Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 16-11-2010) 02-03-2011, n. 8000 Porto abusivo di armi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

S.E., tramite il difensore, ricorre per Cassazione avverso l’ordinanza 10.5.2010 con la quale il Tribunale di Caltanissetta ha respinto la richiesta di riesame, per l’effetto confermando l’ordinanza cautelare della Custodia in Carcere emessa dal Giudice delle Indagini preliminari del Tribunale di Caltanissetta il 24.5.2010 per i reati di concorso in tentato omicidio, illecita detenzione e porto in luogo pubblico di arma clandestina, ricettazione della suddetta arma, tentata estorsione, delitti tutti aggravati ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7.

La difesa richiede l’annullamento della ordinanza impugnata deducendo:

1) Violazione degli artt. 273 e 274 c.p.p. ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c);

2) Vizio di manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

Con il primo motivo la difesa sostiene che la ordinanza cautelare è stata emessa in condizione di mancanza dei gravi indizi di colpevolezza previsti dall’art. 273 c.p.p..

In particolare la difesa afferma che le accuse poggiano sulle dichiarazioni di due collaboratori di giustizia ( S.C. e T.R.) le quali non trovano riscontro in analoghe dichiarazioni della parte offesa L.M. che non ha mai lamentato minacce, intimidazioni, atti estorsivi o pressioni perpetrate nei suoi confronti ad opera dello S.E., avendo egli affermato che le "pressioni" volte alle sue dimissioni dalla carica di Presidente della Juveterranova calcio S.r.l. Gela sarebbero per venute esclusivamente dallo S.F. (fratello dell’odierno ricorrente) e dallo A.G. (cognato di quest’ultimo). La difesa rappresenta inoltre che non si ravvisa alcun interesse concreto dello odierno ricorrente alla sostituzione del L. nella carica sociale.

La difesa rappresenta inoltre l’esistenza di un contrasto fra le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia S. e quelle rese da altro collaboratore C., riferendo il primo che l’aggressione nei confronti del L. rispondeva al progetto di uccidere la vittima, mentre il secondo riferisce che l’azione si riduceva all’esigenza di "dare una lezione" al L., limitata nello sparargli alle gambe. Sulla base di tale contrasto, la difesa ravvisa pertanto sia la mancanza di indizi gravi precisi e concordanti, sia la mancanza della individuazione di elementi di riscontro alle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia, mancando altresì la prova di un coinvolgimento dello S. E. nella vicenda per la quale è processo.

Dalla lettura del provvedimento impugnato, in ordine ai fatti, si apprende quanto segue. In data (OMISSIS) L.F. (all’epoca dei fatti Presidente del C.N.S. – Consorzio facente capo alla Lega delle Cooperative operante nel settore dei servizi per lo svolgimento di lavori nell’area del petrolchimico di (OMISSIS), nonchè Presidente della locale squadra di calcio) veniva fatto oggetto di attentato da parte di due ragazzi che, esplodevano nei suoi confronti un colpo di arma da fuoco. La vittima veniva ferita al collo del piede da un frammento di un proiettile che aveva "impattato" con il suolo. Le prime indagini non davano risultati, quando, a seguito di dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia, venivano svelati il movente e i nomi dei mandanti e degli autori materiali del reato.

Dalla lettura della ordinanza impugnata si evince che lo S. E. è accusato di avere concorso nel tentativo di omicidio del L., in qualità di istigatore unitamente al proprio fratello F., avendo dato incarico per la esecuzione del reato a S.C. ed a E.D.. Le fonti di prova delle accuse risultano essere rappresentate dalle dichiarazioni rese da T.O. (interrogatorio 4.10.1999), V.C. (interrogatorio 9.1.2003), C.E. (interrogatorio 13.3.2003 e 26.2.2003), CE.Se. (interrogatorio 6.2.2003), T.R. (interrogatorio 19.1.2007, 6.8.2008, 30.1.2010, 16.3.2010), S.C. (interrogatorio 22.1.2009, 28.10.2009, 7.1.2010, 4.2.2010), B.C. (interrogatorio 7.5.2009, 31.8.2009, 12,12,2010), C.S. (interrogatorio 20.11.2009, 30.12.2009), S.G. (28.1.2010).

Dal complesso degli atti specificatamente citati nella ordinanza impugnata, e riassunti nelle loro parti essenziali utili ai fini del presente giudizio, il Tribunale ha acquisito ed e scritto un quadro complessivo riguardante: 1) i rapporti intercorrenti tra il L. e l’organizzazione criminale denominata "Cosa nostra", essendo la suddetta persona non affiliato alla associazione ma "a disposizione del gruppo"; 2) il movente del progetto omicidiario realizzato nei confronti del detto L.; 3) i mandanti del reato dell’omicidio; 4) gli esecutori del reato stesso.

Dalla motivazione della ordinanza, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa nel proprio ricorso, si evince che gli organi inquirenti hanno rilevato la non perfetta convergente concludenza fra le dichiarazioni rese dallo S.C. (che riferiva di un piano volto ad uccidere il L.) e dal C.S. (che riferiva, a sua volta, di un progetto volto solo a "dare una lezione" alla vittima designata). Sul punto, peraltro il Tribunale del riesame ha dato atto che in data 30.10.2009 veniva svolto un "confronto" tra il C. e lo S., nel corso del quale il primo finiva con il concordare con il contenuto della dichiarazioni rese dal secondo, con la conseguenza che poteva ritenersi essere venuta meno l’originaria divergenza esistente fra i due dichiaranti, incidente su uno degli aspetti essenziali della vicenda. La lettura della ordinanza impugnata porta ad escludere in modo assoluto l’esistenza dei due profili di censura sollevati dalla difesa. In particolare non si ravvisano, nel testo del provvedimento, aspetti di contraddizione interna o di illogicità manifeste, vizi, peraltro neppure chiaramente definiti e dettagliati dalla difesa.

La circostanza riferita da quest’ultima circa il fatto che il L., escusso come parte offesa del reato (verbali 8.8.2006, 15.6.2009, 8.2.2010) non avrebbe mai fatto il nome dell’Emanuele S., avendo ricondotto la causa dei dissapori ai suoi rapporti con S.F. e A.G., non costituisce motivo di contraddittorietà o di manifesta illogicità del provvedimento impugnato. Appare, infatti evidente che lo L. ha riferito in merito ai colloqui da lui avuti con le persone che direttamente e con intimidazioni gli avevano richiesto di dimettersi dalla carica di Presidente della squadra di calcio; ciò, però non vale ancora ad escludere che nella vicenda avesse interesse anche il S. E. (fratello del F.), e che siano conseguentemente smentite le plurime dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia, i quali riferiscono i fatti da una prospettiva chiaramente diversa rispetto a quella della vittima del reato. Le dichiarazioni del testimone non contrastano, nè smentiscono, nè comunque inficiano quelle dei collaboratori; si deve al contrario rilevare che nella complessiva valutazione della vicenda, le affermazioni testimoniali del L. costituiscono a loro volta riscontro delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia, in ordine allo stato dei suoi rapporti con il fratello del ricorrente, nonchè sulle cause dei dissapori e delle pressioni esercitate nei suoi confronti. Pertanto nessun vizio di motivazione emerge dal testo dell’ordinanza in esame. In provvedimento impugnato appare altresì adeguatamente motivato in relazione alla valutazione della esistenza dei gravi indizi di penale responsabilità, così come richiesti dall’art. 273 c.p.p. alla luce della regola dettata dal comma 1 bis che richiama l’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, con la conseguenza che nessuna ipotesi di erronea applicazione della legge processuale è riscontrabile.

In particolare, come si evince dalla motivazione dell’ordinanza, il Tribunale del riesame ha individuato nelle dichiarazioni dei collaboratori (taluno vero e proprio chiamante in correità in modo diretto del ricorrente), plurimi elementi indizianti in modo specificatamente individualizzante per essere univoci i riferimenti all’imputato S.E.. Inoltre il Tribunale analizzando le diverse dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia, ha puntualmente annotato il carattere della loro concludente convergenza verso un unico risultato, con la conseguenza che le dichiarazioni stesse, autonomamente rese da soggetti diversi, in assenza di prova di qualsivoglia accordo raggiunto fra i dichiaranti tale da inficiare la portata delle affermazioni rese, assumono fra loro un efficace carattere di riscontro con conseguente efficacia dimostrativa del fatto ascritto all’imputato, la cui condotta si inscrive all’interno di una trama fattuale adeguatamente descritta, analizzata e valutata, siccome supportata da concreti elementi indizianti specificatamente indicati.

Le censure mosse sono quindi manifestamente infondate e il ricorso è inammissibile. Il ricorrente deve conseguentemente essere condannato al pagamento delle spese processuali ed ex art. 616 c.p.p. della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende, attesa la pretestuosità delle doglianze; copia del presente provvedimento, a cura della Cancelleria deve essere trasmesso alla Direzione della struttura penitenziaria ove trovasi ristretto lo S.E., per gli incombenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Manda al Cancelliere per le comunicazioni di cui all’art. 94 disp. att. C.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *