Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 03-02-2011) 04-03-2011, n. 8710

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Ha proposto ricorso per Cassazione G.G., avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino del 26.3.2010, che confermò la sentenza di condanna pronunciata nei suoi confronti dal Tribunale di Tortona il 7.4.2008, per il reato di insolvenza fraudolenta.

La difesa deduce con il primo motivo, il vizio di violazione dell’art. 337 c.p.p. in ordine alla valutazione, da parte della Corte di merito, della ritualità della querela presentata dal soggetto agente nella dichiarata qualità di legale rappresentate della società danneggiata dal reato, che non avrebbe convenientemente giustificato i propri poteri rappresentativi.

Sotto altro profilo, la querela sarebbe stata proposta tardivamente, ben oltre il termine di novanta giorni "dalla data ultima di consumazione del reato".

Con gli altri motivi, il difensore deduce il difetto di motivazione e il vizio di violazione di legge della sentenza in ordine alla ribadita ravvisabilità, nella condotta dell’imputato, del delitto di cui all’art. 641 c.p.; il G. non avrebbe dissimulato il proprio stato di insolvenza, che potrebbe anche essere sopravvenuto rispetto all’assunzione dell’obbligazione, come sarebbe confermato "dallo svolgersi degli eventi in questione così come ricostruiti nel corso del giudizio".

L’ultimo motivo, attiene al trattamento sanzionatorio, di cui è denunciata l’immotivata asprezza.

Il ricorso è manifestamente infondato.

Ed invero, quanto alle questioni processuali sulla validità della querela, si deve rilevare che la formalità relativa all’indicazione specifica della fonte dei poteri di rappresentanza, prevista dall’art. 337 c.p.p., comma 3, – allorquando la querela venga proposta, come nella specie, dal legale rappresentante di una persona giuridica, di un ente o di un’associazione – non è prescritta a pena di nullità e non costituisce condizione di validità della querela medesima. Le cause di nullità devono infatti essere espressamente previste come tali dalla legge, secondo il principio di tassatività fissato dall’art. 117 c.p.p., mentre il potere di agire in giudizio del legale rappresentante di una persona giuridica si riconnette all’esistenza di un effettivo rapporto tra il primo e l’ente rappresentato, da cui derivino i poteri di rappresentanza e soltanto alla mancanza di tale rapporto si ricollega l’inefficacia della querela proposta e non, invece, alla mancata enunciazione formale della fonte del potere di rappresentanza (cfr. Cass. 25/02/1999 – 19/03/1999 SEZ. 2 RIC. Lanzetta; nello stesso ordine di idee, vedi Cassazione 16/01/1997 – 17/02/1997 SEZ. 5 RIC. P.M. in proc. Boccaletti, secondo cui la disposizione dell’art. 337 c.p.p., comma 3, concernendo la prova della legittimazione ad esercitare il diritto di querela in nome della persona giuridica, ente o associazione, pone quale onere per il querelante l’indicazione della fonte specifica dei; suoi poteri di rappresentanza, la quale costituisce una condizione di efficacia dell’atto, che deve essere verificata entro il termine di cui all’art. 124 c.p.. Quando si tratta di società’ di capitali, l’onere è adempiuto con la mera indicazione della legale rappresentanza, poichè tale indicazione comporta l’implicito riferimento all’art. 2384 c.c. quale fonte, onde la prova di legittimazione è fornita, mentre non vi è ragione di presumere eventuale limitazione della norma statutaria, che per legge deve essere espressa). Il ricorrente nemmeno deduce poi di avere sollevato la questione nel corso del giudizio di merito, nè sarebbero ovviamente possibile effettuare i necessari accertamenti di fatto in questa sede di legittimità.

Per quel che riguarda la presunta tardività della querela, basta considerare che il dies a quo per la proposizione dell’atto querelatorio deve identificarsi non nella data di consumazione del reato ma in quella in cui il querelante ne abbia avuto notizia ( art. 124 c.p., comma 1), dovendosi aggiungere che risulta dalla sentenza impugnata che i pagamenti del carburante acquistato dall’imputato erano stati differiti con il sistema delle ricevute bancarie.

Le censure del ricorrente sul punto sono quindi del tutto insufficienti.

I motivi diretti a contestare la logicità delle valutazioni dei giudici di merito in punto di responsabilità sono generici e contraddittori.

Le circostanze del fatto, come convenientemente analizzate dalla Corte territoriale dimostrano la corrispondenza della condotta dell’imputato, tanto sotto il profilo oggettivo che soggettivo, al modello legale della norma incriminatrice, mentre la circostanza che l’imputato non rivestisse alcuna carica all’interno della società acquirente per conto della quale aveva dichiarato di agire in occasione delle forniture di carburante, non solo non può giovare alle tesi difensive, ma al contrario conferma la mala fede dello stesso imputato. A dispetto della sua complessa articolazione, anche il motivo sul trattamento sanzionatorio è generico, non andando molto oltre il riferimento a scontate affermazioni di principio, e finisce quindi per rivelarsi soltanto apodittica la censura del difetto di motivazione sul punto della sentenza impugnata, che invece valuta adeguatamente la particolare calliditas insita nel modus operandi dell’imputato, e la gravità dei fatti.

Alla stregua delle precedenti considerazioni, il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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