T.A.R. Lazio Roma Sez. II, Sent., 01-03-2011, n. 1912 Procedimento e provvedimento disciplinari Procedimento e punizioni disciplinari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Nei confronti del ricorrente, appuntato della Guardia di Finanza, è stato aperto dall’Autorità Giudiziaria Militare di Bari un procedimento penale in ordine ai reati di cui agli artt. 81cpv del c.p., 47 n. 2 e 234, primo e secondo comma del c.p.m.p. (truffa militare aggravata continuata), successivamente trasmesso, per difetto di giurisdizione, alla Procura della Repubblica di Bari, integrando la fattispecie il reato di cui artt. 81cpv e 640, secondo comma, del c.p..

In particolare, l’appuntato G.M. veniva indagato per aver presentato, presso il Comando 3° Compagnia dell’ex 11ª Legione della Guardia di Finanza di Bari, ricevute fiscali attestanti spese di soggiorno e fruizione pasti presso l’H.E. in Roma, in realtà non sostenute, inducendo in errore il Ministero delle Finanze al fine di ottenere rimborsi non dovutigli.

Tale procedimento penale si definiva con l’emissione di un’ordinanza di archiviazione per intervenuta prescrizione del reato, emessa il 20.2.2003 dal G.i.p. dott.ssa Maria Mitola, in accoglimento della richiesta avanzata del Pubblico Ministero.

Conseguentemente, in data 31.7.2003 con nota n. 57678/P di prot, il Comandante Regionale Puglia ordinava un’inchiesta formale a carico del ricorrente, avviata in data 11.8.2003 con la rituale notifica della contestazione degli addebiti; l’istruttoria si concludeva con la proposta di adozione di un provvedimento di sospensione disciplinare.

Tale procedimento disciplinare, tuttavia, veniva annullato dal Comandante in Seconda p.t. della Guardia di Finanza, a seguito di vizi di legittimità nell’attività istruttoria, con determinazione del 4.2.2004, con contestuale ordine di riassumere l’inchiesta formale nominando un nuovo Ufficiale Inquirente.

Nelle more del suddetto procedimento, si conclude, in data 25.9.2003, un secondo procedimento penale presso la Procura della Repubblica di Bari, avviato a carico del ricorrente per fatti connessi a quelli già oggetto della predetta azione disciplinare, riguardo ai quali l’Autorità Giudiziaria ha rilevato l’intervenuta prescrizione.

Ciò posto il Comandante Regionale Puglia, in data 11.3.2004, emetteva a carico del sig. M. un nuovo ordine di inchiesta in relazione ad addebiti integrati rispetto ai precedenti, avuto riguardo dell’ultimo procedimento penale definitosi.

Il procedimento disciplinare si concludeva, in data 12.8.2004, con l’adozione, da parte del Comandante in Seconda della Guardia di Finanza, del provvedimento di sospensione disciplinare dal servizio per mesi due.

Il ricorrente ritenendo di essere stato leso da una valutazione non equa ed illegittima, ha pertanto impugnato quest’ultimo provvedimento ed ogni altro atto precedente, seguente e/o comunque connesso a quello impugnato, e ne chiede l’annullamento, con vittoria di spese, per le ragioni che si passa ad esaminare nella successiva parte in diritto.

Ritualmente costituitasi, l’Amministrazione ha eccepito l’infondatezza del ricorso, chiedendone il rigetto con vittoria di spese.

Infine, all’udienza del 09.2.2011, la causa è stata posta in decisione.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato.

1.1. Con il primo mezzo di gravame il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 120 del D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, deducendo:

o che ai sensi della citata norma il procedimento disciplinare si estingue quando siano decorsi novanta giorni dall’ultimo atto senza che nessun ulteriore atto sia stato compiuto;

o che l’Amministrazione, a seguito dell’annullamento (con determinazione del 4.2.2004) degli atti del procedimento disciplinare a partire dal foglio n. 3668/53 in data 11.9.2003, ha ordinato la riassunzione dell’inchiesta con provvedimento dell’11.3.2004 e "dunque ben oltre i 90 gg previsti dalla normativa";

o che nel successivo procedimento disciplinare sarebbero stati contestati fatti che nulla hanno a che fare con il secondo procedimento penale e dunque non si potrebbe ipotizzare che dall’archiviazione del 25.9.2003 dovesse nuovamente decorrere il termine di 180 giorni;

o che il nuovo procedimento disciplinare viola il principio del ne bis in idem, poiché "essendo decaduto il primo procedimento disciplinare è stato istaurato un nuovo procedimento disciplinare avente ad oggetto i medesimi fatti";

o che, in ogni caso, "sono decorsi i 270 giorni intesi dalla giurisprudenza come periodo massimo entro il quale il procedimento disciplinare vada concluso".

L’articolata doglianza non merita accoglimento.

Il ricorrente sostiene che dall’ultimo atto valido del primo procedimento disciplinare sino alla nuova contestazione degli addebiti, alcun atto, idoneo ad interrompere la perenzione, sarebbe stato compiuto.

Ma così non è.

L’annullamento di un provvedimento amministrativo è volto non già e non soltanto ad eliminarlo dall’universo giuridico, ma – soprattutto – a ripristinare la situazione quo ante; principio dal quale deriva che l’annullamento non può (e non deve) avere l’effetto di creare ex novo (rectius: di "costituire") preclusioni e/o vantaggi (per le parti in conflitto) che non esistessero già al momento della sua adozione.

E poiché al momento dell’annullamento d’ufficio, degli atti del procedimento disciplinare, disposto dal Comandante in Seconda della Guardia di finanza, l’Amministrazione si trovava nella posizione di chi ha adottato tempestivamente il provvedimento, non si vede per quale ragione alla conclusione del subprocedimento volto al suo annullamento d’ufficio essa debba trovarsi nella spiacevole (e sfavorevole) posizione di chi quel termine non abbia rispettato.

D’altro canto ciò che l’art.120 del D.P.R. n. 3/1957 intende sanzionare, è l’inerzia protratta per novanta giorni durante il corso del procedimento disciplinare.

Alla luce di tale osservazione, ciò che occorre accertare, ai fini di verificare se l’Amministrazione sia stata o meno effettivamente inerte per un arco di novanta giorni, è se vi sia stata o meno continuità nell’azione amministrativa; se, cioè, nell’arco di tempo in questione siano stati o meno adottati atti relativi al procedimento, essendo del tutto irrilevante – al riguardo – la questione se essi siano stati o meno validamente adottati (e se essi abbiano o meno prodotto effetti giuridici).

E poiché nella fattispecie dedotta in giudizio è provato che nell’arco di tempo in questione l’Amministrazione ha adottato atti procedimentali – il che, a prescindere dalla loro validità, costituisce un fatto giuridico inequivocabilmente certo – ciò è sufficiente a scongiurare l’ipotesi di inerzia sanzionabile.

La circostanza che essi siano stati annullati non rileva.

Invero, infatti, annullare (o dichiarare nullo, anche con efficacia retroattiva) un atto, non significa affermare che esso non sia mai stato adottato (che non si sia mai verificato il fatto della sua adozione).

E quando – come nel caso di specie – l’avvenuta adozione dell’atto, ancorché annullabile o finanche nullo, costituisce un "fatto giuridico" (intrinsecamente rilevante in quanto) impeditivo di una preclusione, non può seriamente sostenersi che le due situazioni – inesistenza ed invalidità – siano equiparabili.

Le osservazioni di cui sopra si conformano all’orientamento assunto al riguardo dal Consiglio di Stato, che – in un precedente in cui l’Amministrazione aveva interesse a "riavviare" il procedimento disciplinare a seguito della "caducazione" di un provvedimento destitutorio – ha già affermato che "il termine per l’avvio del procedimento disciplinare a norma dell’art. 10 della legge 7 febbraio 1990 n. 19, nei confronti del pubblico dipendente "destituito di diritto" (…) decorrerà dalla data di revoca della precedente destituzione oppure, quando contro di questa penda giudizio, dalla data in cui pervenga all’Amministrazione la notizia di avvenuta pubblicazione della pronuncia giurisdizionale che definisce il giudizio (…)" (C.S., Sez. VI, 22.3.1995 n. 296), non avendo senso che in tali casi continui ad operare come "dies a quo" quello della avvenuta conoscenza del fatto (id est: della condotta asseritamente illecita) sulla cui scorta è stato avviato il procedimento sanzionatorio.

Alle considerazioni di cui sopra va aggiunto che secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa:

o "l’inutile decorso del termine entro il quale la Pubblica Amministrazione può, ai sensi dell’articolo 10 della legge 7 febbraio 1990 n. 19, iniziare il procedimento disciplinare nei confronti del dipendente condannato in sede penale con sentenza irrevocabile, non preclude l’inizio del procedimento "de quo" se giustificato da una condotta amministrativa diligente, attiva e non meramente inerte" (C.S., Sez. IV, 31.10.1996 n. 1171);

o "il superamento del termine di novanta giorni di cui agli artt. 9 e 10 della legge 7 febbraio 1990 n. 19, prescritto per la conclusione del procedimento disciplinare a carico del pubblico dipendente che abbia riportato condanna penale irrevocabile per delitti che danno luogo alla destituzione di diritto, non comporta l’estinzione del procedimento disciplinare qualora risulti giustificato dal documentato svolgimento – nei tempi tecnici necessari e nei termini prescritti – delle fasi endoprocedimentali fissate dal D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3" (C.S., Sez. VI, 4.7.1994 n.1117);

E poiché nella fattispecie dedotta in giudizio l’Amministrazione ha avviato il procedimento tempestivamente e lo ha riattivato, dopo il provvedimento di annullamento che lo ha riguardato, altrettanto tempestivamente, non si può affermare che il suo comportamento sia stato "inerte" o "poco attivo".

Quanto alla supposta violazione del principio del ne bis in idem, per aver l’Amministrazione sanzionato un fatto che, per effetto della perenzione del primo procedimento amministrativo, non poteva più essere oggetto di valutazione disciplinare; l’inconsistenza di tale censura discende dall’infondatezza della doglianza del ricorrente in ordine alla perenzione dell’azione disciplinare avviata per effetto dell’archiviazione del primo procedimento penale.

Posto che, come affermato dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 21760 del 22 ottobre 2010), il potere disciplinare può essere considerato "consumabile" e pertanto, il datore di lavoro, una volta esercitato il potere in argomento nei confronti del prestatore di lavoro, relativamente a determinati fatti costituenti illecito disciplinare, non potrà esercitarlo successivamente per quegli stessi fatti (divieto di "ne bis in idem"); nel caso di specie non si è verificata questa "consumazione" del potere disciplinare da parte dell’Amministrazione, poiché l’atto con cui è stato disposto l’annullamento parziale dell’attività istruttoria svolta non è un atto conclusivo del procedimento, ma bensì un atto endoprocedimentale finalizzato a sanare l’azione amministrativa dai profili di illegittimità.

Risulta, inoltre, infondata la doglianza relativa al mancato rispetto del termine complessivo di 270 giorni per la conclusione del procedimento disciplinare di stato previsto dalla legge n.19/1990: "l’invalidità della sanzione per superamento del termine perentorio si riconosce solo quando siano trascorsi più di 270 giorni dalla conoscenza della sentenza di condanna" (Cons. St., Ad. Plen., 14.1.2004, n. 1 e successiva giurisprudenza pacifica: cfr., ex multis, Cons. St., sez. IV, 12.3.2007, n. 1213), nel caso di specie tale termine è inapplicabile poiché siamo in presenza di un ordinanza di archiviazione, non equiparabile ad una sentenza di condanna.

1.2. Con il secondo mezzo di gravame il ricorrente lamenta eccesso di potere per inosservanza della circolare n. 1/93 del Comando Generale della Guardia di Finanza, deducendo:

o che l’Amministrazione essendo a conoscenza di un ulteriore procedimento penale a carico del ricorrente per i medesimi fatti, ossia il n. 21140/98 rgnr pendente innanzi al Tribunale di Bari, avrebbe dovuto – a norma della Circolare 1/93 – sospendere il procedimento in corso in attesa della definizione della vicenda penale.

La doglianza non merita accoglimento.

La circolare n.1/93 del Comando Generale della Guardia di Finanza – recante istruzioni sui procedimenti disciplinari di stato – in relazione alle sentenze penali aventi efficacia di giudicato nel procedimento disciplinare, esclude che, in fattispecie come quella in oggetto, si realizzi l’effetto preclusivo di cui all’art. 653 c.p.p. poiché solo la sentenza penale irrevocabile di assoluzione ha efficacia di giudicato nel giudizio per la responsabilità disciplinare.

È noto che l’art. 653 c.p.p., modificato dalla L. n. 97 del 2001, nel prevedere l’efficacia di giudicato della sentenza penale nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità, non ha introdotto alcun obbligo di sospensione. Secondo la giurisprudenza, allorquando pendano contemporaneamente nei confronti della stessa persona un procedimento penale ed un procedimento disciplinare, quest’ultimo non deve essere necessariamente sospeso, salvo che la sospensione non risulti essere imposta da una specifica disposizione di legge, perché la definizione del procedimento penale non costituisce l’indispensabile antecedente logico giuridico del giudizio disciplinare (in tal senso Cass. civ., sez. III, 29 settembre 2006, n. 21251).

Le osservazioni di cui sopra si conformano all’orientamento assunto al riguardo dal Consiglio di Stato, che ha affermato che "a norma dell’art. 653 c.p.p., l’accertamento dei fatti oggetto del giudizio penale e del grado di partecipazione dell’impiegato ai fatti stessi, fa stato nel giudizio disciplinare quando debbano essere accertate le stesse circostanze e situazioni soggettive (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 15 aprile 1996, n. 559)"(C.S., Sez. IV, 26.1.2009 n.413).

Nel caso di specie l’Amministrazione ha promosso l’azione disciplinare, prendendo soltanto la mossa dalla vicenda giudiziaria, per poi procedere ad una autonoma valutazione dei fatti emersi in sede penale; ciò trova conferma nella motivazione del provvedimento sanzionatorio impugnato, il cui presupposto è integrato non già dai fatti valutati in sede penale, ma dall’aver "manifestato il possesso di mediocri qualità morali e caratteriali nonché dimostrando di non aver ben ponderato le conseguenze che sono poi scaturite dalle proprie azioni".

1.3. Con il terzo mezzo di gravame il ricorrente lamenta eccesso di potere per travisamento dei fatti, carenza istruttoria, erronea valutazione e difetto di motivazione, deducendo:

o che il non ha avuto la possibilità concreta di conoscere il contenuto di alcuni atti istruttori essendo illeggibili, con conseguente lesione del suo diritto di difesa;

o che l’Ufficiale inquirente ha illegittimamente ritenuto di non accogliere le richieste istruttorie avanzate nel corso dell’inchiesta formale;

o che ha preso visione di "nuovi atti rispetto al primo procedimento disciplinare, fino a quel momento sconosciuti", in quanto non presenti nel fascicolo istruttorio formato prima dell’annullamento disposto dall’Amministrazione.

La doglianza non può essere condivisa.

L’Ufficiale inquirente ha legittimamente ritenuto di non accogliere la richiesta di ulteriori approfondimenti istruttori avanzata dal ricorrente, risultando adeguati gli elementi emersi dall’attività di indagine svolta dall’Autorità Giudiziaria circa il comportamento illecito tenuto dal M.; in altre parole, le prove raccolte nel procedimento penale ben possono costituire fonte anche esclusiva del convincimento nel procedimento disciplinare. E’ legittimo che "l’Autorità disciplinare si avvalga delle prove e degli elementi materiali raccolti in sede penale, utilizzandoli al fine di considerare le connesse responsabilità disciplinari" (TAR Lazio, Roma, sez, II, 27.6.1997, n. 1114).

Per quanto concerne, l’asserita illeggibilità di alcuni atti, una semplice disamina di questi è sufficiente a smentire in radice la doglianza sollevata, atteso che le copie fotostatiche dei documenti in oggetto risultano comprensibili.

Quanto alla presenza di "nuovi atti rispetto al primo procedimento disciplinare", questa è dovuta a seguito del provvedimento di annullamento parziale della precedente attività istruttoria ed alla conseguente riassunzione del procedimento disciplinare con integrazione degli addebiti, alla luce dell’ulteriore profilo di rilevanza disciplinare emerso a seguito dell’ultimo procedimento penale, definitosi innanzi all’Autorità Giudiziaria Ordinaria con ordinanza di archiviazione per prescrizione; non rilevandosi al riguardo alcun profilo di illegittimità dell’operato dell’Amministrazione.

In ordine al lamentato difetto di motivazione, valga quanto segue.

Dal provvedimento impugnato risulta:

o che l’Amministrazione ha condotto un’inchiesta formale;

o che a seguito degli accertamenti condotti nel corso della stessa è emerso che il ricorrente ha violato i doveri legati al proprio status ed alle qualifiche di p.g. e p.t., venendo meno agli obblighi di lealtà e rettitudine;

o che in sede di giudizio la sua tesi difensiva è stata valutata;

o e che l’Amministrazione ha, infine, comminato la sanzione impugnata in quanto ha ritenuto che con la sua condotta il M. ha manifestato il possesso di mediocri qualità morali e caratteriali nonché dimostrato di non aver ben ponderato le conseguenze che sono poi scaturite dalle proprie azioni.

E poiché da tali indicazioni sono agevolmente ricostruibili sia l’iter logico che la ragione tecnicogiuridica che hanno condotto all’adozione del provvedimento, non appare sostenibile che lo stesso difetti di sufficiente motivazione.

1.4. Con il quarto mezzo di gravame il ricorrente lamenta eccesso di potere per violazione del principio di proporzionalità tra fatto ascritto e sanzione applicata.

La doglianza non può essere condivisa.

Rilevata la legittimità dell’operato dell’Amministrazione, passando al "merito" della decisione, essa – non essendo viziata da errori di fatto o di calcolo, e non rivelandosi intrinsecamente contraddittoria o illogica – non appare sindacabile nel merito.

Al riguardo, invero, la giurisprudenza amministrativa ha già avuto modo di osservare che "la determinazione relativa all’entità della sanzione disciplinare è espressione di tipica valutazione discrezionale della PA datrice di lavoro, di per sé insindacabile da parte del giudice amministrativo, tranne nei casi in cui appaia manifestamente anomala o sproporzionata." (CS, VI^, 5.4.2006 n.1767; Id., 26.5.2006.3148; TAR Lazio, II^, 22.11.2006 n.915).

Né può accogliersi la doglianza secondo cui la sanzione sarebbe stata sproporzionata, non apparendo criticabile – né sotto il profilo logico, né sotto quello etico – che il Corpo della Guardia di Finanza sospenda del servizio per due mesi un militare che si sia distinto per aver commesso un illecito a danno dell’erario; e cioè proprio uno di quegli illeciti in funzione della cui prevenzione e repressione il Corpo è chiamato ad agire – in ragione della sua stessa organizzazione e competenza settoriale – con maggior sollecitudine.

2. In considerazione delle superiori osservazioni, il ricorso va respinto.

Si ravvisano giuste ragioni per compensare le spese fra le parti.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, lo respinge.

Compensa le spese fra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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