Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 16-02-2011) 03-03-2011, n. 8424 Giudizio d’appello sentenza d’appello

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 4 dicembre 2009, la Corte d’Appello di Salerno confermava la sentenza del Tribunale di Salerno, emessa il 12 giugno 2007, con la quale C.T. veniva condannato per il reato di cui all’art. 609 bis c.p. in danno di G.L., costituitasi parte civile, la quale veniva costretta a subire atti sessuali consistenti in toccamenti nelle parti intime.

Avverso tale decisione il condannato e la parte civile proponevano ricorso per cassazione.

Il C., con un primo motivo di ricorso deduceva l’omessa motivazione, da parte dei giudici del gravame, in ordine alle specifiche censure dedotte con i motivi d’appello e concernenti la credibilità oggettiva e soggettiva della persona offesa, le cui dichiarazioni risulterebbero prive di riscontro, risolvendosi la sentenza impugnata nel mero richiamo per relationem di quella di primo grado senza alcuna valutazione di elementi decisivi per la riforma della sentenza del primo giudice.

Con un secondo motivo di ricorso deduceva il vizio di motivazione per violazione dei criteri di valutazione della deposizione della persona offesa, in quanto non si era tenuto conto dell’esistenza di evidenti contraddizioni.

La parte civile rilevava, con un primo motivo di ricorso, il vizio di motivazione in ordine alla mancata liquidazione, da parte del giudice di prime cure, del danno non patrimoniale della libertà sessuale.

Con il secondo motivo di ricorso il vizio di motivazione era invece dedotto, in relazione alla quantificazione delle spese di costituzione di parte civile effettuata dal giudice di prime cure e ritenuta ingiusta alla luce della puntuale elencazione delle voci di spesa nella relativa nota.

Con il terzo motivo di ricorso, infine, deduceva l’illogicità della motivazione relativamente alla compensazione delle spese, fondata sulla reiezione dell’appello in quanto trattavasi di soccombenza parziale avendo la parte civile promosso appello incidentale.
Motivi della decisione

Il ricorso del C. è infondato.

Va preliminarmente osservato che la motivazione per relationem effettuata dai giudici d’appello appare corretta e conforme a legge.

Occorre infatti ricordare, a tale proposito, come la giurisprudenza di questa Corte abbia costantemente ritenuto che la motivazione per relationem effettuata dal giudice d’appello sia generalmente legittima e consenta al giudice di fornire adeguata giustificazioni delle ragioni poste a sostegno della pronuncia.

L’ambito di ammissibilità di una siffatta motivazione è stato, tuttavia, compiutamente delimitato, indicando in modo dettagliato entro quali limiti il giudice d’appello possa avvalersene.

Si è così precisato, in un primo tempo, come non sia necessario, per il giudice d’appello, esaminare nuovamente le questioni genericamente formulate nei motivi di gravame e sulle quali si sia già soffermato il giudice di prime cure, con argomentazioni esatte e prive di vizi logici, quando le censure mosse alla sentenza di primo grado non contengano elementi nuovi rispetto a quelli già esaminati e disattesi (Sez. 5^ n. 4415, 8 aprile 1999; Sez. 5^ n. 7572, 11 giugno 1999; Sez. 6^ n. 31080,15 luglio 2004).

E’ dunque consentito al giudice di appello uniformarsi, tanto per la ratio decidendi, quanto per gli elementi di prova, agli stessi argomenti valorizzati dal primo giudice, specie se la loro consistenza probatoria sia così prevalente e assorbente da rendere superflua ogni ulteriore considerazione (Sez. 5^ n. 3751, 23 marzo 2000).

In tale circostanza, ciò che si richiede al giudice del gravame è, in definitiva, una valutazione critica delle argomentazioni poste a sostegno dell’appello, all’esito della quale risulti l’infondatezza dei motivi di doglianza (cfr. Sez. 4^ n. 16886, 20 gennaio 2004).

Tali argomentazioni sono state ulteriormente ribadite, osservando che la conformità tra l’analisi e la valutazione degli elementi di prova posti a sostegno delle rispettive pronunce nelle sentenze di primo e secondo grado determina una saldatura della struttura motivazionale della sentenza di appello con quella del primo giudice tale da formare un unico, complessivo corpo argomentativo (Sez. 6^, n. 6221, 16 febbraio 2006).

L’individuazione dei limiti di legittimità della motivazione per relationem trova un ulteriore punto fermo nell’obbligo del giudice d’appello di argomentare sulla fallacia, inadeguatezza o non consistenza dei motivi di impugnazione in presenza di specifiche censure dell’appellante sulle soluzioni adottate dal giudice di primo grado, poichè il mero richiamo in termini apodittici o ripetitivi alla prima pronuncia o la semplice reiezione delle censure predette determina un evidente vizio di motivazione (Sez. 6^ 6221/06 cit.;

Sez. 6^, n. 35346, 15 settembre 2008; Sez. 4^, n. 38824, 14 ottobre 2008, Sez. 3^ n. 24252, 24 giugno 2010).

Date tali premesse, si osserva che, nel caso di specie, il giudice dell’appello non si è limitato ad un acritico richiamo della pronuncia di primo grado, poichè ha chiaramente evidenziato che parte delle censure formulate a carico della sentenza del primo giudice non contenevano elementi di novità rispetto a quelli già esaminati e dallo stesso disattesi.

Nel resto, ha compiutamente analizzato le doglianze prospettate nei motivi di appello.

A tale proposito appare opportuno chiarire che l’analisi dei motivi di impugnazione richiesta al giudice d’appello deve intendersi riferita al complesso degli elementi posti a sostegno della singola deduzione e non può ritenersi carente quando la rilevanza di ciascuna circostanza menzionata sia stata esclusa all’esito di un giudizio globale che ne abbia comunque tenuto conto.

Nella fattispecie, la credibilità della persona offesa è stata contestata dal ricorrente attraverso l’analitico richiamo ai singoli contenuti dell’atto di appello che, però, risultano essere stati considerati dalla Corte territoriale pervenendo poi ad un giudizio di attendibilità della persona offesa che, come chiaramente evidenziato, non si è ritenuto minimamente intaccato dalle allegazioni difensive.

Del resto, alle dichiarazioni della parte offesa, la cui testimonianza sia ritenuta intrinsecamente attendibile, viene riconosciuta la natura di vera e propria fonte di prova, ammettendo che sulla stessa, anche esclusivamente, possa essere fondata l’affermazione di colpevolezza dell’imputato, purchè la relativa valutazione sia adeguatamente motivata (Sez. 4^ n. 30422, 10 agosto 2005; Sez. 4^ n. 16860, 9 aprile 2004; Sez. 5^ n. 6910, 1 giugno 1999).

Sul punto, quindi, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, la sentenza impugnata appare sorretta da un solido apparato logico argomentativo, privo di contraddizioni e di cedimenti logici perchè la Corte d’Appello ha compiutamente esaminato l’intero impianto probatorio rilevando l’attendibilità della deposizione della persona offesa ed elencando diffusamente non solo gli elementi di riscontro ma anche le ragioni per le quali le deduzioni della difesa risultavano non rilevanti.

Viene infatti fornita un’accurata ricostruzione dell’incontro tra il ricorrente e la persona offesa e degli accadimenti successivi, procedendo poi ad una articolata analisi delle ragioni per le quali doveva ritenersi attendibile la deposizione della p.o., evidenziando la coerenza, logicità e puntualità del narrato.

In tale contesto di completezza della motivazione non assumono pertanto rilevanza le denunciate contraddizioni.

Vengono poi compiutamente esaminate e confutate le doglianze difensive, relative alla ritenuta iniziale irreperibilità della p.o., al contenuto del messaggio telefonico inviatole dal ricorrente e ricevuto il 15 agosto 2007. Il tutto con argomentazioni in fatto complete ed esaurienti che non presentano alcun profilo di illogicità valutabile in questa sede.

Altrettanto accurata appare, inoltre, la verifica della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.

Fondato appare, invece, il ricorso della parte civile.

Sul punto infatti, la decisione impugnata risulta non aver fornito riposta, se non in modo generico ed apodittico, alle specifiche doglianze che la parte civile aveva prospettato nell’atto di appello con riferimento alla mancata liquidazione del danno non patrimoniale della libertà sessuale ed alla liquidazione delle spese in relazione al D.M. n. 127 del 2004, art. 5, Capitolo 2^.

Corretta e non illogica appare invece la compensazione delle spese in ragione della ritenuta soccombenza parziale in quanto l’appellante incidentale deve ritenersi appellante a tutti gli effetti (Sez. 6^ n. 22425, 14 giugno 2005).

Per quanto riguarda, inoltre, gli aspetti relativi alla provvisionale, occorre infine osservare che restano sottratti al giudizio di legittimità.

La motivazione, pertanto, è carente sul punto e tale lacuna dovrà essere colmata previo annullamento con rinvio dell’impugnata decisione limitatamente alla parte concernente le statuizioni civili.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso dell’imputato che condanna al pagamento delle spese processuali. In accoglimento del ricorso della parte civile, annulla l’impugnata sentenza limitatamente alle statuizioni civili, esclusa quella sulla provvisionale e sulla compensazione delle spese, con rinvio alla Corte d’Appello competente in sede civile ai fini della liquidazione del danno e delle spese comprese quelle di questo grado.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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