Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 04-02-2011) 07-03-2011, n. 8911 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 20 giugno 2008, la Corte di appello di Brescia confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Bergamo con la quale D.N. era ritenuto responsabile dei reati di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni personali e condannato alla pena di mesi dieci di reclusione.

Esponevano, in fatto, i giudici di appello che D.N. e A.A. (giudicato separatamente), sorpresi in un bar in condizioni di ubriachezza infastidire gli avventori, si erano scagliati contro i Carabinieri An.Gi. e G. N., che li avevano invitati ad uscire dal locale, cagionando loro lesioni personali, giudicate guaribili in diciotto giorni.

2. Avverso la suddetta sentenza, propone ricorso per Cassazione l’imputato, deducendo:

– l’erronea ed illogica motivazione, in quanto le argomentazioni svolte dal giudice di appello per ritenere attendibile la versione fornita dai verbalizzanti non avrebbero superato le evidenti contraddizioni esistenti nel quadro probatorio: la deposizione della gestrice del bar risulterebbe univoca nell’escludere l’essersi verificata una colluttazione all’interno del bar e comunque avrebbe evidenziato una condotta del D. del tutto modesta, se non irrilevante; le stesse dichiarazioni dei verbalizzanti dimostrerebbero divergenze circa il luogo di svolgimento dei fatti e la dinamica dell’aggressione.

– la violazione di legge, in ordine alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti previste dagli artt. 114 e 62 bis c.p., in considerazione del ruolo modesto dell’imputato nella vicenda delittuosa.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Quanto al primo motivo, il giudice d’appello ha correttamente valutato le censure mosse alla sentenza di primo grado e fornito ampie spiegazioni delle ragioni per le quali ha ritenuto attendibili le testimonianze dei verbalizzanti An. e G. e disatteso le censure in fatto articolate dalla difesa.

In particolare, la Corte bresciana ha ritenuto inverosimile la ricostruzione alternativa proposta dal D. e dall’ A., in quanto volta a rappresentare un’immotivata aggressione da parte degli operanti a fronte di un loro atteggiamento inoffensivo, contraddetta tra l’altro dalle limitate lesioni riscontrate sulla persona dell’ A. (un’unica ferita sopraciliare) rispetto a quelle riportate dai verbalizzanti (una contusione alla spalla destra del carabiniere An. e una contusione con distorsione al polso destro dell’altro militare), compatibili queste ultime con la dinamica dei fatti riferita da questi ultimi.

La stessa Corte ha altresì spiegato il perchè non era riscontrabile nessuna contraddizione nella versione dei fatti riferita dai due carabinieri, evidenziando che entrambi avevano collocato l’azione violenta all’interno del bar, l’uno sull’uscio del bar e l’altro vicino alla porta; e che, quanto alla dinamica dei fatti, era verosimile che l’ An., nella concitazione dell’episodio, non avesse percepito l’aggressione alle spalle da parte dell’imputato, visto che era impegnato a fronteggiare quella, più significativa, dell’ A..

Quanto infine alla deposizione della teste a., che aveva riferito che nessuna colluttazione si era svolta nel suo bar, la Corte di merito ha fornito appagante risposta alle deduzioni difensive, rilevando che la stessa non veniva a scalfire il quadro probatorio, in quanto la donna, da un lato, aveva escluso azioni violente all’interno del locale, che – come accertato – erano avvenute sul suo ingresso, e, dall’altro, aveva riferito che i carabinieri avevano dovuto "usare la forza" per far uscire l’ A. dal bar.

Pertanto, il quadro probatorio è stato correttamente valutato dal giudice d’appello nei punti significativi posti in risalto con i motivi d’appello e, pertanto, le censure al riguardo formulate sono infondate.

Il motivo de quo, peraltro, si caratterizza per la sua estrema genericità, in quanto ripropone in questa sede le medesime censure poste a fondamento dell’appello senza tenere affatto conto delle ragioni per le quali, con specifici argomenti, la Corte territoriale ne ha escluso la fondatezza e, inoltre, non deduce, a fronte di una consistente e coerente motivazione, censure caratterizzate da specificità su punti critici delle proposizioni argomentative.

3. Parimenti generico per le medesime ragioni è il secondo motivo di ricorso, che si limita a riproporre, senza dedurre specifiche critiche, questioni di merito che hanno già trovato adeguata e logica risposta nella pronuncia impugnata.

Il giudice dell’appello invero ha escluso che l’imputato avesse avuto un ruolo di rilevanza del tutto marginale, cioè di efficacia causale così lieve rispetto all’evento da risultare trascurabile nell’economia generale dell’iter criminoso (cfr. Sez. 6, n. 33435 del 04/05/2006, dep. 05/10/2006, Battistella, Rv. 234365), assegnando invece al medesimo un ruolo maggioritario, visto che aveva ingaggiato la colluttazione con entrambi i verbalizzanti; cosi come ha validamente giustificato il diniego delle attenuanti generiche con la preclusiva esistenza di reiterati e specifici precedenti penali dell’imputato (tra le tante, Sez, 6, n. 34364 del 16/06/2010, dep. 23/09/2010, Giovane, Rv. 248244).

4. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e – per i profili di colpa emergenti dal ricorso – di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000.
P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *