violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, nonchè del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2 e art. 36, comma 2, n. 4, deducendosi l’omessa pronuncia, ed in ogni caso l’omessa motivazione, sulla eccezione, ritualmente proposta, di illegittimità dell’avviso di accertamento, per mancanza di motivazione.

Con il quarto si deduce violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4, D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2 e art. 36, comma 2, n. 4, nonchè del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 51, 52 e 53.

Omessa o insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia.

Con il quinto mezzo è denunciata violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 66, comma 3 e art. 75, nonchè dell’art. 115 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 2, D.Lgs n. 546 del 1992, art. 7 e art. 36, comma 2, n. 4. Omessa o insufficiente motivazione su fatto decisivo. Detti tre mezzi, che data l’intima connessione, vanno trattati congiuntamente, risultano fondati, nei limiti di cui appresso.

Rileva, al riguardo, il Collegio che, come si evince dagli atti in esame, la società aveva denunciato, anche in sede di appello, la carenza di motivazione dell’accertamento, facendo, in particolare, rilevare che proprio dal contenuto del presupposto pvc della Guardia di Finanza, si desumeva la necessità che l’Ufficio, prima di emettere l’accertamento, effettuasse le necessarie verifiche in ordine ai costi ed ai mancati ricavi per crediti insoluti;

dall’accertamento, che richiamava pedissequamente il pvc, si evinceva che tale verifica non era stata effettuata e, d’altronde, che nessuna pertinente argomentazione supportava i contestati recuperi a tassazione.

La questione, ritualmente riproposta in appello, risulta ignorata dall’impugnata decisione che ha, invece, esaminato e deciso gli altri motivi di censura formulati dalla società contribuente.

Ciò posto, ritiene la Corte, che la sentenza di appello sia affetta dal denunciato vizio, risultando avere fatto malgoverno del principio, secondo cui "La decisione del giudice di secondo grado che non esamini e non decida un motivo di censura alla sentenza di primo grado è impugnabile per cassazione non già per omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia e neppure per motivazione "ob relationem" resa in modalità difforme da quella consentita, bensì per omessa pronuncia su un motivo di gravame. Ne consegue, quindi, che, se il vizio è denunciato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 o n. 5, anzichè ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 112 c.p.c., il ricorso è inammissibile" (Cass. n. 22897/2005, n. 12790/2000, n. 317/2002).

Il sesto ed ultimo mezzo, con il quale viene evidenziata la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs n. 546 del 1992, art. 112 e art. 132, comma 2, n. 4, art. 1, comma 2 e art. 36, comma 2, n. 4, nonchè del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 22, art. 51, comma 6, artt. 54 e 55, del D.Lgs. n. 472 del 1997, artt. 3, 12 e 25, resta, per l’effetto, assorbito. Conclusivamente, va rigettato il primo motivo, accolti, per quanto di ragione il secondo, il terzo, il quarto ed il quinto, ed assorbito il sesto.

Nei limiti delle doglianze accolte, va cassata l’impugnata decisione e la causa va rinviata ad altra sezione della CTR della Liguria, la quale, adeguandosi ai richiamati principi, procederà al riesame e quindi deciderà nel merito e sulle spese del presente giudizio di legittimità, offrendo congrua motivazione.
P.Q.M.

Rigetta il primo motivo del ricorso; accoglie, nei sensi di cui alla parte motiva, il secondo, il terzo, il quarto ed il quinto mezzo, dichiarando assorbito il sesto; cassa l’impugnata decisione e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della CTR della Liguria.

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