Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 11-02-2011) 04-03-2011, n. 8714

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 16 settembre 2009, la Corte di appello di Torino, in riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale della medesima città l’11 aprile 2008, con la quale G.W. era stato condannato alla pena di mesi quattro di reclusione ed Euro 150 di multa quale imputato del delitto di ricettazione di un monitor al plasma, compendio di appropriazione indebita, ha assolto il medesimo imputato dal reato ascrittogli per non aver commesso il fatto.

Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per Cassazione il procuratore generale, deducendo violazione di legge. A parere del ricorrente, infatti, il giudice dell’appello non avrebbe fatto buon governo delle regole ermeneutiche in ordine alla figura:

"intromissione nell’acquisto di cose di provenienza delittuosa", giacchè nella motivazione della sentenza impugnata si riconosce che l’imputato si sarebbe attivato per ricercare un acquirente del bene, ma non vi sarebbe prova che lo avrebbe trovato. Il che basta a far ritenere integrato il delitto, alla luce della giurisprudenza di legittimità sul punto.

Il ricorso è fondato. Il delitto previsto dall’art. 648 c.p. configura, infatti, una struttura di reato a fattispecie plurima alternativa, che resta integrato dalla condotta di chi, al fine di procurare a sè o ad altri un profitto, non soltanto acquista, riceve od occulta beni provenienti da delitto, ma anche dalla condotta di chi "comunque" – avverbio evocativo, nel lessico del codice, di uno schema comportamentale a forma libera – si intromette nel farli acquistare, ricevere od occultare, così realizzando l’oggetto giuridico del reato che è quello si sanzionare condotte che, nelle varie forme previste dalla norma incriminatrice, "allontanano" il bene dal legittimo titolare, determinandone o contribuendo comunque a determinarne un circuito economico contra jus, a prescindere dalla responsabilità penale dei successivi percettori del bene stesso. Da qui, l’assunto secondo il quale il delitto di ricettazione, nella fattispecie commissiva della intromissione, si perfeziona per il solo fatto che l’agente si intrometta nel far acquistare, ricevere od occultare le cose di provenienza delittuosa, senza che sia necessario che l’intromissione medesima raggiunga il fine ulteriore che il soggetto si è proposto, giacchè è proprio attraverso quella condotta che si è intrinsecamente già realizzata l’offesa e la esposizione a pericolo del bene protetto dalla norma incriminatrice;

con la conseguenza che, se tale scopo non si è realizzato, il delitto è consumato e non soltanto tentato. Nell’ipotesi della mediazione, quindi – che è quella che viene in discorso agli effetti dell’odierno giudizio – è sufficiente che il mediatore si adoperi in modo univoco per far acquistare la merce e non è dunque neppure necessario nè che metta in rapporto diretto le due parti, nè che la refurtiva venga effettivamente acquistata o ricevuta (cfr., sul tema, Cass., Sez. 2, 16 giugno 2003, Moffa; Cass., Sez. 2, 7 marzo 2003, Di Blasio; Cass., Sez. 2, 5 giugno 1990, Lugano; Cass., Sez. 2, 20 aprile 1988, Nocera).

Il giudice dell’appello si è dunque palesemente discostato da tali principi di diritto, per di più demolendo la sentenza di primo grado sulla base di scarni e assertivi rilievi, tutti fondati non sulla scorta di una adeguata rivisitazione critica delle emergenze probatorie delibate in prime cure, ma alla stregua di evanescenti apprezzamenti, tutti fondati su base meramente congetturale e, perciò stesso, di indimostrabile spessore.

La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Torino per nuovo giudizio, alla stregua dei richiamati principi di diritto.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Torino.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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