T.A.R. Lazio Roma Sez. II quater, Sent., 01-03-2011, n. 1901 Beni di interesse storico, artistico e ambientale esportazione e importazione Vincoli storici, archeologici, artistici e ambientali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il ricorso in esame la Società V.A., proprietaria di dipinto ad olio raffigurante una "Veduta del Tevere da Castel Sant’Angelo" attribuito al pittore Gaspar van Wittel – acquistato il 28.4.2008 dalla galleria d’arte Lampronti, alla quale l’Ufficio esportazione aveva negato il certificato di libera circolazione in data 7.3.2008 contestualmente comunicando l’avvio del procedimento di imposizione del vincolo storico artistico -, impugna il decreto del Direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Lazio del 5.6.2008 con cui l’opera è stata dichiarata di interesse particolarmente importante ai sensi dell’art. 10 comma 3 lett. A) D.Lgs 42/2004; chiede altresì il risarcimento del danno subito per effetto dell’illegittimo operato della PA.

Il ricorso è affidato ai seguenti motivi:

1) Violazione dell’art. 6 comma 5 del dm 13.6.2994 n. 495 e relativa tab a) quadro 1 n. 85 – Violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 12 del d.lgs 42 del 2004 e della circolare del ministero della pubblica istruzione del 13.5.1974 – Eccesso di potere per travisamento, insufficiente istruttoria, contraddittorietà, illogicità ed insufficienza della motivazione (con violazione dell’art. 3 della legge n. 241/90);

Il provvedimento di vincolo è stato adottato oltre il termine di 120 giorni dalla data di presentazione del dipinto all’Ufficio esportazione di cui all’art. 6 comma 5 del dm 13.6.1994 n. 495; in assenza di approfondita attività istruttoria e non è adeguatamente motivato.

2) Falsa applicazione degli artt. 2, 10 e 70 del d.lgs 42 del 2004- Sviamento – Eccesso di potere insufficienza dei presupposti dell’agire ed inidoneità dello scopo, illogicità della motivazione (con violazione dell’art. 3 della legge n. 241/90) – Violazione del principio di proporzionalità ed adeguatezza.

La motivazione addotta a fondamento del provvedimento di vincolo – consistente nell’assenza di analoga opera del medesimo autore nelle collezioni pubbliche italiane- è erronea e comunque pretestuosa; l’Amministrazione, che aveva proposto l’acquisto coattivo dell’opera – presumibilmente non realizzata per carenza di fondi -, con l’atto di vincolo ha surrettiziamente inteso trattenere la tela sul territorio italiano, impedendone l’esportazione, pur nella palese impossibilità di acquistarlo e renderlo pertanto godibile e fruibile dalla collettività, visto che rimarrà in una collezione privata; con conseguente violazione altresì dei principi di proporzionalità ed adeguatezza dell’azione amministrativa, nonché della circolare del ministero dei beni culturali del 28.9.2005 che li richiama.

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata, producendo articolati scritti a difesa del proprio operato.

Con memoria depositata in vista dell’udienza per la trattazione del merito del gravame la ricorrente ha articolatamente replicato alle difese della resistente.

All’udienza pubblica del 3.11.2010 la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

Il Collegio ritiene opportuno partire dall’esame del secondo mezzo di gravame, con cui viene ventilata in via meramente ipotetica la possibilità di uno sviamento di potere, intendendo l’operato della PA come volto a precludere il trasferimento all’estero di un’opera di cui l’Amministrazione non ha potuto procedere all’acquisto coattivo; intento che la ricorrente ravvisa nella coincidenza delle motivazioni opposte in sede di diniego del rilascio dell’attestato di libera circolazione con quelle poste a fondamento del provvedimento di vincolo.

La prospettazione si basa su congetture ed è priva di riscontro sul piano pratico, non potendosi attribuire alla rilevata coincidenza delle ragioni poste a fondamento del divieto di esportazione del dipinto in contestazione e di quelle poste a fondamento del provvedimento di vincolo della medesima opera il preteso valore indicativo del perseguimento, da parte dell’Amministrazione, di un fine diverso rispetto a quello tipico.

Al riguardo va ricordato che è lo stesso legislatore ad aver stabilito il collegamento tra il procedimento che si conclude con il rilascio o il diniego dell’autorizzazione al trasferimento fuori dal territorio nazionale dell’opera ed il provvedimento di vincolo della stessa contestato dal ricorrente.

Come sancito dal comma 4 dell’art. 68 del d.lvo n. 42/2004, come modificato dall’articolo 2, comma 1, del D.Lgs. 26 marzo 2008, n. 62, "nella valutazione circa il rilascio o il rifiuto dell’attestato di libera circolazione gli uffici di esportazione accertano se le cose presentate, in relazione alla loro natura o al contesto storicoculturale di cui fanno parte, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, bibliografico, documentale o archivistico, a termini dell’articolo 10", precisando al successivo comma 6 che "il diniego comporta l’avvio del procedimento di dichiarazione, ai sensi dell’articolo 14. A tal fine, contestualmente al diniego, sono comunicati all’interessato gli elementi di cui all’articolo 14, comma 2, e le cose sono sottoposte alla disposizione di cui al comma 4 del medesimo articolo". Finchè non abbia provveduto al rilascio o di diniego dell’attestato di libera circolazione, l’Ufficio Esportazione può formulare la proposta d’acquisto coattivo della cosa ai sensi dell’art. 70 del predetto Codice.

Appare perciò evidente che la conformità dell’operato dell’Amministrazione alla normativa che disciplina la materia che attribuisce all’autorità competente la facoltà di acquisto coattivo dell’opera di cui si chiede l’autorizzazione all’esportazione, e che questa costituisce soltanto una delle opzioni previste in capo all’amministrazione, che può invece limitarsi a vietare la fuoriuscita del bene dal territorio nazionale (Consiglio di stato, sez. VI, 14 gennaio 2009, n. 136) e che, impone, in quest’ultimo caso, di comunicare, contestualmente all’atto di diniego dell’attestato di libera circolazione, l’avvio del procedimento di dichiarazione di interesse particolarmente importante dell’opera in questione.

Tanto chiarito, va del pari disattesa la doglianza, contenuta nel primo, articolato, motivo di ricorso, ove la società ricorrente lamenta, tra l’altro, la violazione dell’art. 6 comma 5 del dm 13.6.1994 n. 495, denunciando che l’impugnato provvedimento di vincolo sarebbe stato adottato in data 5.6.2008 oltre il termine di 120 giorni dalla data di presentazione del dipinto all’Ufficio esportazione avvenuta in data 23.1.2008.

Al riguardo, va rilevato che il termine iniziale decorre non dalla data di presentazione dell’opera all’Ufficio esportazione – momento invece rilevante al diverso fine della decorrenza del termine, anch’esso meramente ordinatorio (TAR Lazio, Sez. II quater 30 luglio 2008 n. 7756), di quaranta giorni imposto dall’art. 68 co. 4 del d.lvo n. 42/2004 agli Uffici di Esportazione per pronunciarsi sull’istanza di rilascio dell’attestato di libera circolazione – bensì dall’adozione di quest’ultimo provvedimento che, se di diniego, comporta l’avvio del procedimento di dichiarazione come sopra ricordato.

Nella fattispecie il prescritto termine di 120 giorni veniva a scadere il 7.7.2008 e quindi risulta rispettato, essendo il provvedimento impugnato stato adottato molto prima (in data 7.3.2008); a parte ogni rilievo in merito alla natura meramente ordinatoria di detto termine che, come chiarito in precedenti decisioni, è volto esclusivamente a sollecitare lo svolgimento tempestivo di una funzione che – proprio per la sua finalità di garantire un bene di rilievo preminente e addirittura costituzionale – non viene meno per effetto del decorso del termine in questione. Infatti l’art. 14 comma 5 – come modificato dall’art. 2, comma 1, lettera d) del predetto D.Lgs. 26 marzo 2008, n. 62 – non collega alla scadenza del termine in parola alcun effetto di decadenza o di "consumazione" del poteredovere della PA di assoggettare a vincolo le cose di rilevante interesse storico artistico, ma solo quello di far cessare gli effetti delle misure cautelari previste dal precedente comma 4.

Vanno altresì disattese le censure relative al difetto di istruttoria sui presupposti fattuali e del difetto della motivazione del provvedimento di vincolo dell’opera in questione, ove la ricorrente lamenta che, in un contesto di ammessa serialità delle riproduzioni del medesimo dipinto, la PA avrebbe dovuto svolgere una più approfondita attività di indagine in merito alla stessa attribuibilità del dipinto all’artista indicato come suo autore e di stabilire la sua qualificazione come lavoro di particolare pregio del Maestro oppure come "opera di scuola" o addirittura come copia realizzata successivamente, visto l’errore commesso nella identificazione del quadro (erroneamente denominato "Veduta del Tevere da Castel Sant’Angelo" anziché "Castel Sant’Angelo visto da Sud") e considerato che l’opera non è neppure firmata, circostanza che comunque indurrebbe a supporre che il dipinto rientri tra le opere di minori o di scuola del van Wittel.

Il Collegio ritiene, innanzitutto, che, come evidenziato dall’Avvocatura erariale, l’inesatta denominazione del soggetto del dipinto non sia sintomatica di alcun errore nell’identificazione dell’opera: come si evince dal contesto della relazione, il riconoscimento dell’opera risulta correttamente effettuato in base al confronto con quella raffigurata al n. 83 di pag. 200 del Briganti, cui corrisponde anche per dimensioni (77,5 per 129,5), sicchè risulta ininfluente l’erronea trascrizione del titolo frutto di mero errore materiale.

Ugualmente irrilevante, ai fini del corretto apprezzamento del pregio artistico dell’opera e della sua particolare rappresentativà in un contesto di ripetuta frequenza e disponibilità di numerose repliche ed opere analoghe, risulta la circostanza della mancanza di firma dell’opera, che, secondo la ricorrente, potrebbe deporre nel senso che il dipinto rientri tra le opere di minori o di scuola del van Wittel e sarebbe comunque indicativa della mancanza di particolare valore dell’esemplare da parte del suo stesso autore – la cui produzione "seriale" era volta a soddisfare una platea di clienti molto vasta che richiedeva numerose repliche degli stessi soggetti (in particolare della veduta di Castel Sant’Angelo rappresentata nella tela oggetto di contestazione) – il quale usava firmare, o perlomeno siglare e/o datare i dipinti di maggiore importanza che ritenesse di maggior pregio, per qualità di risultato e dimensioni.

La prospettazione attorea non merita condivisione,

Innanzitutto, per quanto concerne la mancanza di data, si tratta, evidentemente di elemento poco significativo, visto che nella stessa fonte bibliografica prodotta da parte ricorrente (all. 14 pag. 183) è evidenziato che degli otto esemplari della Veduta di Castel Sant’Angelo da Sud solo uno risulta datato (e cioè quello del 1706), e comunque non è stato neppure dedotto che l’attribuzione ad un periodo della produzione artistica piuttosto che ad un altro abbia avuto qualunque influenza sul pregio del lavoro realizzato, tanto più che la stessa ricorrente, nel ricordare le qualità della produzione artistica del Maestro, riconosce che "tali caratteristiche sono rimaste sempre le stesse nel corso della sua lunga esistenza".

Le stesse considerazioni valgono anche per quanto concerne la rilevata mancanza di firma, o siglatura dell’opera in parola, che non sembra affatto assumerebbe il valore sintomatico indicato dalla ricorrente a pag. 10 del gravame, in quanto dagli stessi strumenti bibliografici cui la PA ha fatto riferimento si evince che degli otto dipinti della veduta in questione uno solo è firmato (peraltro l’unico di modeste dimensioni, di appena 37 per 44 cm), due sono siglati (di cui uno, di 30 per 78 cm. definito "assai scadente" tanto da far addirittura da far dubitare l’autografia), mentre quello (di dimensioni di 87 per 115 cm.), considerato dal medesimo autore "la versione più bella e complessa di questa veduta" non è né firmato né siglato. Sicchè non pare esservi la pretesa corrispondenza, per la serie di vedute in questione, tra i segni di riconoscimento dell’autore e il pregio artistico dell’opera, neppure per quanto concerne l’importanza delle dimensioni.

In conclusione, il fatto che la relazione storicoartistica non contenga alcun riferimento in merito alla mancanza di siglatura o di firma dell’opera in questione non costituisce indizio di superficialità nello svolgimento dell’attività istruttoria né omessa considerazione di elementi rilevanti, quanto, piuttosto, è indicativo del fatto che si tratti di circostanze non significative.

Disattese tali doglianze, va affrontata la questione centrale della motivazione relativamente al pregio intrinseco dell’opera.

Giova, al riguardo, ricordare che il provvedimento di vincolo è motivato per relationem mediante il richiamo alla relazione storicoartistica del 19.2.2008 redatta dall’apposita Commissione tecnica.

In questa si premette che il van Wittel eseguì otto versioni dello stesso soggetto – di cui esiste un grande disegno preparatorio presso la biblioteca Nazionale di Roma – "a riprova dell’enorme successo ottenuto presso i collezionisti settecenteschi", precisando che, di queste, tre versioni sono presenti nelle collezioni private italiane, e quella in questione – presumibilmente eseguita "verso il secondo decennio del XVIII secolo"- è quella di maggiori dimensioni, ed, evidenziato che "nelle collezioni pubbliche dello Stato italiano questo famoso soggetto manca del tutto", "vista l’altissima qualità e l’ottimo stato di conservazione del quadro", si ritiene che "l’opera rivesta rilevante interesse artistico e storico per il patrimonio nazionale" e quindi si esprime parere negativo all’esportazione.

La ricorrente ritiene che tale motivazione non sia "altro che una mera affermazione di principio, priva di qualsivoglia, specifico riferimento bibliografico, storico e critico" e risulti del tutto insufficiente ad evidenziare le ragioni che hanno indotto la Commissione ad esprimere siffatto positivo apprezzamento qualitativo del dipinto in questione, lamentando la mancanza di qualunque indicazione in merito al pregio d’arte, alla rarità dell’opera, al particolare significato della rappresentazione, o alle sue originali qualità tecniche, ed ogni riferimento ai criteri indicati nella circolare del Ministero della Pubblica Istruzione del 13.5.1974.

Anche tale censura va disattesa.

Nei precedenti invocati dalla ricorrente, la Sezione ha ben evidenziato l’importanza delle garanzie formali e procedimentali prescritte dalla normativa per addivenire alla "corretta" formulazione del giudizio valutativo finale sull’importanza storicoartistica di un’opera d’arte, in primis l’onere di motivazione che costituisce strumento indispensabile per assicurare il sindacato di legittimità sulle relative decisioni, sia nelle forme tradizionali dell’eccesso di potere sia in quelle più evolute del sindacato di ragionevolezza, tanto più nel caso in cui il provvedimento di imposizione del vincolo storicoartistico concerna opere d’arte realizzate da artisti "d’avanguardia" – in cui si registra un drammatico "scollamento" delle valutazioni espresse dai critici rispetto al "gradimento" delle opere da parte dei cittadini -fruitori delle stesse – oppure esemplari rappresentativi delle cd. "arti minori" o applicate (TAR Lazio, Sez. II quater, n. 4987 del 23.5.2008, nonché n. 7756 del 30.7.2008).

Tali conclusioni sono pienamente condivise dal Collegio in quanto costituiscono un punto di equilibrio tra l’esigenza di offrire un minimo di adeguata tutela al privato proprietario del bene – atteso che altrimenti si finirebbe per assicurare all’Amministrazione dei Beni Culturali una inammissibile immunità nell’ambito di un’attività altamente "discrezionale" che incide pesantemente sulle situazioni giuridiche dei privati – e l’esigenza di rispettare il limite esterno della giurisdizione e non invadere le sfere di valutazione ad essa riservate, tant’è che nei precedenti richiamati si indicava come la sede alternativa e più opportuna ove "il destinatario dello sfavorevole provvedimento può più utilmente evidenziare le incongruità delle considerazioni d’ordine storico ed artistico svolte dall’amministrazione" fosse quella del ricorso gerarchico (cfr. TAR Lazio, Sez. II quater, 12 ottobre 2010 n. 32765); opportunità che invece la ricorrente non ha inteso sfruttare, preferendo far valere davanti a questo giudice i vizi di mera legittimità denunciati.

Il Collegio ritiene, però, che non giova al ricorrente invocare i precedenti richiamati, che mal si attagliano alla fattispecie in esame, in cui si tratta di contestare non giudizi valutativi su cose che si prestano a valutazioni caratterizzate da particolare relativismo, bensì un dipinto realizzato da un grande Maestro raffigurante una veduta molto nota anche tra i non conoscitori (anche per essere stata riprodotta negli anni scorsi sul frontespizio degli elenchi telefonici) e che – quanto al soggetto rappresentato risponde al "gusto medio" dell’uomo della strada, di tutti i tempi, vista la fortuna di tale rappresentazione non solo tra i collezionisti colti del settecento.

Come ricordato dall’Avvocatura erariale, citando al riguardo il giudizio espresso dal Trezzani nel catalogo della mostra "Gaspare Vanvitelli e le origini del vedutismo", si tratta di "un’opera di Van Wittel, artista di sicuro pregio, ritenuto come l’iniziatore o uno dei principali iniziatori del genere della veduta, chiamato da Lanzi il "pittore di Roma moderna’, il massimo pittore di vedute di Roma, l’equivalente per la città papale di ciò che Canaletto ha rappresentato per Venezia",

Tali considerazioni non costituiscono una sorta di inammissibile tentativo di motivazione postuma, come preteso dal ricorrente, bensì un mero richiamo di fatti ben noti e conosciuti da qualsiasi uomo di media cultura.

Dai passaggi della relazione sopra riportati, risulta evidente che l’Amministrazione è pervenuta alla decisione contestata, previo inquadramento del dipinto nell’ambito della produzione dell’autore e di considerazione della sua frequenza nelle sedi espositive, in base ad una attenta considerazione di una serie plurima di elementi, ritenendo determinati sia lo stato di conservazione dell’esemplare, sia la sua rappresentatività nell’ambito della produzione tipica dell’autore, sia l’"altissima qualità" della fattura dell’opera specificamente considerata, elementi questi tutti espressamente posti come motivi fondanti la dichiarazione di particolare interesse storicoartistico dell’opera.

Alla luce di quanto sopra esposto e dello specialissimo quadro degli elementi di valutazione considerati (la notorietà dell’opera e del suo autore, la significatività e la fortuna del soggetto, anche presso un pubblico non specialistico, immutata nei secoli, la costante alta qualità dei dipinti realizzati dal Maestro ammessa dalla stessa ricorrente che riconosce che "in tutte le sue opere, l’autore ha mantenuto costante ed immutato nel tempo il proprio rigore vedutistico, prospettico e rappresentativo anche del particolare che, unito alla tecnica pittorica e di stesura del colore, hanno reso il cromatismo delle sue opere l’elemento peculiare tanto apprezzato nel "700") la doglianza relativa al difetto di motivazione dell’atto valutativo s’appalesa infondata.

Appare infatti evidente che lo stringente onere motivazionale del giudizio di valore sulla rilevanza e sulla significatività dell’opera nella storia dell’arte o della tecnica artistica dell’opera imposto con forza dalle precedenti decisioni in considerazione del relativismo delle valutazioni estetiche non può che trova attenuazione di fronte a riconosciuti capolavori che, per intrinseco carattere e natura, sono suscettibili di immediato apprezzamento.

Ne consegue che il giudizio di valore espresso dall’Amministrazione competente appare immune dai vizi dedotti, non essendo stato assunto in violazione delle regole sul procedimento di valutazione, o in base a criteri di valutazione inattendibili o ovvero basato su errori di fatto essenziali, né palesemente "erroneo" o illogico o irragionevole nelle conclusioni e non essendo idonea ad inficiarne la validità la diversa opinione espressa, al riguardo, della ricorrente.

Il ricorso pertanto va respinto in quanto infondato e, di conseguenza, va respinta anche la domanda risarcitoria.

Sussistono giuste ragioni, vista la particolare complessità della controversia, per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater) respinge il ricorso e la domanda risarcitoria.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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