Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 02-05-2011, n. 9615

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 14-5-2002 il Giudice del lavoro del Tribunale di Roma respingeva la domanda proposta da C.A. nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, diretta ad ottenere la declaratoria di nullità dei termini apposti ai contratti di lavoro intercorsi tra le parti (per "esigenze eccezionali" ex art. 8 ccnl 1994 e acc. az. 25-9-97, dal 2-3-1998 al 30-4-1998 prorogato al 30/5/1998, dal 2-1-1999 al 30-1-1999 e dal 27-4-1999 al 31-5-1999) con conseguente sussistenza di un rapporto a tempo indeterminato fin dall’inizio e con condanna della società al ripristino del rapporto e al risarcimento del danno da commisurarsi in base alle retribuzioni maturate.

La C. proponeva appello avverso la detta sentenza, chiedendone la riforma con l’accoglimento della domanda.

La società si costituiva e resisteva al gravame.

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza depositata il 28-4-2006, in accoglimento dell’appello ed in riforma della sentenza impugnata dichiarava la nullità del termine apposto al secondo contratto e per l’effetto che tra le parti sussisteva un rapporto a tempo indeterminato dal 2-1-1999 ancora in atto, condannando la società al pagamento a titolo risarcitorio, di un importo pari alle retribuzioni maturate dal 17-11-2000 (data di costituzione in mora) nei limiti del triennio decorrente dalla cessazione del rapporto, oltre interessi e rivalutazione.

Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con due motivi.

La C. ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale condizionato con due motivi.
Motivi della decisione

Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi avverso la stessa sentenza ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

Con il primo motivo del ricorso principale la società, denunciando violazione dell’art. 1362 c.c., e segg., art. 425 c.p.c., e vizio di motivazione, in sostanza censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato che l’accordo del 25-9-1997, con i successivi accordi attuativi, "avrebbe auto una efficacia limitata temporalmente al 30-4-1998", e all’uopo ribadisce la natura meramente ricognitiva dei detti accordi attuativi.

Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando violazione della L. n. 230 del 1962, art. 2, dell’art. 1362 c.c., e segg., artt. 244, 416, 420, 421 e 437 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, lamenta che la Corte territoriale avrebbe "omesso di esaminare e motivare in ordine al chiaro contenuto dell’accordo siglato in data 27 aprile 1998", dal quale si evinceva che le "organizzazioni sindacali hanno riconosciuto la sopravvenienza di eventi imprevedibili e contingenti che rendevano a tal punto opportuna una proroga dei contratti a termine in corso da indurle addirittura a codificare pattiziamente tale proroga.

Premesso che nella fattispecie va applicato l’art. 366 bis c.p.c., ratione temporis, trattandosi di ricorso avverso sentenza depositata in data successiva all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006 ed anteriore all’entrata in vigore della L. n. 69 del 2009 (cfr. fra le altre Cass. 24-3-2010 n. 7119, Cass. 16-12-2009 n. 26364), osserva il Collegio che il ricorso principale risulta inammissibile per mancanza dei quesiti di diritto imposti dalla detta norma.

L’art. 366 bis c.p.c., infatti, "nel prescrivere le modalità di formulazione dei motivi di ricorso in cassazione, comporta, ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso medesimo, una diversa valutazione da parte del giudice di legittimità a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dall’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, ovvero del motivo previsto dal numero 5 della stessa disposizione. Nel primo caso ciascuna censura deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 cod. proc. civ., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a "dieta" giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza, mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo "iter" argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione" (v. Cass. 25-2-2009 n. 4556).

In particolare il quesito di diritto, in sostanza, deve integrare (in base alla sola sua lettura) la sintesi logico-giuridica della questione specifica sollevata con il relativo motivo (cfr. Cass. 7/4/2009 n. 8463) e "deve comprendere l’indicazione sia della "regola iuris" adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo. La mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile" (v.

Cass. 30-9-2008 n. 24339).

Pertanto, come è stato più volte affermato da questa Corte e va qui nuovamente enunciato ex art. 384 c.p.c., "è inammissibile per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., il ricorso per cassazione nel quale l’illustrazione dei singoli motivi non sia accompagnata dalla formulazione di un esplicito quesito di diritto, tale da circoscrivere la pronuncia del giudice nei limiti di un accoglimento o un rigetto del quesito formulato dalla parte" (v. Cass. S.U. 26/3/2007 n. 7258, Cass. 7-11-2007 n. 23153), non potendo, peraltro, il quesito stesso desumersi dal contenuto del motivo, "poichè in un sistema processuale, che già prevedeva la redazione del motivo con l’indicazione della violazione denunciata, la peculiarità del disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c., consiste proprio nell’imposizione al patrocinante che redige il motivo, di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione stessa, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto e, quindi, al miglior esercizio della funzione nomofilattica della Corte di legittimità" (v. Cass. 24-7-2008 n. 2040, cfr. Cass. S.U. 10-9- 2009 n. 19444).

Orbene, nella fattispecie, la società, che pur ha illustrato i singoli motivi di ricorso, tutti riguardanti asserite violazioni di norme di diritto, non ha formulato alcun quesito ai sensi dell’art. 366 bis. c.p.c..

Il ricorso principale va pertanto dichiarato inammissibile, con conseguente inefficacia, ai sensi dell’art. 334 c.p.c., del ricorso incidentale (tardivo) della C..

Infine, in ragione della prevalente soccombenza, la società va condannata al pagamento delle spese in favore della C..
P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, dichiara inammissibile il ricorso principale e inefficace quello incidentale; condanna la società Poste Italiane a pagare alla C. le spese, liquidate in Euro 23,00 oltre Euro 2.500,00 per onorari oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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