Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 03-05-2011, n. 9707 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

D.C.S. stipulò con Poste italiane spa una serie di contratti di lavoro a termine tra il 1998 e il 2001, in qualità di portalettere.

Propose azione giudiziaria chiedendo che venisse accertata la nullità del termine, con le conseguenze di legge.

Il Tribunale di Mantova accolse il ricorso: dichiarò l’illegittimità del termine apposto al primo contratto (stipulato il 7 ottobre 1998 e con scadenza il 30 gennaio 1999) in quanto concluso oltre il limite temporale entro il quale la contrattazione collettiva aveva consentito la stipula di contratti a termine del tipo di quello sottoscritto dalle parti e condannò la società a riammettere in servizio il D.C. e a corrispondergli le retribuzioni dal 9 aprile 2003, data di messa in mora, coincidente con la ricezione da parte della società dell’istanza ex art. 410 c.p.c..

A seguito dell’appello di Poste, la Corte d’appello di Brescia, con sentenza pubblicata il 21 marzo 2006, ha confermato la decisione dichiarativa della illegittimità del termine del primo contratto, sebbene con diversa motivazione, e la conseguente condanna alla riammissione in servizio. Ha invece ritenuto che la proposizione del tentativo obbligatorio di conciliazione ai sensi dell’art. 410 c.p.c. non integri un atto di offerta della prestazione lavorativa ed ha quindi respinto la domanda di pagamento delle retribuzioni a titolo di risarcimento del danno.

Poste propone ricorso per cassazione articolato in tre motivi, notificato il 10 marzo 2007.

Il D.C. ha depositato controricorso con ricorso incidentale notificato il 23 aprile 2007, articolato in due motivi.

Poste ha anche depositato una memoria per l’udienza.

Con il primo motivo del ricorso principale si denunzia una pretesa violazione dell’art. 112 c.p.c. perchè la Corte non si sarebbe pronunciata sull’eccezione di estinzione per mutuo consenso.

Il motivo è infondato in quanto, anche dagli stralci della memoria in primo grado e del ricorso in appello, riportati in ottemperanza al criterio dell’autosufficienza, si evince che la società si limitò a rilevare che tra la scadenza dell’ultimo contratto a termine ed l’inizio dell’azione giudiziaria erano trascorsi due anni, ma non formulò una specifica eccezione in tal senso. Non è sufficiente la prospettazione dell’inerzia. E’ necessario allegare che, a causa di tale inerzia, il rapporto si è risolto. Gli altri due motivi riguardano la questione di fondo costituita dalla legittimità di una clausola di apposizione del termine del tipo di quella concordata in relazione al primo contratto intervenuto tra le parti in relazione a quanto disposto dalla L. n. 56 del 1987, art. 23.

Tale norma consente alla contrattazione collettiva di prevedere ulteriori ipotesi di legittimazione del termine e, nel caso di Poste italiane, la contrattazione collettiva si è espressa con il ccnl del 1994 (art. 8) e con il successivo art. 25 del ccnl del 2001.

Considerata l’epoca del contratto individuale (stipulato il 7 ottobre 1998 e con scadenza il 30 gennaio 1999), tuttavia l’intervento della contrattazione collettiva era ormai esaurito in relazione al contratto collettivo del 1994, mentre al contratto collettivo del 2001 non può conferirsi efficacia retroattiva, per le ragioni ripetutamente affermate da questa Corte, con una serie densissima di sentenze concernenti casi analoghi, alle quali si rinvia.

La soluzione cui è pervenuta la Corte di Brescia è pertanto conforme alla legge come interpretata in modo costante da questa Corte. Peraltro, la motivazione corretta a sostegno di tale conclusione è quella su richiamata relativa alla efficacia temporale della contrattazione in relazione all’epoca di stipulazione del contratto, che poi è la motivazione originaria adottata dal Tribunale.

Il primo motivo del ricorso incidentale, concernente le ragioni della nullità del termine, è inammissibile, perchè la parte non ha interesse ad impugnare la sentenza avendo avuto in dispositivo pieno accoglimento della domanda sul punto.

Al contrario, l’interesse sussiste in relazione al problema posto con il secondo motivo, concernente il risarcimento del danno, che è anche fondato.

Il punto è il seguente.

Il Tribunale di Mantova aveva condannato la società a corrispondere le retribuzioni dal momento della richiesta del lavoratore ai sensi dell’art. 410 c.p.c. interpretando tale atto come offerta della prestazione.

La Corte ha riformato sul punto la sentenza, ritenendo che quell’atto non potesse essere considerato un’offerta di prestazioni.

Il capo della decisione di primo grado non era stato oggetto appello da parte di Poste.

Il ricorrente incidentale sostiene che la Corte si sarebbe pronunciata valicando i limiti delineati dall’atto di appello.

Nel controricorso a ricorso incidentale Poste formula due obiezioni:

assume che il ricorso è inammissibile perchè la denunzia di violazione dell’art. 112 c.p.c. è stata qualificata come motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4;

assume poi che la verifica dell’esistenza di un atto di messa in mora poteva essere effettuata anche d’ufficio dalla Corte d’appello.

Poste ammette di non aver appellato questo capo della decisione di primo grado e non contesta di aver anzi affermato nell’atto di appello: "riteniamo che la sentenza vada confermata sotto il profilo risarcitorio, laddove si è giustamente tenuto conto della data di effettiva offerta della prestazione da parte del lavoratore" (passaggio riportato nel ricorso incidentale del lavoratore).

Appare chiaro che questo capo della domanda non era stato oggetto di impugnazione e che, anzi, Poste italiane vi aveva fatto espressa acquiescenza. Sul punto pertanto, la decisione del Tribunale era passata in giudicato e la Corte di Brescia non aveva potere di intervenire.

L’altra obiezione formulata da Poste in ordine all’inquadramento del motivo di ricorso nell’art. 360 c.p.c., n. 3 (invece che nel n. 4) non è fondata, poichè al di là della disposizione indicata, ciò che conta è il contenuto della censura. Il secondo motivo del ricorso incidentale deve essere pertanto accolto e, in riforma parziale della sentenza impugnata, la datrice di lavoro deve essere condannata a corrispondere le retribuzioni al D.C. con la decorrenza e nella entità specificate dal primo giudice.

Poste italiane, infine, con la memoria per l’udienza invoca l’applicazione della L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5.

Questa Corte, con riferimento all’applicazione di tale norma, ha affermato il seguente principio di diritto In tema di rapporto di lavoro a termine, l’applicazione retroattiva della L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5, -il quale ha stabilito che, in caso di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al pagamento di una "indennità onnicomprensiva" compresa tra 2, 5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8 prevista dal successivo comma 7 del medesimo articolo in relazione a tutti i giudizi, compresi quelli pendenti alla data di entrata in vigore della legge, trova limite nel giudicato formatosi sulla domanda risarcitoria a seguito dell’impugnazione del solo capo relativo alla declaratoria di nullità del termine, e non anche della ulteriore statuizione relativa alla condanna al risarcimento del danno, essendo quest’ultima una statuizione avente individualità, specificità ed autonomia proprie rispetto alle determinazioni concernenti la natura del rapporto (Cass. 3 gennaio 2011, n. 65).

Nel caso in esame, per le ragioni su indicate, il capo della decisione relativo al risarcimento del danno è passato in giudicato nella statuizione emanata sin dalla sentenza di primo grado.
P.Q.M.

LA CORTE riunisce i ricorsi, rigetta il principale, dichiara inammissibile il primo motivo dell’incidentale; accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, condanna la società Poste italiane a corrispondere al D.C. le retribuzioni con la decorrenza e nella misura indicate dal Tribunale di Mantova.

Conferma le decisioni di merito in ordine alle spese e condanna Poste italiane a rimborsare al D.C. le spese del giudizio di legittimità, che liquida in 33,00 Euro, nonchè 3.000,00 Euro per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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