Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 16-11-2010) 02-03-2011, n. 8003

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I ricorrenti sono tutti indagati del delitto di cui alla L. n. 356 del 1992, art. 12 quinquies, sul presupposto che essi avrebbero consentito al concorrente nel reato, Z.V., di dissimulare – attraverso la fittizia intestazione dei beni oggetto di sequestro – l’effettiva titolarità dei medesimi.

Con decreto del 24.9.2008, il Giudice per le indagini presso il Tribunale di Napoli emetteva in data 24.9.2008 decreto di sequestro preventivo di alcuni beni intestati ai ricorrenti. Con istanza in data 8.10.2008 e diretta ad ottenere la revoca del sequestro, i ricorrenti deducevano di poter dimostrare la legittima provenienza dei beni e l’effettiva riferibilità a ciascun intestatario, ma il Giudice per le indagini presso il Tribunale rigettava l’istanza. Con ordinanza emessa in data 18.3.2009, il Tribunale del Riesame, investito dell’appello proposto ex art. 310 c.p.p., confermava l’ordinanza di rigetto. Proposto ricorso avverso l’ordinanza in questione, la Corte di Cassazione, con sentenza del 16.7.2009, rilevato che il provvedimento era carente di una puntuale e coerente giustificazione, intesa a invalidare le precise deduzioni difensive, annullava il provvedimento del Tribunale del riesame e rinviava gli atti al Tribunale di Napoli per nuovo esame.

Con ordinanza del 4.11.2010, il Tribunale di Napoli rigettava l’appello proposto dai ricorrenti.

Ricorrono per Cassazione i difensori degli indagati deducendo che l’ordinanza impugnata è affetta da palese vizio di motivazione (mancanza ed illogicità), nonchè da violazione di legge, per erronea applicazione delle disposizioni di cui alla L. 7 agosto 1992, n. 356, art. 12 quinquies e art. 12 sexies, in quanto dalla documentazione prodotta dalla difesa per l’esatta ricostruzione storica delle vicende dell’azienda bufalina e del (OMISSIS) si rileva, quanto alla prima, che l’acquisto e la realizzazione delle strutture risalgono al 1991 sino all’aprile 1992, epoca in cui non era stato ancora emesso il di 8.6.1992 n. 306, successivamente convertito in L. 7 agosto 1992, n. 356, che introduceva sia la fattispecie di cui all’art. 12 quinquies, sia la disposizione in tema di sequestro e confisca di cui all’art. 12 sexies, e, quanto al secondo, che il bene era nella disponibilità del padre di Z. V. sin da diversi anni prima dell’attivazione, nell’anno 1992, della misura di prevenzione. L’acquisizione dei beni in epoca antecedente all’entrata in vigore della legge non consente, pertanto, l’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 12 quinquies e art. 12 sexies.

Chiedono pertanto l’annullamento dell’ordinanza.
Motivi della decisione

La Corte di Cassazione nella sentenza di annullamento del 16.7.2009, dopo aver effettuato una analitica disamina della normativa di cui al D.L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies, comma 1, ha annullato l’ordinanza del Tribunale del Riesame del 18.3.2009 e ha rinviato al Tribunale di Napoli per nuovo esame, indicando i punti sui quali il giudice di rinvio doveva puntualmente argomentare, in relazione alle articolate deduzioni difensive, ovvero: 1) alla eccepita medesimezza dei beni e sul tema dell’invocato giudicato cautelare; 2) alla riconducibilità o meno dei beni in oggetto alla condotta di estorsione, e sulla eventuale irrilevanza dell’esclusione di tale titolo di reato, nonchè sulla pretesa illegittimità del sequestro degli autoveicoli.

Il Tribunale del riesame, con il provvedimento in questione, e nell’ambito delle indicazioni tracciate dalla Cassazione, ha puntualmente colmato il deficit argomentativo in riferimento alle questioni ben delimitate nella sentenza di annullamento, illustrando con ampiezza di argomentazioni le ragioni per cui, nella fattispecie, non è ravvisabile l’assoluta coincidenza oggettiva e soggettiva tra i provvedimenti cautelari menzionati dalla difesa, e sia poi del tutto irrilevante la ritenuta insussistenza di indizi circa il reato estorsivo contestato a Z.V., al quale risulta riconducibile il potere di signoria sui beni in questione, "dovendosi solo sottolineare in proposito che si tratta di persona condannata in via definitiva per art. 416 bis c.p. e per la partecipazione ad alcuni omicidi ed estorsioni, che gli intestatari dei beni sono tutti suoi stretti congiunti, che sin dall’inizio degli anni 90 ed a prescindere dalla data del suo arresto, egli poteva godere dei proventi illeciti dei reati commessi dal gruppo criminale e che, infine, in tale contesto, la pronuncia cautelare in ordine al suo concorso nell’estorsione alla Ferrovia Alifana non assume incidenza quanto alla fittizia intestazione, che viene del pari contestata a Z.V. ed ai concorrenti nel predetto reato" (v. pag.10 della ordinanza).

Con l’atto di impugnazione, i ricorrenti assumono la dedotta violazione di legge, affermando che dalla documentazione prodotta dalla difesa emergeva per i due beni indicati in ricorso un profilo di storicità tale da dimostrare l’inapplicabilità delle disposizioni che, nel caso di specie, giustificherebbero la cautela.

Il ricorso è infondato, e va rigettato.

Le condizioni necessarie e sufficienti per disporre il sequestro preventivo di beni confiscabili a norma della L. n. 356 del 1992, art. 12 sexies consistono, quanto al "fumus commissi delicti", nella astratta configurabilità, nel fatto attribuito all’indagato, di una delle ipotesi criminose prevista dalla norma citata, senza che rilevino nè la sussistenza degli indizi di colpevolezza, nè la loro gravità e, quanto al "periculum in mora", coincidendo quest’ultimo con la confiscabilità del bene, nella presenza di seri indizi di esistenza delle medesime condizioni che legittimano la confisca, sia per ciò che riguarda la sproporzione del valore dei beni rispetto al reddito o alle attività economiche del soggetto, sia per ciò che attiene alla mancata giustificazione della lecita provenienza dei beni medesimi (cfr. Cass. Sez. Un. 19.01.2004, Montella, rv 226492).

Incombe quindi all’accusa l’onere della prova circa la sproporzione del bene rispetto alla capacità reddituale (lecita) del soggetto;

una volta provata la mancanza di proporzione, in ragione del titolo del reato vi è però una relativa presunzione di illecita accumulazione patrimoniale, che può essere superata solo da specifiche e verificate allegazioni dell’interessato (cfr. Cass. Sez. 1, sent. n. 25728/2008 Rv. 240471).

La confisca prevista dal D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 sexies ha poi natura di misura di sicurezza patrimoniale, e per essa non opera il principio di irretroattività della legge penale, ma quello dell’applicazione della legge vigente al momento della decisione (cfr. Cass. Sez. 6, sent. n. 25096/2009 Rv. 244355).

Tanto premesso, rileva il Collegio che l’ordinanza impugnata non appare meritevole di censura, avendo fatto corretta applicazione della normativa in questione, in conformità dei principi enunciati da questa Corte.

Il Tribunale con ampia motivazione a riguardo, ha rilevato che la difesa, pur producendo atti negoziali relativi all’acquisto dei beni immobili e societari di fatto, non ha fornito dimostrazione delle fonti economiche che gli interessati avrebbero impiegato nei predetti acquisti, "suggestivamente riconducendo alle storiche disponibilità finanziarie della famiglia Z. le capacità d’acquisto predette ed alla gestione del defunto padre D. le capacità imprenditoriali dispiegate dai figli, soprattutto nella conduzione dei lidi balneari" (v.pag.9 dell’ordinanza), ed ha evidenziato altresì che le dedotte vicende "storiche" afferenti ai beni in questione non conducono ad una idonea ed esauriente completezza della prova "a contrario" che incombe alla difesa, non rilevando a tal fine la dedotta storicità dell’acquisto, la formale e regolare intestazione del bene, od anche l’apparente regolarità di essa – e quindi l’"an" o il "quando" dell’acquisto, o le modalità dell’acquisizione – essendo invece rilevante la dimostrazione della legittima provenienza dei capitali in esso impiegati, circostanza che nella fattispecie non è stata in alcun modo provata dai ricorrenti.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, le parti private che lo hanno proposto devono essere condannati al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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