Cass. civ. Sez. II, Sent., 02-05-2011, n. 9647 Servitù coattive di acquedotto e di scarico di acqua

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A., M. e M.P., proprietarie di un terreno sito in (OMISSIS), convenivano in giudizio innanzi al Tribunale di Lecco B.A., proprietario di un fondo confinante, per l’eliminazione di uno scarico di acque luride e il risarcimento dei danni.

Nel resistere in giudizio, il convenuto negando l’esistenza stessa dello scarico, siccome avvenuto una sola volta, in concomitanza di un violento temporale, e avente ad oggetto acque piovane. In via riconvenzionale, chiedeva comunque l’accertamento del suo diritto alla costituzione di servitù coattiva di scarico ai sensi dell’art. 1043 c.c..

TI Tribunale, accertata la desistenza tacita dalle domande di risarcimento del danno, rigettava la domanda principale e rilevava la rinuncia alla domanda riconvenzionale.

Sull’impugnazione della sola M.A., la Corte d’appello di Milano rigettava l’appello, osservando che in sede di precisazione delle conclusioni nel giudizio di primo grado le attrici non avevano riprodotto nè la domanda di rimozione dello scarico, nè quella di risarcimento del danno, espressamente formulate, invece, nell’atto introduttivo, sicchè le stesse dovevano aversi per abbandonate. Rilevava, inoltre, che la domanda di risarcimento del danno non era stata svolta in grado d’appello e che la richiesta di rimozione dello scarico, quand’anche la si fosse ritenuta come non desistita, era comunque infondata, in quanto il c.t.u. nominato nel primo giudizio non aveva riscontrato alcun elemento da cui desumere la presenza di abusivi scarichi di liquami sul fondo di proprietà M..

Per la cassazione di quest’ultima sentenza ricorre M. A., formulando quattro motivi di censura.

Resiste con controricorso B.A..

Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione

1. – Col primo motivo parte ricorrente deduce l’insufficiente motivazione circa la ritenuta rinuncia alla domanda per effetto della mancata riproposizione della stessa al momento della precisazione delle conclusioni.

Pur applicando i principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in ordine alla desistenza dalla domanda, secondo cui la sola mancata riproduzione di quest’ultima in sede di precisazione delle conclusioni pone una presunzione semplice di abbandono destinata ad essere confermata o smentita da altri elementi indicatori, la pronuncia della Corte d’appello non offre una motivazione accettabile in relazione agli indici interpretativi della condotta processuale della parte e del grado di connessione tra domanda espressamente riproposta e domanda omessa, ma si limita ad affermare l’insussistenza di elementi di segno contrario alla rinuncia, senza aggiungere null’altro.

Per contro, sotto il primo profilo, le conclusioni istruttorie rassegnate in primo grado rendevano di assoluta evidenza che l’intenzione della parte fosse proprio quella di modificare la situazione di fatto ritenuta esistente a quel momento, il che è incompatibile con la volontà di rinunciare alla rimozione del sistema di smaltimento delle acque esistente nel fondo limitrofo;

sotto il secondo, la connessione è evidente nel particolare atteggiarsi della negatoria servitutis allorchè l’ingerenza altrui non si limiti all’affermazione di diritti sulla cosa oggetto di proprietà, ma consista in intromissioni corrispondenti al diritto abusivamente esercitato.

1.1. – Il motivo è inammissibile, perchè non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, che (al di là dell’avverbio "peraltro", usato ad introduzione del relativo periodo) consiste nel rilevare che la M. neppure in appello ha riproposto la domanda di risarcimento del danno e di rimozione dello scarico. E’ evidente che in tanto può porsi in appello un problema d’interpretazione della volontà processuale della parte che in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado si sia limitata a riprodurre alcune soltanto delle domande originariamente introdotte, in quanto queste ultime siano state riproposte in appello e la sentenza di primo grado sia stata impugnata al riguardo per omessa pronuncia.

Non avendo parte attrice confutato detta argomentazione della Corte milanese, viene meno la stessa possibilità di vagliare la motivazione in parte qua della sentenza impugnata, in base ai parametri di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5. 2. – Il secondo motivo censura la sentenza d’appello per falsa applicazione dell’art. 277 c.p.c. in combinato disposto con l’art. 112 c.p.c., per avere pronunciato circa la fondatezza nel merito di una domanda che la stessa Corte ha ritenuto rinunciata, affermando che la domanda di rimozione dello scarico, quand’anche fosse ritenuta come non desistita, non potrebbe comunque essere accolta.

2.1. – Il motivo è inammissibile per difetto d’interesse.

Come questa Corte ha avuto modo di affermare più volte (per di più con arresto reso anche a S.U.: cfr. n. 3840/07), sia pure al diverso ime di delimitare l’onere di contro argomentazione specifica gravante sulla parte impugnante, qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si è spogliato della potestas iudicandi in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere nè l’interesse ad impugnare; conseguentemente è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta ad abundanliam nella sentenza gravata (v., tra le più recenti, Cass. nn. 18170/06, 13997/07 e 15234/07).

2.1.1. – Nello specifico, dunque, il giudice d’appello ha motivato in maniera sovrabbondante ai fini della decisione, svolgendo considerazioni sul merito della controversia che non valgono ad integrare una statuizione idonea al giudicato esterno.

3. – Le considerazioni appena esposte assorbono l’esame del terzo motivo d’impugnazione, col quale parte ricorrente deduce "in via alternativa o di subordine" l’insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa l’insussistenza di un effettivo esercizio di servitù di scarico delle acque impure e fognarie sul fondo della ricorrente, e la conseguente infondatezza della domanda volta alla rimozione delle opere a ciò destinate.

4. – Il quarto motivo deduce la falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e/o l’insufficiente e contraddittoria motivazione in punto di allocazione delle spese di giudizio. Si sostiene che la relativa condanna della M. si basi sulla circostanza, frutto di travisamento dei fatti, che il convenuto non abbia sollevato contestazioni sulla domanda negatoria servitutis. Inoltre, pur ritenendo non ammissibile che ai fini del regolamento delle spese possa rilevare la rinuncia alle domande, parte ricorrente osserva che il criterio adottato dal Tribunale e, forse, ribadito dalla Corte d’appello, non ha avuto applicazione uniforme per le parti contendenti, atteso che il B. ha realmente rinunciato alla propria domanda costitutiva di servitù di scarico, ma ciò nonostante tale atteggiamento non è stato considerato, a differenza della parte attrice, come fonte di soccombenza.

4.1. – Anche tale motivo è inammissibile, perchè la censura si rivolge contro la motivazione svolta dal giudice di primo grado per regolare le spese, senza che la relativa statuizione abbia formato oggetto di specifico motivo d’appello.

5. – In conclusione, il ricorso va respinto.

6. – Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza della ricorrente.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per spese vive, oltre spese generali di studio, I.V.A. e C.P.A. come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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