Cass. civ. Sez. I, Sent., 06-05-2011, n. 10045 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L.G. ricorre per cassazione nei confronti del decreto in epigrafe della Corte d’appello che, liquidando Euro 1.499,98 per anni uno e mesi sei di ritardo, ha accolto parzialmente il suo ricorso con il quale è stata proposta domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata del processo svoltosi in primo grado avanti alla Corte dei Conti di Bari dal 2.9.2004 e non ancora definito alla data di presentazione della domanda (16.2.2009).

L’intimata Amministrazione non ha proposto difese.
Motivi della decisione

Premesso che il Collegio ha disposto la redazione della sentenza con motivazione semplificata si osserva quanto segue.

Il primo e il secondo motivo con il quale si denuncia violazione di legge e difetto di motivazione in ordine alla ritenuta ragionevolezza di un termine di durata di tre anni per il giudizio di primo grado pur in presenza di una causa in materia di pensione sono infondati in quanto la Corte ha già affermato che "Secondo i parametri indicati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, ai quali il giudice nazionale è tenuto a conformarsi nell’applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, la durata ragionevole del processo (nella specie: dinanzi alla Corte dei conti in materia di pensione) è di tre anni in primo grado e di due anni in secondo grado; e l’equa riparazione deve essere liquidata in una somma variabile tra i mille/00 ed i millecinquecento/00 Euro per ciascun anno eccedente il termine ragionevole (Cassazione civile, sez. 1^, 3/01/2008, n. 14) e che "In tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, ai fini della determinazione dei termine di ragionevole durata del processo, alle cause di lavoro e previdenziali si applicano gli standards comuni fissati dalla Cedu posto che la disciplina del processo del lavoro non prevede forme di organizzazione diverse, tali da differenziarne il corso in rapporto all’oggetto della controversia e da richiedere l’applicazione di parametri diversi (Cassazione civile, sez. 1^, 30/10/2009, n. 23047).

Il terzo motivo con il quale si deduce violazione dell’art. 6 della CEDU, per avere omesso il giudice del merito di riconoscere anche un bonus particolare in considerazione della natura di controversia di lavoro del giudizio presupposto è infondato in quanto in primo luogo "In tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, l’inclusione delle cause di lavoro e di quelle previdenziali nel novero di quelle per le quali la Corte CEDU ha ritenuto che la liquidazione dell’indennizzo per il danno non patrimoniale può giungere fino a 2000,00 Euro per anno, in ragione della particolare importanza della controversia, non significa tuttavia che dette cause debbano necessariamente considerarsi particolarmente importanti, con la conseguente automatica liquidazione del predetto maggior indennizzo, potendo il giudice del merito tener conto della particolare incidenza del ritardo sulla situazione delle parti, che la natura giuslavoristica della controversia comporta, nell’ambito della valutazione concernente la liquidazione del danno, senza che ciò comporti uno specifico obbligo di motivazione al riguardo, nel senso che il mancato riconoscimento del maggior indennizzo si traduce nell’implicita esclusione della particolare rilevanza della controversia" (Cassazione civile, sez. 1^, 8/09/2010, n. 19217) e comunque il giudice ha esplicitamente escluso la rilevanza particolare dell’oggetto della causa.

Il quarto motivo (erroneamente rubricato sub 3) con il quale si denuncia violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e della CEDU per avere omesso il giudice di tener conto ai fini dell’indennizzo anche della preventiva fase amministrativa è inammissibile in quanto la questione deve ritenersi nuova, non risultando dall’impugnato decreto che l’indennizzo sia stato richiesto anche per la fase in questione.

Il quinto motivo (erroneamente rubricato sub 4) con il quale si lamenta l’integrale compensazione delle spese è invece fondato in quanto la motivazione consistente nella mancata contestazione da parte dell’Avvocatura della pretesa non incide di per sè sulla soccombenza in quanto, come è già stato affermato dalla Corte (sez. 1^, 22/01/2010, n. 1101), nulla impedisce alla pubblica amministrazione di predisporre i mezzi necessari per offrire direttamente soddisfazione a chi abbia sofferto un danno a cagione dell’eccessiva durata di un giudizio in cui sia stato coinvolto per cui non può dubitarsi che la stessa amministrazione abbia dato causa al giudizio.

Il decreto deve dunque essere cassato limitatamente alla pronuncia sulle spese. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto la causa può essere decisa nel merito e pertanto, compensate per un mezzo le spese del giudizio di merito, liquidate come in dispositivo, in considerazione dell’accoglimento solo parziale della domanda, l’Amministrazione deve essere condannata al pagamento del residuo.

L’accoglimento del ricorso solo in punto spese giustifica la compensazione nella misura di due terzi di quelle di questa fase.
P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa in parte qua il decreto impugnato e condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento della metà delle spese del giudizio di merito che, per l’intero, liquida in complessivi Euro 775,00, di cui Euro 445,00 per onorari e Euro 280,00 per diritti, oltre spese generali e accessori di legge, compensato il residuo, nonchè di un terzo di quelle di questa fase, che per l’intero liquida in complessivi Euro 600,00, di cui Euro 500,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge, compensato il residuo; spese distratte in favore del difensore antistatario.

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