Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 03-05-2011, n. 9706 Licenziamento per riduzione del personale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 25/9 – 13/11/07 la Corte d’Appello di Roma rigettò l’appello principale proposto da L.G. avverso la sentenza del 18/5/04 con la quale il giudice del lavoro del Tribunale di Roma, in parziale accoglimento della domanda, aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimatole dalla General Market s.r.l., ordinando a quest’ultima di riassumerla o di risarcirle il danno nella misura di cinque mensilità della retribuzione di fatto;

nel contempo, il giudice d’appello rigettò l’appello incidentale svolto dalla datrice di lavoro ai fini dell’accertamento della legittimità di tale licenziamento che era stato intimato per il motivo ricollegabile alla necessità di riduzione dei costi gestionali e di riduzione del personale.

In particolare, nel rigettare l’appello principale della lavoratrice, la Corte territoriale osservò che la comunicazione del licenziamento era regolarmente avvenuta, a nulla valendo il rifiuto della dipendente a ricevere il relativo atto scritto, che era corretta la decisione del primo giudice di ritenere indeterminata ed indeterminabile la richiesta di condanna della società al pagamento delle retribuzioni sino al termine della malattia, che era nuova la domanda che ricollegava il diritto alle retribuzioni alla maternità, che non risultava provato lo svolgimento del lavoro straordinario e che non erano state formulate specifiche censure avverso la decisione di rigetto della richiesta di pagamento di quanto preteso a titolo di ferie e scatti di anzianità.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso la L., affidando l’impugnazione ad un unico articolato motivo di censura.

Resiste con controricorso la General Market s.r.l.
Motivi della decisione

Con l’unico motivo la L. denunzia i vizi di violazione e falsa applicazione del contratto collettivo nazionale del commercio e di insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione al disposto di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, al ccnl commercio, nonchè alla L. n. 604 del 1966, artt. 1 e 3 ed agli artt. 2110, 2118, 2119 e 2697 c.c. In concreto le ragioni di doglianza ruotano attorno al problema posto in ordine alla decorrenza del termine di preavviso in costanza di malattia, preavviso che, secondo la ricostruzione della ricorrente, era contrattualmente previsto per una durata di ventisei giorni decorrenti dal termine della malattia che, nella fattispecie, era ancora in corso al momento del licenziamento, successivamente dichiarato illegittimo in sede giudiziale.

In maniera ancora più specifica la ricorrente fa osservare che nel CCNL del commercio è previsto, in ipotesi di risoluzione del rapporto, che il termine di preavviso decorre dal giorno 1 ovvero dal giorno 16 del mese e che, pertanto, nel caso in esame il termine iniziava a decorrere il 16/11/97 e scadeva il 12/12/97, mentre i giudici di merito non avevano affatto valutato la sussistenza del suo stato di malattia all’epoca del licenziamento, nè i certificati medici che l’attestavano. La L. formula, infine, i quesiti tendenti ad accertare la persistenza giuridica del rapporto lavorativo per l’intera durata contrattuale del preavviso, la sospensione dello stesso preavviso durante il periodo di malattia del dipendente e la verifica delle suddette decorrenze contrattuali (1 o 16 del mese) in epoca, comunque, successiva alla malattia. Osserva la Corte che il ricorso è improcedibile.

Invero, sia la struttura del motivo che del relativo quesito di diritto implicano, per come sono stati formulati, l’esatta conoscenza dei termini della contrattazione collettiva richiamata dalla ricorrente in materia di durata e decorrenza del preavviso, senza che la medesima si sia fatta, però, carico di produrne copia, così incorrendo nella violazione di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4. Si è, infatti, precisato (Cass. Sez. Lav. Ordinanza n. 11614 del 13/5/2010) che "l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi – imposto, a pena di improcedibilità del ricorso per cassazione, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nella formulazione di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – è soddisfatto solo con il deposito da parte del ricorrente dei contratti o accordi collettivi sui quali i ricorso si fonda, senza che possa essere considerata sufficiente la mera allegazione dell’intero fascicolo di parte del giudizio di merito in cui sia stato effettuato il deposito di detti atti o siano state allegate per estratto le norme dei contratti collettivi. In tal caso, ove pure la S.C. rilevasse la presenza dei contratti e accordi collettivi nei fascicoli del giudizio di merito, in ogni caso non potrebbe procedere al loro esame, non essendo stati ritualmente depositati secondo a norma richiamata".

Al riguardo si è, altresì, statuito (Cass. Sez. Lav. n. 15495 del 2/7/2009) che "l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi su cui il ricorso si fonda – imposto, a pena di improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nella nuova formulazione di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – non può dirsi soddisfatto con la trascrizione nel ricorso delle sole disposizioni della cui violazione il ricorrente si duole attraverso le censure alla sentenza impugnata, dovendosi ritenere che la produzione parziale di un documento sia non solamente incompatibile con i principi generali dell’ordinamento e con i criteri di fondo dell’intervento legislativo di cui al citato D.Lgs. n. 40 del 2006, intesi a potenziare la funzione nomofilattica della Corte di cassazione, ma contrasti con i canoni di ermeneutica contrattuale dettati dall’art. 1362 cod. civ. e seguenti e, in ispecie, con la regola prevista dall’art. 1363 cod. civ., atteso che la mancanza del testo integrale del contratto collettivo non consente di escludere che in altre parti dello stesso vi siano disposizioni indirettamente rilevanti per l’interpretazione esaustiva della questione che interessa." Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno poste a suo carico come da dispositivo.
P.Q.M.

Dichiara il ricorso improcedibile e condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio nella misura di Euro 2000,00 per onorario, oltre Euro 18,00 per esborsi, nonchè IVA, C.P.A e spese generali ai sensi di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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