Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con sentenza in data 20.05.2009 la Corte d’appello di Catania integralmente confermava la pronuncia di primo grado che aveva condannato XXX alla pena di anni tre di reclusione, avendolo ritenuto colpevole del reato continuato di danneggiamento seguito da incendio (ex artt. 81 c.p.v. c.p. e 424, comma 2, c.p.), nonché al risarcimento dei danni, più spese di lite, in favore delle costituite parti civili. Con ciò è stato dunque ritenuto provato che l’anzidetto imputato avesse dato fuoco a due auto e ad un ciclomotore, veicoli tutti appartenenti alla famiglia YYY, sulla base dei seguenti elementi: a) era stato visto da varie persone aggirarsi nei pressi dei procurati incendi in coincidenza con l’orario dello sviluppo delle fiamme; b) il suo alibi – essere stato a quell’ora presso la suocera in diversa località – era risultato falso; c) esso XXX risultava avere da tempo grave animosità verso la famiglia YYY. – La sanzione era così determinata : anni 2 e mesi 6 di reclusone, aumentata di mesi 6 per la recidiva.-
2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’anzidetto imputato che motivava il gravame deducendo: a] mancata analisi in ordine al dolo del reato contestato, anziché di semplice danneggiamento, e sui mezzi usati; b] mancata riduzione della pena ai sensi del comma 2 dell’art. 424 c.p.; c] errato aumento per la recidiva (sei mesi anziché cinque). –
MOTIVI DELLA DECISIONE
3. Il ricorso, fondato nei termini di cui alla seguente motivazione, deve essere parzialmente accolto.-
Va dapprima rilevato come l’XXX non contesti più, in questa sede, di essere stato l’autore materiale dei fatti. La sua odierna deduzione, relativa all’animus della condotta (anche in funzione dei mezzi usati), non ha pregio. Ed invero a suo carico è stato riconosciuto il reato di danneggiamento seguito da incendio (art. 424, comma 2, c.p.) che consiste proprio nell’atto di danneggiare, con corrispondente volontà, appiccando il fuoco, cui segue però un incendio (v. Cass. Pen. Sez. 3°, n. 1731 in data 26.11.1998, Rv. 212549, Buda). Non ha rilevanza pertanto sostenere -peraltro in via quanto mai astratta ed apodittica- che vi fosse solo volontà di danneggiare, posto che questo è comunque elemento comune tanto al reato di cui all’art. 635 c.p. che a quello contestato all’odierno ricorrente. L’elemento differenziale (l’ulteriore svilupparsi di fuoco potenzialmente diffusivo) deve dunque essere compreso nella ragionevole previsione della condotta, in relazione agli elementi circostanziali, una volta che si appicchi il fuoco. In definitiva i giudici del merito, con motivazione congrua, hanno accertato che vi fu incendio, in senso penalmente rilevante, quale conseguenza del voluto danneggiamento dei veicoli a mezzo del fuoco appiccato. Trattasi di valutazione in fatto, logica e coerente, non censurabile in questa sede di legittimità.-
E’ fondato, invece, il motivo di ricorso che attiene alla determinazione della pena. Va premesso, sul punto, che in primo grado la pena (anni 3 di reclusione) era stata irrogata senza alcuna specificazione dei passaggi intermedi, in particolare senza neppure indicare quale aumento fosse stato inflitto per la continuazione e per la recidiva. In grado di appello a ciò è stato apposto solo parziale rimedio, non essendosi indicato il calcolo della pena in ordine al reato ritenuto. In proposito deve osservare questa Corte come, pur essendo pacifico in giurisprudenza che è consentito anche il c.d. "metodo diretto" anziché quello "bifasico" (v. Cass. Pen. Sez. 1°, n. 37562 in data 16.05.2001, Rv. 220189, Botto, in tema di reato tentato, ma la questione è la stessa), la precisazione dei vari passaggi (la pena ex art. 423 c.p. ridotta da un terzo alla metà) si imponeva, posto che vi era uno specifico motivo di gravame sul punto, cui, in sostanza, non è stata data risposta. La determinazione della pena base in anni 2 e mesi 6 di reclusione si appalesa poi di non definita attribuzione, atteso che non viene esplicitato neppure l’aumento per la continuazione, contestata e (non essendo stata esclusa) riconosciuta, trattandosi di condotta ripetuta su tre veicoli. Anche in relazione alla recidiva, contestata come semplice, dovendosi fare riferimento alla disciplina vigente al momento del fatto (2002) -sul punto v. Cass. Pen. Sez. 1°, n. 44670 in data 10.11.2009, Rv. 245685, Madonna- l’aumento non poteva essere superiore ad un sesto, calcolato però sulla pena base, senza quindi considerare, a tal fine, l’aumento (che andrà specificato) per la continuazione (la recidiva si applica sul reato più grave, non sulla pena finale, dopo determinato l’aumento per la continuazione). In definitiva si impone annullamento unicamente per tali profili sanzionatori. Il giudice di rinvio dovrà dunque determinare la pena base (senza violare il divieto di reformatio in pejus) per il reato ex art. 423 c.p., ridurla (da un terzo alla metà) ex art. 424, comma 2, c.p., apportare aumento fino ad un sesto per la recidiva, ed infine determinare l’aumento per la continuazione.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione della pena e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d’appello di Catania. Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso n Roma il 10 Marzo 2010.
DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 12 APRILE 2010
Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.