Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 30-11-2010) 03-03-2011, n. 8437

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 17 febbraio 2009 la Corte di appello di Genova confermava la sentenza emessa in data 13 giugno 2008 dal Tribunale di La Spezia, appellata dal Procuratore Generale, con la quale R.A. era stato assolto per insussistenza del fatto, ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2, dal reato di ricettazione di un ciclomotore, oggetto di furto commesso il (OMISSIS), di cui il R. era stato trovato in possesso il (OMISSIS).

Secondo la Corte territoriale il fatto che l’imputato fosse stato trovato in possesso delle chiavi del mezzo e, "probabilmente", del documento di circolazione e la circostanza che il mezzo non presentasse segni di effrazione inducevano a ritenere lecita la ricezione del mezzo e, comunque, l’imputato inconsapevole della sua origine illecita. La mancanza di accertamenti diretti ad "acquisire elementi sulle modalità con cui lo straniero era venuto in possesso del veicolo" costituirebbe, secondo il giudice di appello, una lacuna che non si può "colmare in alcun modo".

Avverso la predetta sentenza il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di appello di Genova ha proposto ricorso per cassazione.

Con il ricorso si deduce l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale, con specifico riferimento all’art. 648 c.p. e art. 507 c.p.p., l’"errato riparto dell’onere probatorio", la mancanza, contraddittorietà ed erroneità della motivazione in quanto l’elemento materiale del reato era provato dal fatto oggettivo che l’imputato era stato trovato in possesso del ciclomotore e, peraltro, la sussistenza del reato presupposto di furto non poteva ritenersi in contrasto nè con il possesso delle chiavi del mezzo nè con la presunta disponibilità, da parte del R., del documento di circolazione; il ricorrente osserva, inoltre, che l’accertamento sull’origine delittuosa del ciclomotore avrebbe potuto essere compiuto dal giudice disponendo d’ufficio ex art. 507 c.p.p. l’esame della persona offesa del reato di furto.

Il ricorso, che sostanzialmente riproduce quello presentato avverso la sentenza assolutoria di primo grado, è fondato.

Correttamente il Procuratore Generale ha osservato che l’accertato possesso da parte dell’imputato del ciclomotore di provenienza furtiva integra di per sè l’elemento materiale del reato di ricettazione, presupponendo la ricezione del mezzo. Del resto, in tema di ricettazione, la prova del verificarsi del delitto che costituisce antecedente necessario di quello di ricettazione non presuppone un giudiziale accertamento nè l’individuazione del responsabile, bastando che il fatto risulti "positivamente" al giudice chiamato a conoscere del reato di cui all’art. 648 c.p. (Cass. sez. 2^ 12 marzo 1998 n. 3211, Lodola) o possa comunque essere dedotto attraverso prove logiche (Cass. sez. 4^ 7 novembre 1997 n. 11303, Bernasconi; sez. 2^ 15 gennaio 2009 n. 10101, Longo). Appare, inoltre, logicamente corretto il rilievo del ricorrente secondo il quale la provenienza furtiva del ciclomotore non era, in astratto, incompatibile con il possesso delle chiavi e dei documenti di circolazione e con l’assenza di segni di effrazione, non potendo escludersi che il ciclomotore fosse stato rubato insieme con i documenti di circolazione e fosse stato nel frattempo riparato.

Apodittica risulta, pertanto, l’affermazione del giudice di appello relativa all’impossibilità di integrare la pretesa lacuna investigativa in ordine alla ricezione, apparentemente lecita, da parte dell’imputato del ciclomotore, in quanto la Corte territoriale avrebbe dovuto valutare in particolare l’esigenza, come specificamente richiesto dall’appellante, di riaprire l’istruzione dibattimentale per accertare, attraverso l’esame testimoniale di colui che aveva presentato la denuncia di furto, le effettive modalità di commissione del reato presupposto e la loro compatibilità con le condizioni del veicolo nella data in cui il R. ne era stato trovato in possesso.

La Corte osserva, inoltre, che nella motivazione della sentenza impugnata non risulta affrontato adeguatamente l’aspetto dell’elemento soggettivo del reato di ricettazione.

Ai fini della configurabilità del delitto di ricettazione è, infatti, necessaria anche la consapevolezza della provenienza illecita del bene ricevuto, senza che sia peraltro indispensabile che tale consapevolezza si estenda alla precisa e completa conoscenza delle circostanze di tempo, di modo e di luogo del reato presupposto, potendo anche essere desunta da prove indirette, allorchè siano tali da generare in qualsiasi persona di media levatura intellettuale, e secondo la comune esperienza, la certezza della provenienza illecita di quanto ricevuto. Questa Corte ha più volte affermato che la conoscenza della provenienza delittuosa della cosa può desumersi da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi anche dal comportamento dell’imputato che dimostri la consapevolezza della provenienza illecita della cosa ricettata, ovvero dalla mancata – o non attendibile – indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede (Cass. sez. 2^ 11 giugno 2008 n. 25756, Nardino; sez. 2^ 27 febbraio 1997 n. 2436, Savie).

Si impone pertanto, alla luce dei principi di diritto sopra richiamati, l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Genova per il nuovo giudizio.
P.Q.M.

annulla con rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti ad altra sezione della Corte di appello di Genova, per nuovo giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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