Cass. civ. Sez. II, Sent., 02-05-2011, n. 9646 Azioni a difesa della proprietà

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

el ricorso.
Svolgimento del processo

B.E. agiva innanzi al Tribunale di Lodi per l’accertamento positivo del proprio esclusivo diritto di proprietà su di un cortile posto in (OMISSIS), e per la consequenziale condanna di A. e S.R. a eliminare opere gravanti o insistenti sul cortile stesso, costituite da due porte, un contatore dell’energia elettrica, un pluviale e un marciapiede.

Resisteva il solo S.R. – e dipoi gli eredi di lui, F.A.M. e S.A. – proponendo domanda riconvenzionale di usucapione, in tesi, della comproprietà del cortile, in ipotesi della servitù di passo pedonale e carraio su di esso.

Preso atto della rinuncia della domanda principale nei confronti di S.A., il Tribunale affermava la proprietà esclusiva del fondo in favore dell’attrice ed accoglieva la riconvenzionale di usucapione della servitù di passo pedonale, respingendo le ulteriori domande proposte dalla B., che condannava alle spese.

Tale pronuncia era confermata dalla Corte d’appello di Milano, che sull’impugnazione proposta dall’attrice, la quale lamentava che nel dispositivo della sentenza di primo grado nulla fosse stato detto in punto di proprietà esclusiva del cortile, e che non ricorressero le condizioni nè per accertare la servitù di passo, nè per rigettare le sue altre domande, escludeva l’omessa pronuncia sulla domanda principale, essendo stata trattata e decisa la relativa questione nella motivazione della sentenza stessa; ripercorreva l’esame delle prove sulla domanda riconvenzionale di usucapione della servitù di passo, condividendo motivatamente la valutazione operatane dal Tribunale; escludeva che il rifacimento del marciapiede sul cortile costituisse un’opera nuova, rispetto a quella preesistente; rilevava che lo scarico dell’acqua meteorica sul cortile attraverso il pluviale non fosse mutato rispetto al passato; negava che il diverso posizionamento del contatore dell’energia elettrica nel cortile dell’attrice costituisse una nuova servitù di sporto o un aggravamento della preesistente servitù di passaggio, trattandosi di un’opera che comportava l’occupazione di uno spazio minimo; e poneva le spese del grado a carico dell’appellante.

Per la cassazione di quest’ultima sentenza ricorre B.E., articolando otto motivi di annullamento, illustrati da memoria.

Resistono con controricorso gli intimati F.A.M. e S.A..
Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo parte ricorrente denuncia la violazione dell’art. 287 c.p.c., e segg. e artt. 112 e 113 c.p.c., nonchè l’omessa pronuncia sulla richiesta di correzione del dispositivo della sentenza di primo grado, sostenendo la necessità di inserirvi un’esplicita e formale declaratoria di proprietà esclusiva sul cortile, anche ai fini della trascrizione della sentenza.

1.1. – Il motivo è infondato perchè la domanda di accertamento della proprietà esclusiva e di condanna dei convenuti alla rimozione delle opere altro non introduce che un’actio negatoria servitutis. A sua volta, l’accertamento dell’usucapione della servitù, oggetto della domanda riconvenzionale, reca in sè, ineludibili, sia la reiezione della negatoria, sia l’accertamento implicito della proprietà del fondo servente in favore dell’attrice, che, altrimenti, non sarebbe configurabile l’esistenza di una servitù (la servitù su cosa comune, pur possibile, muove da differenti presupposti e, soprattutto, non è stata dedotta in causa), nè rispetto a tale domanda sussisterebbe la legittimazione passiva dell’attrice.

1.2. – Quanto all’interesse ad una declaratoria di proprietà esclusiva in funzione della trascrizione della sentenza, trattasi di questione nuova, non essendo stata trattata nella sentenza d’appello e non avendo parte ricorrente indicato l’atto in cui avrebbe sollevato la relativa problematica.

1.2.1. – Nè è fondato l’assunto, meglio sviluppato nella memoria ex art. 378 c.p.c., per cui trattandosi di correzione integrativa della sentenza d’appello, nel dispositivo dovrebbero ad ogni modo essere inserite le indicazioni previste dagli artt. 2652, 2653 e 2656 c.c., per la trascrizione della sentenza, atteso che le prime due norme richiamate riguardano la trascrizione delle domande giudiziali mentre la terza, concernendo l’annotazione, presuppone trascrizioni di domande giudiziali già effettuate (il che non è neppure allegato nel caso in esame).

2. – Con il secondo motivo si deduce l’insufficiente ed erronea motivazione in ordine alla valutazione delle risultanze istruttorie e l’omesso esame di un punto decisivo della controversia.

Sostiene parte ricorrente che la Corte d’appello non ha esaminato e valutato, incorrendo pertanto nel vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, quanto dedotto dalla difesa della parte attrice in ordine alla prova, ricavabile dai titoli di provenienza dei beni in questione e dalle deposizioni raccolte, che dimostrerebbe il mancato decorso del termine ordinario di usucapione della servitù.

Segue il richiamo al titolo di proprietà dei convenuti, che non trasferirebbe alcun diritto o possesso sul cortile di proprietà B.; alla circostanza che solo a partire dal 1985 nelle schede catastali allegate agli atti d’acquisto dei convenuti comparirebbe la porticina pedonale posta nell’angolo SO; al fatto che pure nel progetto di recinzione del cortile risulterebbe chiaramente l’inesistenza di una recinzione con cancello tra il cortile di proprietà B. e quello di proprietà S.; e alla circostanza che le contestazioni manifestate dal legale della B. già nel 1990, attesterebbero che non era tale recinzione.

Parte ricorrente, poi, procede all’esame delle singole testimonianze rese, esponendo le ragioni per cui quelle indotte dalla difesa dei convenuti dovrebbero considerarsi minusvalenti rispetto a quello dei testi di parte attrice.

2.1. – Il motivo è manifestamente inammissibile.

Come più volte affermato da questa Corte Suprema, in tema di giudizio di cassazione, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico- formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge).

Conseguentemente, per potersi configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia, è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza. Pertanto, il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la ratto decidendi venga a trovarsi priva di base (v. Cass. n. 9368/06 e le successive conformi).

Inoltre, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (v. Cass. nn. 2272/07 e 14084/07).

2.1.1. – Nello specifico, l’allegazione del vizio in parola è carente sotto tutti i requisiti desumibili dall’art. 360 c.p.c., n. 5, atteso che il motivo sono seleziona singoli e specifici punti decisivi, ma rinvia all’insieme del thema decidendum, nè tanto meno identifica esattamente i passaggi motivazioni censurati d’insufficienza o illogicità, ma limitandosi a lamentare la mancata condivisione delle argomentazioni difensive della parte attrice, mira ad evidenza a sollecitare un rinnovato esame del merito della controversia, inammissibile in sede di legittimità. 3. – Il terzo motivo deduce la violazione dell’art. 1061 c.c. e l’omessa motivazione circa un punto decisivo. Parte ricorrente deduce che il giudice d’appello non ha motivato sul requisito di apparenza relativo alla porticina pedonale posta sul retro del fabbricato S., porta che di per sè non denota la servitù a carico del fondo della ricorrente, in quanto dal retro di tale fabbricato da sul cortiletto degli stessi S. e che, pertanto, era sempre stata usata non per accedere alla pubblica via tramite la proprietà B., ma per collocare sul retro dell’edificio dei convenuti materiali vari e scorte. Al riguardo la Corte territoriale, limitandosi ad affermare in merito che l’apposizione di un cancelletto costituiva una nuova modalità di passaggio, ha dato per presupposto un fatto in realtà contestato e non dimostrato.

Parte ricorrente richiama, quindi, il costante indirizzo giurisprudenziale per cui il requisito di apparenza, necessario per l’usucapione della servitù, si identifica in opere visibili e permanenti inequivocabilmente strumentali rispetto al bisogno del fondo dominante.

4. – Con il quarto motivo si deduce la violazione dell’art. 1146 c.c., nonchè la carente motivazione su di un punto decisivo della controversia, perchè la ritenuta successione nel possesso della servitù, che potrebbe astrattamente configurarsi per l’apertura nell’angolo sud-ovest del fabbricato, non è, invece, sostenibile per quella che da accesso diretto non sul cortile dell’attrice, bensì su quello pertinenza del fabbricato della stessa pare convenuta.

4.1. – I suddetti motivi, da esaminare congiuntamente in quanto inerenti alla medesima questione dell’apparenza della servitù, sono fondati.

4.2, – E’ pacifico e incontroverso, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, che le opere visibili e permanenti in tanto denotano la servitù, in quanto, oltre ad essere strumentali all’esercizio dell’attività in cui questa consiste, mostrino per caratteristiche e ubicazione di gravare e di avvantaggiare, rispettivamente, il fondo servente e quello dominante, così che il requisito di apparenza non ricorre allorquando dette opere, pur consentendo l’attività utile, non manifestano lo specifico asservimento dell’un fondo all’altro (cfr. con riferimento alla non univocità di una strada, v. Cass. nn. 3389/09 e 16842/09).

4.2.1. – Nello specifico, la Corte territoriale ha unificato nella motivazione della sentenza la valutazione delle due contestate aperture del fabbricato di parte convenuta sul cortile di parte attrice, ritenendole esistenti sin dal 1962, solo che per una delle due ha aggiunto che la realizzazione di un cancello negli anni 1990- 1991 non ha sostanzialmente mutato la situazione preesistente, ma semmai l’ha confermata, configurandosi tale modifica come una nuova modalità di accesso.

Tale passaggio della motivazione lascia intendere che tra una delle due aperture e il cortile di proprietà B. s’interponga un cancello, aggiunto in epoca infraventennale rispetto all’inizio della controversia (instauratasi nel 1998), il quale soltanto da accesso diretto al fondo dell’odierna ricorrente.

Questa essendo la ricostruzione dei fatti e dei luoghi operata dalla Corte territoriale, va da sè che la servitù in oggetto è manifestata non già dall’apertura esistente sul fabbricato di parte convenuta – che per la sua oggettività, a di là delle intenzioni delle parti e delle attività eventualmente svolte e subite (irrilevanti ai fini della valutazione di apparenza), mette in comunicazione l’interno del fabbricato stesso con la parte di terreno ad esso retrostante -, bensì dal cancello stesso, il quale denota una pretesa di asservimento, ma non vale ovviamente a costituire la relativa servitù per usucapione, essendone soltanto un presupposto necessario ma non bastevole (cfr. sulla, peraltro ovvia, non sufficienza del solo requisito di apparenza, Cass. n. 2659/99).

Deve, pertanto, ritenersi che la motivazione della sentenza impugnata sia carente in parte qua, e che di conseguenza non risulti giustificato in essa il requisito di apparenza previsto dall’art. 1062 c.c..

5. – Con il quinto motivo si deduce la violazione degli artt. 832, 934 e 936 c.c., e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui, respingendo la domanda avente ad oggetto l’eliminazione del marciapiede elevato quasi per dieci centimetri rispetto al piano di calpestio del cortile, ha ritenuto che sebbene eseguita su proprietà altrui l’opera non realizzava un’innovazione vietata, senza mutare sostanzialmente le caratteristiche e la funzionalità del marciapiede preesistente, nè aggravare la condizione dei luoghi o comportare alcun danno alla proprietà altrui.

L’errore di diritto, sostiene parte ricorrente, è particolarmente evidente in quanto il proprietario ha il diritto di rifiutare e respingere qualsiasi innovazione o modifica al bene oggetto di sua proprietà, indipendentemente dal fatto che i mutamenti apportati siano vantaggiosi o pregiudizievoli.

5.1. – Il motivo è fondato.

Non è ben chiara, al riguardo, la ratio della decisione impugnata, che limitandosi a negare aggravamenti e pregiudizi a svantaggio della proprietà B., sembrerebbe dare per presupposta la prova dell’esistenza di un precedente marciapiede quale adminiculum servitutis, senza tuttavia specificare nè in qual modo esso fosse funzionale all’esercizio del passaggio oggetto di servitù, nè a quale delle due servitù dedotte si riferisca.

Conseguentemente, anche sotto tale profilo, la motivazione deve ritenersi insufficiente a giustificare la reiezione della domanda negatoria.

6. – Il sesto motivo denuncia carenza di motivazione e omesso esame di un punto decisivo, relativamente alla domanda di rimozione del pluviale.

Anche se ne fosse stata provata la preesistenza, come ritenuto dalla Corte d’appello, non per questo i convenuti avrebbero fornito la prova anche della conformità al diritto della situazione in atto.

Essi, infatti, non hanno proposto alcuna domanda di accertamento dell’acquisto per usucapione di una servitù di scarico di acqua piovana sul cortile di proprietà B., per cui nessun effetto giuridico può produrre la preesistenza di tale accessorio.

6.1. – Il motivo fondato.

Ritenendo che la sola accertata preesistenza di altro pluviale in luogo di quello posto in essere dai convenuti con scarico sul cortile dell’attrice, fosse circostanza da sola idonea ad escludere l’illegittimità dell’opera, la Corte d’appello non ha considerato nè che tale solo fatto non costituisce certamente un modo d’acquisto della relativa servitù, nè che i convenuti non hanno proposto nè una domanda, nè un’eccezione di usucapione del corrispondente ius in re aliena.

7. – Con il settimo motivo si deduce la violazione degli artt. 832, 1064 e 1067 c.c. e vizio di motivazione della sentenza impugnata, lì dove è stato ritenuto che la modesta sporgenza sul cortile del contatore Enel non rappresenta un aggravamento della servitù di passo.

L’errore in cui è incorsa la Corte di merito, sostiene parte ricorrente, è duplice, perchè non ha considerato che tutto lo spazio aereo soprastante un fondo forma oggetto di proprietà, per cui ne è illegittima l’occupazione, e che l’apposizione di un contatore non costituisce aggravamento di una preesistente servitù di passo, ma imposizione di un diverso ed autonomo peso.

7.1. – Anche tale motivo è fondato, visto che non è dato di comprendere la ragione per cui "la mera apposizione del contatore dell’Enel all’esterno del cortile, già gravato da servitù di passo, da parte del titolare della predetta servitù", non costituisca aggravamento, trattandosi opera di minimo ingombro che non ostacolerebbe il godimento del fondo di parte attrice.

E’ di tutta evidenza che non vi è alcun logico collegamento tra i due pesi in questione – quello derivante dal passaggio e quello consistente nella sia pur minima sottrazione di parte dello spazio aereo soprastante il cortile di proprietà B. – e che, anche in tal caso, esiguità e preesistenza del peso, in assenza di domanda o eccezione di acquisto della correlata servitù, non rendono legittima la compromissione dell’altrui diritto di proprietà. 8. – Per le considerazioni fin qui svolte, che assorbono l’esame dell’ottava ed ultima censura, inerente al regolamento delle spese del grado d’appello, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano, che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.

La Corte rigetta i primi due motivi, accoglie gli altri, assorbito l’ultimo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Milano che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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