Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 27-01-2011) 03-03-2011, n. 8455

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Verona, con sentenza in data 12/11/2003, assolveva P.G. e V.R., perchè il fatto non sussiste, ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2, dall’imputazione loro ascritta di circonvenzione di incapace per aver abusato dello stato di infermità psichica di V.C., di anni 85, inducendola a consegnar loro L. 395 milioni per l’acquisto di una villetta, oltre ad alcuni milioni per l’arredamento della cucina, del soggiorno, del bagno, per l’istallazione di un’antenna parabolica e per il pagamento delle spese relative all’abitazione.

La Corte di appello di Venezia, con sentenza in data 10/3/2010, in riforma della sentenza, impugnata dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Venezia e dalla parte civile, dichiarava la responsabilità di entrambi gli imputati e condannava, ciascuno, alla pena di anni due di reclusione e Euro 206 di multa. Condannava, inoltre gli imputati, in solido fra loro, alla restituzione in favore della parte civile della somma, liquidata in via definitiva, di Euro 250.000, ivi compreso il danno morale, maggiorata gli interessi legali rivalutazione monetaria a decorrere dal 31 ottobre 2000, subordinando la sospensione condizionale della pena al pagamento di tale somma.

Proponeva ricorso per cassazione il difensore di entrambi gli imputati deducendo i seguenti motivi:

a) inosservanza di norme processuali per l’omessa valutazione, da parte del giudice d’appello, delle memorie depositate dalla difesa degli imputati e mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione in relazione all’accertamento dello stato di deficienza psichica di cui all’art. 643 c.p.;

b) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale per l’omessa declaratoria di prescrizione del reato, in fase d’appello;

c) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, contraddittorietà illogicità della motivazione in relazione alla liquidazione del danno riconosciuto alla parte civile.
Motivi della decisione

1) In ordine logico va preliminarmente esaminato il motivo di ricorso relativo all’omessa declaratoria di prescrizione del reato.

La L. n. 251 del 2005, art. 10 stabilisce che "se per effetto delle nuove disposizioni, i termini di prescrizione risultano più brevi..

.questi non si applicano ai processi già pendenti in grado di appello o avanti alla Corte di Cassazione".

Tenendo conto della ratio decidendi espressa dalla sentenza n. 393 del 2006 va interpretata la L. n. 251 del 2005, art. 10, comma 3, nella sua formulazione successiva alla illegittimità costituzionale, al fine di individuare il momento in cui il processo può dirsi pendente in grado di appello, situazione processuale rilevante per escludere l’applicabilità della nuova disciplina della prescrizione, ma che non riceve alcuna definizione nel codice di procedura, in cui la nozione di "pendenza" non risulta individuata.

Aderendo a un orientamento già espresso da questa Corte va affermato che in caso di prescrizione, ai fini dell’applicazione delle disposizioni transitorie previste dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251, art. 10, comma 3, quando il giudizio di primo grado si sia concluso con una sentenza di assoluzione, il momento determinante per stabilire la pendenza del procedimento in appello va individuato nell’emissione del decreto di citazione per il giudizio ex art. 601 cod. proc. pen. (Sez. 6, Sentenza n. 7112 del 25/11/2008 Ud. (dep. 18/02/2009) Rv. 242421 La "pendenza" in grado di appello, infatti, va individuata non in termini assoluti, ma in relazione ad una norma intertemporale, quale quella di cui alla L. n. 251 del 2005, art. 10, comma 3, letta ed interpretata alla luce delle indicazioni provenienti dalla giurisprudenza costituzionale e tale lettura può anche non essere univoca, dal momento che diversi sono gli atti cui fare riferimento, a seconda che la fase di appello sia preceduta da una sentenza di condanna o, come nel caso di specie, di assoluzione di primo grado.

Il decreto di citazione a giudizio è il primo atto in sequenza procedimentale che, in presenza di una sentenza di assoluzione di primo grado, produce l’effetto di interrompere il corso della prescrizione, che, sempre che non sia già superato il tempo stabilito dall’art. 157 c.p., riprende a decorrere dal giorno della interruzione. Trattasi, infatti, oltre che di atto imprescindibile per l’instaurazione del giudizio di appello, anche di un atto a cui viene riconosciuta efficacia interruttiva, in quanto il riferimento generico al decreto di citazione a giudizio, contenuto nell’art. 160 c.p., consente di ricomprendere tra gli atti interruttivi del corso della prescrizione anche il decreto di citazione per il giudizio d’appello di cui all’art. 601 c.p.p. (Sez. 6A, 20 maggio 2008, n. 27324, Borrelli; Sez. 5A, 7 novembre 2007, n. 3420, Vulpio; Sez. 6A, 21 febbraio 2003, n. 11418, Ferrari; Sez. 3A, 25 novembre 1981, n. 1779, Vergara).

In conclusione, le disposizioni da applicare nel caso in questione sono quelle previste dalla L. n. 251 del 2005, in quanto al momento di entrata in vigore della nuova disciplina – 8 dicembre 2005 – non vi era ancora il decreto di citazione a giudizio ex art. 601 c.p.p., emesso successivamente. Secondo la nuova formulazione dell’art. 157 c.p. e ss. il tempo massimo di prescrizione per il reato di circonvenzione di incapace contestato ai ricorrenti, nella concreta fattispecie, è di anni sette e mesi sei; considerato che la consumazione del delitto risale all’agosto 2000, il termine massimo di prescrizione è abbondantemente decorso, anche in epoca antecedente alla sentenza della Corte d’Appello (10/3/2010) Deve escludersi l’applicabilità dell’art. 129 c.p.p., comma 2: in presenza di una causa estintiva del reato, il giudice può pronunciare sentenza di assoluzione nel merito soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la sua rilevanza penale ovvero la non commissione del medesimo da parte dell’imputato emergano dagli atti in modo assolutamente incontestabile, in quanto la "evidenza" richiesta dall’art. 129 c.p.p., comma 2 presuppone la manifestazione di una verità processuale così chiara, manifesta ed obiettiva da rendere superflua ogni dimostrazione, concretizzandosi in qualcosa di più di quanto la legge richiede per l’assoluzione ampia. Nella specie, come sarà evidenziato, non solo va esclusa l’evidenza dell’innocenza dell’imputato secondo i parametri indicati dal citato art. 129 c.p.p., comma 2, ma deve essere affermata, sia pure agli effetti civili, in base alla motivazione che sarà in prosieguo sviluppata, la responsabilità di entrambi gli imputati in relazione al reato di circonvenzione di incapace loro ascritto.

Va, conseguentemente, annullata senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla condanna penale, per essere il reato estinto per prescrizione.

2) Il giudice di appello, nel dichiarare l’estinzione del reato per prescrizione o per amnistia su impugnazione, anche ai soli effetti civili, della sentenza di assoluzione ad opera della parte civile, può condannare l’imputato, ove ritenga sussistere, come nella fattispecie, la responsabilità dei prevenuti in ordine al reato loro ascritto, al risarcimento dei danni in favore di quest’ultima, atteso che l’art. 576 cod. proc. pen. conferisce al giudice dell’impugnazione il potere di decidere sul capo della sentenza anche in mancanza di una precedente statuizione al riguardo, essendo in tal caso consentito al giudice dell’impugnazione il potere di decidere sul capo della sentenza anche in mancanza di una precedente statuizione sul punto. (Sez. U, Sentenza n. 25083 del 11/07/2006 Ud.

(dep. 19/07/2006) Rv. 233918; Sez. 3, Sentenza n. 17846 del 19/03/2009 Ud. (dep. 28/04/2009) Rv. 243761) Sussistono, al riguardo, elementi certi di responsabilità di entrambi gli imputati.

Con riferimento alla censura concernente il mancato esame della memoria depositata dalla difesa degli imputati in data 22/2/2010, ove si faceva riferimento ai risultati delle prove assunte in dibattimento, alla diversa ricostruzione dei fatti riportati nella sentenza di primo grado, con rilievi critici sul certificato psichiatrico redatto dalla Dott. R., va evidenziato che la Corte territoriale, pur non menzionando espressamente la memoria difensiva, ha implicitamente disatteso le argomentazioni ivi esposte.

Va osservato che, comunque, l’omesso esame di censure difensive da parte della Corte di merito non da luogo a un difetto di motivazione rilevante a norma dell’art. 606 cod. proc. pen., nè determina incompletezza della motivazione della sentenza allorchè, pur in mancanza di espressa disamina, le questioni formulate debbano considerarsi implicitamente disattese perchè incompatibile con la struttura e con rimpianto della motivazione, nonchè con le premesse essenziali, logiche e giuridiche che compendiano la ratio decidendi della sentenza medesima.

Secondo il disposto dell’art. 597 c.p.p., comma 1, l’appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione nel procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti. Pertanto il giudice d’appello deve tenere presente, dandovi risposta in motivazione, quali sono state le doglianze dell’appellante ordine ai punti (o capi art. 581 c.p.p., comma 1, lett. e) investiti dal gravame, ma non è tenuto ad indagare su tutte le argomentazioni elencate in sostegno dell’appello, quando esse siano incompatibili con le spiegazioni svolte nella motivazione, poichè in tal modo quelle argomentazioni si intendono assorbite e respinte dalle spiegazioni fornite dal giudice di secondo grado.

(Sez. 1, Sentenza n. 1778 del 21/12/1992 Ud. (dep. 23/02/1993) Rv.

194804).

Anche le censure relative all’erroneo accertamento dello stato di deficienza psichica sono infondate; al riguardo va rilevata la mancanza di alcuna delle violazioni della legge penale o di difetto di motivazione ipotizzate, in quanto, secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, "lo stato di deficienza psichica del soggetto passivo richiesto per la configurabilità del reato di cui all’art. 643 c.p., anche inteso quale presupposto oggettivo, non è quello di una completa assenza delle facoltà mentali o di una totale mancanza della capacità di intendere e di volere, essendo sufficiente una minorata capacità psichica, uno stato di deficienza del potere di critica e di indebolimento di quello volitivo tale da rendere possibile l’altrui opera di suggestione, o tale da agevolare l’attività di induzione svolta dal soggetto attivo per raggiungere il suo fine illecito". (Cass. Sez. sent. n. 1526 del 11.4.1984 dep. 14.5.1984 rv 164188).

Più di recente questa Corte ha ribadito che, in tema di circonvenzione di persone incapaci, integra il requisito dello stato di deficienza psichica della persona offesa del delitto di circonvenzione di incapace anche una minorata capacità psichica, con compromissione del potere di critica e indebolimento di quello volitivo, tale da rendere possibile l’altrui opera di suggestione (Sez. 2, Sentenza n. 18644 del 23/04/2009 Ud. (dep. 05/05/2009) Rv.

244446).

Quanto alla consapevolezza da parte dell’imputato dello stato di deficienza psichica, il Collegio condivide l’orientamento secondo il quale "nel reato di circonvenzione di incapaci, la consapevolezza, da parte dell’agente, dello stato anomalo del soggetto passivo può essere legittimamente desunta dalla evidenza di esborsi immotivati, dalla donazione di beni di cospicuo valore e dalla stessa arrendevolezza dimostrata dal circonvenuto". (Cass. Sez. 5A sent. n. 6782 del 14.12.1977 dep. 30.5.1978 rv 139201).

Secondo l’orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio, "nel reato di circonvenzione di incapace, costituisce induzione a compiere atti che importino effetti giuridici dannosi qualsiasi attività di eccitamento, di stimolo, di suggestione, e, quindi, l’uso di qualsiasi mezzo idoneo a determinare nel soggetto passivo il consenso al compimento di un atto giuridico, di guisa che venga a stabilirsi un nesso di causalità tra l’abuso dello stato di infermità o di deficienza psichica dello stesso soggetto passivo e l’evento, il quale si concreta nel compimento dell’atto". (Cass. Sez. 2A sent. n. 4760 del 27.1.1987 dep. 15.4.1987 rv 175684). Con riferimento alla sussistenza dell’elemento soggettivo in ordine alla riconoscibilità da parte di terzi dello stato di infermità o deficienza psichica, se è vero che lo stesso deve essere oggettivo, non è tuttavia necessario che tutti ne siano consapevoli, essendo richiesta la relativa consapevolezza solo in capo all’autore del reato (V. Cass. Sez. 5A sent. n. 6782 del 14.12.1977 dep. 30.5.1978 rv 139201, che ha affermato che tale consapevolezza può essere desunta anche dalla arrendevolezza del circonvenuto).

Circa l’attività di induzione, questa Corte ha affermato (ed il Collegio condivide l’assunto) che "in tema di circonvenzione di persone incapaci, ai fini della sussistenza dell’elemento dell’induzione debbono essere presi in considerazione non solo le condotte tenute dall’imputato al momento della commissione degli atti pregiudizievoli, ma anche tutto ciò che è accaduto successivamente in quanto indice rivelatore di una antecedente minorata capacità psichica della persona offesa, ed inoltre la valutazione della condotta non deve essere limitata all’attività positiva posta in essere dall’imputato ma deve essere rivolta anche alla valutazione dei risultati degli atti di disposizione patrimoniale compiuti che possono dimostrare indizi sul perpetramento di una induzione in termini di rafforzamento di una decisione in itinere". (Cass. Sez. 1A sent. n. 16575 del 31.3.2005 dep. 3.5.2005 rv 231380).

La Corte di merito ha rilevato la sussistenza di una sintomatologia depressiva della parte offesa legata al lutto subito dopo la morte della sorella, per anni suo riferimento, depressione acuita dalla prospettiva di vivere in solitudine l’ultima parte della propria vita. Se poi si pensi che la stessa, con il suo bagaglio di abitudini, veniva sradicata dal luogo in cui aveva sempre vissuto per trasferirsi a Verona, interrompendo ogni rapporto con gli altri congiunti, tale complessiva situazione, in base alla coerente logica valutazione della Corte territoriale, ha determinato in capo la persona offesa quella condizione di inferiorità psichica, di vulnerabilità, di suggestionabilità e di diminuita difesa tale da integrare l’elemento oggettivo del reato loro contestato.

L’induzione può anche consistere in un qualsiasi comportamento o attività – come una semplice richiesta – cui la vittima, per le sue minorate condizioni, non sia capace di opporsi, e che la porti quindi a compiere atti privi di alcuna causale, che essa in condizioni normali non avrebbe compiuto, e che siano a lei pregiudizievoli e favorevoli all’agente. Nella fattispecie in esame sono state evidenziate le modalità attraverso le quali la V. si spoglia, nell’immediatezza e senza alcuna cautela, remore o riserve, di una somma notevole che costituiva la sua unica fonte di sopravvivenza degli ultimi anni della propria vita. Con riferimento alla prova dell’induzione non si richiede necessariamente la dimostrazione di episodi specifici, peraltro sussistenti e ben evidenziati dalla Corte territoriale nella fattispecie, ben potendo il convincimento sul punto essere fondato su elementi indiretti e indiziari, cioè risultare da elementi precisi e concordanti come la natura degli atti compiuti e il pregiudizio da essi derivante. (Sez. 2, Sentenza n. 17415 del 23/01/2009 Ud. (dep. 23/04/2009) Rv.

244343).

Al riguardo la Corte di merito ha evidenziato come gli imputati dopo aver acquistato con denaro, totalmente appartenente alla persona offesa, l’abitazione destinata ad ospitare l’anziana, con contestuale intestazione del bene ai due imputati, misero la parte offesa nelle condizioni di allontanarsi senza che le venissero restituiti i soldi da essa anticipati. Quanto alla consapevolezza da parte degli imputati dello stato di deficienza psichica, il Collegio condivide l’orientamento secondo il quale "nel reato di circonvenzione di incapaci, la consapevolezza, da parte dell’agente, dello stato anomalo del soggetto passivo può essere legittimamente desunta dalla evidenza di esborsi immotivati, dalla donazione di beni di cospicuo valore e dalla stessa arrendevolezza dimostrata dal circonvenuto".

(Cass. Sez. 5A sent. n. 6782 del 14.12.1977 dep. 30.5.1978 rv 139201).

Inoltre, "nel reato di circonvenzione di incapace, costituisce induzione a compiere atti che importino effetti giuridici dannosi qualsiasi attività di eccitamento, di stimolo, di suggestione, e, quindi, l’uso di qualsiasi mezzo idoneo a determinare nel soggetto passivo il consenso al compimento di un atto giuridico, di guisa che venga a stabilirsi un nesso di causalità fra l’abuso dello stato di infermità o di deficienza psichica dello stesso soggetto passivo e l’evento, il quale si concreta nel compimento dell’atto". (Cass. Sez. 2A sent. n. 4760 del 27.1.1987 dep. 15.4.1987 rv 175684). Al riguardo i giudici di merito hanno evidenziato che la cointestazione dell’appartamento ai due imputati avvenne dietro opera di convinzione da parte degli stessi che avevano prospettato alla parte offesa la possibilità di ospitarla e di assisterla "a vita", salvo poi indurla ad allontanarsi dall’abitazione, dopo aver ottenuto lo scopo della cointestazione dell’immobile.

3) Anche l’ultimo motivo concernente la violazione di legge e illogicità della motivazione in relazione alla liquidazione del danno riconosciuto alla parte civile, va disatteso.

La Corte territoriale ha evidenziato come i 380 milioni di L. utilizzati per l’acquisto della villetta appartenessero alla persona offesa e a titolo di danno patrimoniale, "prudenzialmente" ha liquidato la somma di Euro 200.000, oltre alla somma di Euro 50.000 a titolo di danno non patrimoniale di natura morale, riconoscendo, sull’intero importo, interessi legali e rivalutazione monetaria secondo indici Istat a far data dal 31.8.2000.

Lamentano i ricorrenti l’erroneo riconoscimento degli interessi legali e della rivalutazione monetaria anche sull’importo riconosciuto a titolo di danno morale, trattandosi di debito di valore.

Anche tale rilevo è infondato.

Anche se il danno morale, quale voce di danno non patrimoniale, va qualificato quale di debito di valore, non è precluso il riconoscimento della rivalutazione monetaria, in aggiunta agli interessi legali, ove il giudicante, come nella fattispecie, non rivaluti la somma liquidata all’attualità, cioè al momento della effettiva liquidazione, ma la quantifichi al momento del fatto, cioè dal 31.8.2000, trasformandosi tale importo, dalla data in cui è stato riconosciuto, in debito di valuta.

Si rammenta che secondo Cass. civ., Sez. 3^, 30 settembre 2009, n. 20943 "La rivalutazione monetaria e gli interessi costituiscono una componente dell’obbligazione di risarcimento del danno e possono essere riconosciuti dal giudice anche d’ufficio ed in grado di appello, pur se non specificamente richiesti, atteso che essi devono ritenersi compresi nell’originario "petitum" della domanda risarcitoria, ove non ne siano stati espressamente esclusi".

Quindi possono essere ugualmente riconosciuti anche d’ufficio rivalutazione monetaria ed interessi costituendo – secondo la citata giurisprudenza della Suprema Corte cui questo Collegio ritiene di aderire – una componente dell’obbligazione di risarcimento del danno.

Va, quindi, annullata senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla condanna penale inflitta agli imputati per essere il reato estinto per prescrizione.

Poichè i motivi di ricorso sono stati disattesi con conseguente riconoscimento della responsabilità dei prevenuti, rimangono ferme le statuizioni civili e va rigettato nel resto il ricorso confermando le statuizioni civili.

Gli imputati vanno condannati solidalmente al rimborso delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla condanna penale per essere il reato estinto per prescrizione.

Rigetta nel resto il ricorso e condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese a favore della parte civile, V. C. che liquida in complessive Euro 2.250,00, di cui Euro 2.100,00 per onorari, oltre IVA e C.P.A..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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