Cassazione penale 12823/2010 Competenza e misura cautelare.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Motivi della decisione

1. La questione che le Sezioni Unite sono chiamate a decidere è dunque quella di stabilire se l’ordinanza cautelare emessa dal giudice della convalida sia soggetta alla perdita di efficacia prevista dall’art. 27 c.p.p., anche in mancanza di una formale declaratoria di incompetenza, quando il luogo dell’arresto o del fermo sia diverso da quello di commissione del reato. Questione che esaurisce il thema decidendum del presente giudizio, perchè, come si è visto in narrativa, è l’unica che il difensore del M. pone nel ricorso.

2. Il problema sorge a seguito della sentenza n. 17 del 1999 delle Sezioni Unite, S., Rv. 214239, nella quale si decise che il giudice territorialmente competente era tenuto a rinnovare la misura cautelare trasmessagli con contestuale dichiarazione di incompetenza da parte del giudice della convalida che l’aveva disposta.

Si disse infatti allora che l’attribuzione prevista dall’art. 391 c.p.p., comma 5 in base alla quale il provvedimento cautelare era stato adottato, non configurava una competenza funzionale del giudice della convalida, come peraltro la maggioranza della giurisprudenza aveva fino a quel momento ritenuto, ma rientrava nel genus dell’art. 291 c.p.p., comma 2 avendo natura di intervento di urgenza e provvisorio. In tal modo, considerato che nel caso di specie il giudice della convalida non era quello del luogo del commesso reato, il meccanismo dell’art. 27 c.p.p. era stato correttamente attivato dalla dichiarazione di incompetenza e la misura cautelare, non rinnovata nei termini prescritti, aveva perso efficacia.

3. Va quindi tenuto fermo, a monte, che le misure cautelari disposte dal giudice della convalida non sono, solo perchè tali e cioè perchè emanate nell’esercizio dei poteri di cui all’art. 391 c.p.p., comma 5, misure disposte da giudice competente, sicchè, per la soluzione del problema oggi in esame, ci si deve occupare della vicenda a valle: se cioè la perdita di efficacia ex art. 27 c.p.p. del provvedimento cautelare emanato da giudice della convalida possa darsi anche in mancanza di contestuale o successiva dichiarazione di incompetenza da parte di quest’ ultimo.

Problema tuttora aperto, dato che nel caso S. il punto non era stato affrontato nemmeno implicitamente, in presenza di una dichiarazione di incompetenza da parte del giudice della convalida, contestuale all’ordinanza applicativa della misura cautelare.

4. Conducendo dunque l’indagine secondo i consueti canoni ermeneutici, va subito osservato che il tenore letterale dell’art. 27 c.p.p. è inequivoco nel senso che la cessazione degli effetti della misura cautelare non dipende dall’incompetenza del giudice che la ha emessa, ma dalla contestuale o dalla successiva dichiarazione di incompetenza da parte di questo giudice nell’ordinanza di trasmissione degli atti. Dato lessicale sul quale converge quello logico per cui, senza una tale ordinanza di trasmissione, non sarebbe fissato un dies a quo di decorrenza del termine di venti giorni per la perdita di efficacia della misura o per la sua rinnovazione da parte del giudice competente (cfr. S.U. n. 3 del 2001, Buffoli, Rv.

218299). Osservazioni che si completano con la riflessione tratta dal parallelo art. 291 c.p.p., comma 2. La disposizione prevede che l’incompetenza del giudice adito non esime, se v’è urgenza, dall’emanare la misura cautelare richiesta, ma comporta che la dichiarazione di incompetenza sia contenuta nella stessa ordinanza che dispone la misura, applicandosi, quindi, l’art. 27 c.p.p.. Ed anche nella formulazione di tale articolo è dunque la dichiarazione di incompetenza l’elemento che il legislatore ribadisce essere necessario perchè si attivi il meccanismo dell’art. 27 c.p.p., in modo che l’ordinanza emessa abbia efficacia interinale.

Ora, questa disciplina dell’art. 291 c.p.p., comma 2 (il quale, come si è visto, richiama il precedente art. 27 c.p.p.) è, a sua volta, richiamata dall’art. 391 c.p.p., comma 5. Con la conclusione, quindi, che, anche nel caso di emanazione di misura cautelare a seguito di procedimento di convalida, non è l’incompetenza del giudice a determinare l’efficacia provvisoria della misura destinata a sfociare o nella rinnovazione o nella perdita di efficacia della misura stessa, ma lo è la dichiarazione di incompetenza con ordine di trasmissione degli atti al giudice competente.

Conclusione che del resto trova riscontro sistematico nella diversa formulazione dell’art. 307 c.p.p., comma 5 per il ripristino della misura della custodia adottato dal giudice del fermo, incompetente per il procedimento. In questo caso v’è già un giudice la cui competenza cautelare, esercitata e radicata, è predeterminata e pertanto l’incompetenza del giudice del fermo non va dichiarata e la perdita di efficacia si opera se entro venti giorni dall’ordinanza cautelare il giudice competente non provvede.

5. C’è ora da chiedersi se il meccanismo di cui all’art. 27 c.p.p. sia fungibile ed ancora se la dichiarazione di incompetenza prevista dalla disposizione possa essere implicita.

Relativamente al primo punto, secondo taluno, in considerazione della "peculiarità" della competenza nella fase predibattimentale, che si estrinseca nella minore centralità della figura dell’organo giudicante e nella connessa valorizzazione del ruolo del P.M., per il quale si può anche ipotizzare una competenza "parallela" a quella del giudice, si dovrebbe ammettere che anche la trasmissione degli atti da parte del P.M. possa in concreto far scattare il meccanismo della caducazione della misura cautelare ex art. 27 c.p.p..

La tesi non può condividersi e per contro si deve aderire a quella ormai copiosa giurisprudenza che, in accordo con quanto ritenuto dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 262 del 1991, nega ogni incidenza sull’efficacia delle misure cautelari in corso di applicazione alla trasmissione degli atti del procedimento da uno ad altro ufficio del P.M..

Così per esempio, da ultima, Sez. 3, 2 dicembre 2009 – 22 dicembre 2009, n. 49419, U., Rv. 245600, proprio relativamente ad un caso in cui la custodia cautelare in carcere era stata adottata dal giudice del luogo di esecuzione del fermo, che aveva provveduto alla relativa convalida per un fatto commesso in luogo diverso, senza peraltro dichiarare la propria incompetenza e gli atti, ex art. 54 c.p.p., erano stati inviati immediatamente dopo dal P.M. del luogo del fermo alla Procura della Repubblica competente per territorio.

Condivisibile ratio di simili decisioni sta nel fatto, già correttamente rilevato nell’ordinanza impugnata, che, sino a quando un altro organo di giurisdizione non venga formalmente investito del procedimento con ordinanza suscettibile di dar luogo ad un conflitto a norma dell’art. 28 c.p.p., i provvedimenti di natura organizzatoria (come la trasmissione di atti da un ufficio ad altro del P.M., o il decreto del Procuratore Generale che risolva contrasti di competenza tra uffici dell’accusa) emessi da una parte, sia pure pubblica, sono inidonei a influire su un atto giurisdizionale, a nulla rilevando che, per effetto del meccanismo di cui all’art. 54 ss. c.p.p., altro giudice possa essere in seguito investito del procedimento.

Del resto è lo stesso sistema processuale a tracciare, in materia di competenza (generale e funzionale), un ambito normativo del tutto autonomo (Libro 1^, Titolo 2^), in relazione alla figura del P.M., rispetto a quella del giudice (Libro 1^, Titolo 1^) ed è dunque per una ragione non solo formale, ma soprattutto sostanziale, che l’art. 27 c.p.p. richiede una pronuncia giudiziale di incompetenza (Sez. 1, 28 aprile 2009 – 16 luglio 2009, n. 29343, Graziano, Rv. 244325). Ne consegue che la possibilità di porre rimedio ad eventuali contrasti tra uffici del P.M. nella fase procedimentale delle indagini preliminari, attraverso il ricorso agli istituti disciplinati dagli artt. 54, 54 bis e 54 ter c.p.p. (che, tuttavia, rimangono del tutto estranei alla procedura giurisdizionale dei conflitti), rappresenta una conferma dell’assoluta impossibilità di ravvisare pur suggestive identità di situazioni in tema di "spostamento" del procedimento ed in relazione alla sfera di applicabilità dell’art. 27 c.p.p. (cfr. ancora Sez. 1, 28 aprile 2009 – 16 luglio 2009, n. 29343, Graziano, cit.; Sez. 6, 12 marzo 2004 – 24 maggio 2004, n. 23819, Neumann, Rv.

229519).

6. Nè potrebbe essere accolto il suggerimento contenuto nel ricorso del M. di considerare equivalente alla dichiarazione di incompetenza del G.i.p. del Tribunale di Genova il fatto che il G.i.p. del Tribunale di Busto Arsizio, investito della richiesta di dichiarazione di estinzione, ma anche dell’istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare, anzichè declinare la propria competenza, abbia deciso nel merito, rigettando la richiesta ed affermando la permanenza dei gravi indizi di colpevolezza e l’attualità delle esigenze cautelari.

Il principio generale ricavabile dall’art. 22 c.p.p., comma 2 è quello che qualunque pronuncia in tema di competenza assunta nel corso delle indagini preliminari ha valore solo in relazione al provvedimento richiesto e quindi, a tutto volere ammettere, l’affermazione di competenza riguarderebbe solo il potere di revoca o di sostituzione, ma non la misura cautelare impositiva.

7. Quanto poi alla dichiarazione di incompetenza implicita, questa, nelle rare pronunzie che ne fanno cenno (cfr. Sez. 6, 20 novembre 2001 – 3 gennaio 2002, n. 71, Giglio; e ancora Sez. 6 9 gennaio 2002 – 12 febbraio 2002 Mema), è in realtà tratta non tanto da ricostruzioni della "volontà" del giudice incompetente, quanto da dati "esterni", come il fatto che il fermo sia stato disposto dal P.M. presso altro ufficio giudiziario, con successiva trasmissione al P.M. presso il giudice del fermo al solo scopo di attivare la procedura di convalida, ovvero il fatto che ciò non abbia dato luogo neppure ad un’apposita iscrizione nel registro indagati da parte del p.m. operante presso il giudice del fermo.

La situazione, secondo il ricorrente, dovrebbe riscontrarsi proprio nel caso in esame e ciò perchè il fermo è stato disposto da un P.M. presso il Tribunale di Busto Arsizio diverso da quello del G.i.p. del Tribunale di Genova che lo ha convalidato e ha poi emanato la misura. Peraltro, in tale ordine di idee, ai fini dell’implicita affermazione di incompetenza, non potrebbe non distinguersi tra le misure cautelari adottate dal giudice della convalida, a seconda che tale convalida abbia riguardato l’arresto o il fermo.

Nel primo caso la dichiarazione di incompetenza non potrebbe mai essere ritenuta implicita, non foss’altro per la ragione statistica che l’arresto in flagranza avviene prevalentemente nel luogo in cui si radica la competenza territoriale anche per il merito. Ma anche nel caso di convalida del fermo, la dichiarazione implicita non sarebbe ravvisabile per ogni misura, potendo accadere che la convalida sia operata proprio dal giudice competente per il merito.

Sarebbe però riscontrabile quando il P.M. che ha disposto il fermo è diverso per sede da quello che è presso il giudice della convalida.

Con il che, a ben vedere, simile "dichiarazione implicita" consisterebbe in definitiva non in un atto del giudice, ma in un provvedimento del P.M. e pertanto sarebbe una determinazione di quest’ultimo ad incidere sull’efficacia della misura cautelare, tornando cosi a valere i motivi che hanno indotto a respingere l’idea della possibilità di un simile evento, in riferimento al preteso carattere fungibile della dichiarazione di incompetenza.

In altri termini quel che conta è unicamente la determinazione del giudice, nel senso che quest’ultimo, pur a fronte dei dati esterni sopra indicati, ben potrebbe essersi ritenuto competente anche rispetto al reato (e non solo per la convalida del fermo o dell’arresto) ed avere quindi provveduto non in via d’urgenza, ma ordinariamente. Con la conseguenza che è l’autorità che ha ordinato la misura a dover valutare la propria competenza in una dichiarazione esplicita e non deducibile dalle circostanze in cui detta misura è stata disposta.

8. Dinanzi a questo riconoscimento del valore costitutivo della dichiarazione di incompetenza, la preoccupazione che muove parte della giurisprudenza e della dottrina è in realtà quella di una possibile elusione del principio del giudice naturale, sembrando rimessa esclusivamente al corretto giudizio del giudice privo di competenza l’attivazione del meccanismo che porti il giudice provvisto di competenza a decidere se la misura cautelare debba o meno essere rinnovata. In altri termini non sembra sufficiente garanzia il fatto che per la misura cautelare non solo l’incompetenza non configura una nullità o un vizio in sè, ma anche che la perdita di efficacia di detta misura dipende dalla volontà dell’autore della medesima.

Una simile preoccupazione non ha tuttavia ragion d’essere perchè le Sezioni Unite hanno ricostruito l’ambito di operatività dell’art. 27 c.p.p. diversamente da quanto viene presupposto nelle osservazioni appena accennate. Hanno affermato infatti che la pronuncia di incompetenza in ordine a provvedimenti cautelari da parte del giudice dell’impugnazione determina, al pari della declaratoria di incompetenza del giudice che aveva disposto la misura cautelare, l’inefficacia differita ex art. 27 c.p.p., della misura cautelare stessa (Sez. Un., n. 1, 24 gennaio 1996 – 12 aprile 1996, Fazio, Rv.

204165).

La circostanza che la formulazione letterale dell’art. 27 c.p.p., in tema di misure cautelari disposte da un giudice incompetente, sembri postulare l’identità tra giudice che dispone la misura e giudice che dichiara, contestualmente o successivamente, l’incompetenza, non esclude infatti che la disciplina della caducazione automatica della misura cautelare contenuta in detto articolo non si estenda anche all’ipotesi in cui sia il giudice del riesame e, se del caso, la Cassazione, a dichiarare l’incompetenza. Ciò perchè il giudice del riesame delle misure cautelari è munito di poteri sostitutivi, come si evince dal principio generale desumibile dall’art. 309 c.p.p., comma 9. Del resto, che la disciplina prevista dall’art. 27 c.p.p. sia estensibile, quanto agli effetti del provvedimento cautelare emesso dal giudice incompetente, alla fase di impugnazione, è avvalorato dallo stesso contenuto della Relazione Ministeriale, avendo essa esplicitamente previsto che "la verifica esterna della competenza" è consentita attraverso il riesame del provvedimento cautelare, e, quindi, a prescindere dal mancato riconoscimento dell’incompetenza da parte dello stesso giudice che ha disposto la misura cautelare.

In questo modo, sebbene l’incompetenza del giudice che abbia disposto una misura cautelare non sia prevista quale causa di nullità dell’ordinanza, non risulta trascurato l’interesse dell’indagato al riconoscimento di tale incompetenza: sussistendo una sanzione processuale per l’ipotesi de qua, ossia l’inefficacia differita del provvedimento ex art. 27 c.p.p., tale interesse può essere apprezzato in sede di impugnazione, con l’effetto, da un lato, della rimozione dell’efficacia della misura dopo averla resa precaria (l’efficacia del provvedimento cautelare, infatti, una volta accertata l’incompetenza del giudice che lo ha emesso, subisce il consistente ridimensionamento di una precaria provvisorietà, per poi estinguersi), o, dall’altro, dell’ottenimento dal giudice competente di una rinnovata ed autonoma valutazione in ordine ai presupposti della misura stessa.

9. Ciò posto, il mancato esperimento del riesame, ferma restando la facoltà del giudice della convalida di dichiararsi incompetente in ogni tempo, preclude tuttavia che la questione della competenza del giudice che ha emanato la misura possa essere proposta in altro modo e specie attraverso una richiesta di revoca al giudice che procede.

Non sotto il profilo di una nullità, dato che come si è visto l’incompetenza non configura un tale vizio della misura cautelare, non sotto il profilo di una inefficacia verificatasi ope legis, in quanto, come oramai è stato più volte ripetuto, l’inefficacia della misura non dipende dall’incompetenza ma dalla dichiarazione della stessa ad opera del giudice che la ha emanata, del Tribunale del riesame o della Cassazione. Sicchè, contrariamente a quanto ritenuto da Sez. 1, n. 37552, 7 luglio 2004 – 23 settembre 2004, Agyeipah, Rv.

229802, deve imputarsi all’indagato di non avere, con richiesta di riesame, confutato la competenza del G.i.p. che aveva adottato la misura e coltivato se del caso tale doglianza con il ricorso in Cassazione.

Nè simile regime di preclusione appare in contrasto con principi costituzionali, stante che il legislatore con il sistema delineato ha ragionevolmente esercitato la sua ampia discrezionalità nel configurare i possibili effetti derivanti dall’incompetenza del giudice. Discrezionalità d’altronde già riconosciutagli dalla Corte Costituzionale con le sentenze n. 77 del 1977 e 251 del 1986, entrambe relative ai limiti di opponibilità nel giudizio dell’eccezione di incompetenza territoriale.

10. Va dunque affermato il principio di diritto per cui, anche per quella disposta dal giudice della convalida ex art. 391 c.p.p., comma 5, solo la formale dichiarazione di incompetenza determina l’inefficacia della misura cautelare, che non sia stata rinnovata dal giudice competente entro venti giorni dalla ordinanza di trasmissione degli atti.

Il ricorso va perciò respinto e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Si comunichi a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Così deciso in Roma, il 25 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2010

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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