Cass. civ. Sez. I, Sent., 04-05-2011, n. 9756 danni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Lecce, in parziale riforma della decisione 30 aprile 2002 del Tribunale, con sentenza dell’8 marzo 2004, ha condannato il comune di Caprarica di Lecce per l’occupazione in radice illegittima di un terreno di proprietà di I.G. U., al risarcimento dei danni liquidati in Euro 34.003,52, osservando: a) che l’immobile utilizzato per la costruzione di una strada era stato appreso senza neppure la dichiarazione di p.u. dell’opera e che tuttavia il proprietario in corso di causa aveva rinunciato ad ottenerne la restituzione chiedendone invece il controvalore; b) che il fondo era ubicato in zona oggetto di insediamenti urbanistici e parzialmente urbanizzata tanto da essere inclusa nel nuovo P.R.G. del comune (non ancora approvato) in zona destinata ad insediamenti residenziali, c) che le risultanze istruttorie più attendibili (prima c.t., documenti del comune), ne prospettavano un valore di L. 60.000 mq nell’anno 1987, per cui quello più congruo al tempo della irreversibile trasformazione appariva essere di L. 80.000 mq.

Per la cassazione della sentenza, il comune ha proposto ricorso per due motivi; cui resiste lo I. con controricorso.
Motivi della decisione

Con il primo motivo del ricorso, il comune di Capranica, deducendo violazione del T.U. sulle espropriazioni appr. con D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 43 e 55, addebita alla sentenza impugnata: a) di non aver considerato il proprio interesse ad applicare il provvedimento di acquisizione sanante di cui all’art. 43 cit. T.U., onde regolarizzare l’illegittima acquisizione del terreno I. sul quale era stata realizzata una strada pubblica; b)che essendo il T.U. entrato in vigore il 30 giugno 2003, era necessario rimettere la causa sul ruolo onde consentire ad esso ente che detta remissione aveva inutilmente richiesta, di provvedere alla regolarizzaione suddetta e di quantificare i danni ai sensi del successivo art. 55.

Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato:

inammissibile, perchè la Corte di appello muovendo dal presupposto che l’occupazione e l’irreversibile trasformazione del fondo I. erano avvenute in carenza di dichiarazione di p.u., ha tuttavia dato atto che il proprietario aveva rinunciato a chiederne la restituzione, pur inizialmente richiesta ai sensi dell’art. 2058 cod. civ., in cambio del controvalore dell’immobile (Cass. sez. un. 1907 del 1997 e succ.): sul quale dunque più non poteva vantare alcuna pretesa. Per cui, il comune difetta di interesse a far valere la mancata rimessione della causa sul ruolo, così come la mancata emissione di qualsiasi ulteriore statuizione della Corte di appello sulla sorte giuridica e materiale del bene, sostanzialmente abbandonato dal titolare del diritto dominicale: essendo la statuizione impugnata assolutamente indifferente rispetto alla futura adozione di provvedimenti dell’ente pubblico in merito alla possibile destinazione e/o acquisizione nel patrimonio dell’ente.

La doglianza è altresì infondata, in quanto: 1) questa Corte ha ripetutamente affermato anche a sezioni unite che il 1 comma dell’art. 57 T.U. dispone che "Le disposizioni del presente testo unico non si applicano ai progetti per i quali, alla data di entrata in vigore dello stesso decreto, sia intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza. In tal caso continuano ad applicarsi tutte le normative vigenti a tale data":perciò non lasciando all’interprete la possibilità di utilizzare un criterio ermeneutico diverso dal mero riscontro temporale in ordine alla data del progetto contenente la dichiarazione di p.u.. Con la conseguenza che, qualora il progetto sia, come nel caso concreto antecedente alla data di entrata in vigore del T.U. (per essere stato approvato con delibera comunale del 27 febbraio 1989 n. 29: cfr. pag. 6 ric.), la normativa dell’art. 43 risulta comunque inapplicabile (Cass. 18239/2005); 2) tutte le relative disposizioni invocate dal Comune sono state dichiarate costituzionalmente illegittime dalla recente sentenza 8 ottobre 2010 n. 283 della Corte Costituzionale, ed anche sotto questo profilo la sanatoria non è più invocabile dall’ente.

Con il secondo motivo, quest’ultimo, deducendo violazione degli artt. 55 e 37 del T.U., nonchè vizi di motivazione lamenta che la sentenza impugnata: a) non abbia determinato il risarcimento del danno con il criterio riduttivo previsto da questa normativa per la natura c.d. usurpativa dell’occupazione senza considerare che la Corte Edu aveva accomunato ogni tipologia di occupazione illegittima ed aveva di fatto qualificato il terreno edificatorio; b) abbia attribuito al suolo il valore di L. 80.000 mq. dopo aver dichiarato di voler privilegiare le risultanze istruttorie (consulenza, documentazione del comune ecc.) che ne indicavano un più contenuto prezzo di mercato non superiore a L. 60.000 mq.; c) non abbia determinato il vantaggio ricevuto dalla proprietà residua dello I. e ne abbia invece assunto una inesistente diminuzione di valore.

Queste censure vanno accolte nei limiti appresso precisati.

E’ vero, infatti che la Corte di appello ha considerato il terreno di fatto edificatorio sia perchè il comune era allora sprovvisto di strumenti urbanistici, e tuttavia il fondo rientrava in una zona già oggetto di insediamenti urbanistici e parzialmente urbanizzata; sia perchè l’area era stata inserita tra le zone destinate ad insediamenti residenziali di completamento dal nuovo strumento urbanistico, allora non ancora approvato ed efficace (c.d. edificabilità di fatto).

Ma l’ente pubblico non ha contestato siffatta conclusione nè la scelta del criterio suddetto per qualificare l’area di fatto edificatoria pur se priva dei presupposti ritenuti dalla sentenza indispensabili per l’attribuzione della c.d. edificabilità legale asseritamente richiesta dalla norma; e d’altra parte l’art. 55 del T.U. dopo la modifica introdotta dal D.Lgs. n. 302 del 2002 non era applicabile agli illeciti comuni quale è la c.d. occupazione usurpativa priva anche della dichiarazione di p.u. nel caso ritenuta dalla sentenza impugnata. Ed è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla nota sentenza 349 del 2007 della Corte Costituzionale anche con riferimento alle c.d. occupazioni espropriative di aree edificatorie, verificatesi entro il 30 settembre 1996, per le quali è stato dunque ripristinato il criterio del valore venale dell’immobile:nella specie puntualmente applicato dalla Corte territoriale.

Quest’ultima non ha poi di fatto tenuto conto del deprezzamento subito dalla porzione residua del fondo I., avendo dato atto nella parte della sentenza dedicata allo svolgimento della vicenda che erano state occupate per la realizzazione della strada, due aree rispettivamente di mq. 603 (part. 104) e 220 (part. 408); per poi attribuire al proprietario il risarcimento del danno di Euro 34.003,00 (pari a L. 65.840.000) esclusivamente per l’irreversibile trasformazione delle superfici suddette (mq. 823 x L. 80.000).

Nè l’ente pubblico ha prospettato quale sia stato il vantaggio specifico del fondo I. e diverso da quello ricevuto da ogni altro proprietario confinante dalla costruzione della strada; per cui correttamente la sentenza impugnata lo ha escluso in applicazione del principio ripetutamente enunciato da questa Corte che detto vantaggio, previsto peraltro dalla L. n. 2359 del 1865, art. 41 e perciò applicabile alle sole espropriazioni (legittime o illegittime) e non anche agli illeciti comuni, deve presentare il duplice requisito della specialità e dell’immediatezza e non risolversi, cioè, nel vantaggio generico e comune che tutti gli immobili ubicati nella zona ottengono per effetto dell’opera (Cass. 5171/2010, 3838/2004; 5263/2003).

La sentenza impugnata, invece ha determinato il valore venale dell’immobile all’epoca della sua irreversibile trasformazione, disattendendo, per un verso quello di L. 120.000 mq. attribuitogli in maniera arbitraria dal secondo consulente e dal Tribunale senza indicare le fonti dal quale era stato ricavato; e condividendo dall’altro:

a) gli accertamenti del primo consulente pervenuto ad un valore venale di L. 60.000 riferito all’anno 1987, che aveva indicato quali elementi di comparazione i valori dei suoli vicini aventi caratteristiche analoghe; b) i documenti prodotti dal comune che confermavano i valori suddetti; c) la consulenza di parte dell’ente pubblico fondata su più recenti ed attendibili informazioni, pur essa pervenuta al valore di L. 60.000 mq.

Malgrado siffatti accertamenti ha inopinatamente attribuito senza alcuna motivazione al fondo I. il valore di L. 80.000 mq. che non si giustifica neppure considerando la data dell’irreversibile trasformazione (anno 1989), successiva a quella considerata dal c.t.u., posto che nè detto ausiliare, nè le due sentenze di merito, nè infine il proprietario hanno mai segnalato nel biennio 1987-1989 un qualsiasi aumento dei prezzi di mercato degli immobili aventi caratteristiche omogenee a quello in esame, e peraltro ubicati al di fuori del centro urbano del comune; per cui la sentenza è incorsa nel vizio di motivazione illogica e contraddittoria denunciato dall’ente pubblico.

La stessa va pertanto cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di appello di Lecce che in diversa composizione provvedere a rideterminare il valore dell’immobile I., nonchè il risarcimento del danno a quest’ultimo dovuto, attenendosi ai principi avanti esposti, – nonchè alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.

La Corte, rigetta il primo motivo, accoglie il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità alla Corte di appello di Lecce, in diversa composizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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