Cass. civ. Sez. II, Sent., 09-05-2011, n. 10169 Onorari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’avv. G.F. chiese al Presidente del Tribunale di Taranto che gli venissero liquidati gli onorari, diritti e spese per l’opera professionale prestata in favore della Dr.ssa I. G. in una causa di risarcimento danni sofferti dalla medesima – quantificati in citazione in oltre L. 323 milioni, dal cui incarico professionale era stato revocato prima che la causa fosse decisa, percependo solo un acconto di Euro 4.000,00. Il Tribunale, pronunziando ordinanza L. n. 794 del 1942, ex art. 29, nel contraddicono della I., determinò quanto dovuto in Euro 3.913,60 (comprensivo degli accessori dovuti per legge) e respinse l’istanza per la constatata eccedenza di detto importo rispetto a quanto già percepito dal professionista, ritenendo – per quello che ancora conserva interesse nel presente giudizio – che l’esercizio, da parte del cliente, della facoltà di revocare in qualsiasi momento il mandato al proprio difensore, doveva essere coniugato con la previsione, contenuta nel D.M. n. 127 del 2004, applicabile ratione temporis, in forza della quale nelle cause aventi ad oggetto il risarcimento dei danni, si doveva aver riguardo, per la determinazione del valore delle medesime, a quanto effettivamente conseguito dal patrocinato piuttosto che a quanto richiesto, con la conseguenza che nella fattispecie, non essendo possibile tale comparazione ed essendo formulata l’originaria richiesta in termini non assoluti, la causa doveva dirsi di valore indeterminabile minimo.

Il G. ha proposto ricorso per cassazione a sensi dell’art. 111 Cost., facendo valere quattro motivi; la I. si è costituita resistendo con controricorso.
Motivi della decisione

1 – Con il primo motivo viene dedotta la violazione delle disposizioni tariffarie ( D.M. n. 127 del 2004, artt. 5, 10 e 14, applicabile ratione temporis) in merito alla determinazione dello scaglione da applicare, dal momento che il Tribunale, ritenendo la causa di valore indeterminabile (minimo), non avrebbe considerato la precisa indicazione del petitum contenuta nella domanda ed avrebbe altresì disatteso la costante interpretazione di legittimità secondo la quale il concetto di indeterminabilità del valore della causa – da riferirsi al momento iniziale della lite – deve essere inteso in senso obiettivo, quale impossibilità di raggiungere una indicazione sulla base degli elementi del processo, così che la formula "di salvaguardia" adottata in citazione – facente riferimento al maggiore o minore valore della condanna in proprio favore, emessa all’esito della lite – non elideva l’idoneità dell’analitica indicazione del petitum a specificare il valore della res controversa.

1/a – Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità della produzione, a corredo del controricorso, della sentenza relativa al giudizio per il quale si controverte – che riconobbe alla I. un credito di Euro 10.282,76: sia perchè non rientrante nei documenti producibili in sede di legittimità ex art. 372 c.p.c.; sia anche perchè riguardante una pronunzia non definitiva e sia infine perchè comunque ininfluente ai fini del decidere, poichè l’ordinanza in scrutinio non poteva che essere adottata con riferimento alla situazione esistente al momento della revoca dell’incarico all’avv. G..

Nel merito, il motivo è infondato.

1/b – La cessazione del mandato professionale prima dell’esito della causa – da cui il valore del petitum indicato in domanda avrebbe tratto conferma o disconoscimento – non permetteva di invocare il criterio indicato nell’art. 10 c.p.c. – facente appunto riferimento al valore indicato in citazione – come neppure quello desumibile nel D.M. n. 127 del 2004, art. 6, comma 2, che trova applicazione soltanto in riferimento alle cause per le quali si proceda alla determinazione presuntiva del valore di quanto richiesto, in base a parametri legali e non pure allorquando, come nella specie, il valore della causa sia stato in concreto dichiarato (cfr. sul punto: Cass. 8660/2010); di conseguenza sarebbe stato onere del patrono di indicare specificamente l’attività prestata in relazione allo svolgersi della causa nell’ambito del suo patrocinio – tenuto conto che non è contestato che il processo si risolse in un’attività verificativa, con l’effettuazione di una CTU, dell’incidenza sulla persona e sul patrimonio della I. delle conseguenze dell’incidente di cui era rimasta vittima- in modo da permettere a questa Corte di uscire dalla situazione di incertezza delibativa determinata dalla inutilizzabilità del criterio – anch’esso meramente residuale – del valore indeterminabile della causa e, soprattutto di valutare il perchè la somma già corrisposta a titolo di anticipo dalla I., non fosse adeguata: non essendo ciò avvenuto il motivo non può essere accolto.

2 – Con il secondo motivo il ricorrente fa valere la violazione dell’art. 10 c.p.c., e del D.M. n. 585 del 1994, artt. 5 e 6, nonchè delle corrispondenti disposizioni contenute nel D.M. n. 127 del 2004, avendo ritenuto il Tribunale di poter valutare, nonostante la revoca fosse intervenuta prima del compiuto espletamento dell’incarico, sia i risultati ed i vantaggi, anche non patrimoniali conseguiti – art. 5, comma 3 – sia il valore effettivo della controversia, quando quest’ultimo risulti manifestamente diverso da quello presunto a norma del c.p.c. – art. 6, comma 2, incorrendo anche in una contraddittoria motivazione.

2/a – La censura deve considerarsi assorbita, quanto al lamentato vizio di violazione di legge, con riferimento alle argomentazioni in precedenza espresse sub par. 1/b.

2/b – Per quanto riguarda il vizio di motivazione, il motivo è inammissibile in quanto non sorretto da autonoma argomentazione rispetto a quella relativa alla violazione di legge ed in quanto, comunque, al ricorso in esame non si applicava – ratione temporis – l’art. 360 c.p.c., comma 4, nella formulazione introdotta con il D.Lgs. n. 40 del 2006, così che poteva essere denunziata, a sensi dell’art. 111 Cost., comma 2 – per quello che qui interessa – solo la motivazione del tutto assente o meramente apparente o comunque il cui processo argomentativo non potesse essere ricostruito – cfr. Cass. Sez. Un. 5888/1992 – ipotesi qui non ricorrenti.

3 – Con il connesso terzo motivo viene dedotta la violazione del diritto di difesa – art. 24 Cost. – il principio della domanda e dell’interesse ad agire – artt. 99 e 100 c.p.c.; viene altresì lamentata la falsa applicazione della norma disciplinante la ripartizione dell’onere della prova – art. 2697 cod. civ. – in relazione alla impossibilità per il professionista di dimostrare che, all’esito della lite, il valore attribuito alla causa sarebbe stato diverso da quello "indeterminabile al minimo" predicato dal Tribunale in ragione dell’effetto, preclusivo sul punto, della revoca dell’incarico.

3/a – Il motivo non è fondato in quanto la garanzia del diritto di difesa trova esplicazione nella disciplina del processo e non nell’ambito interpretativo delle norme da applicare per verificare la fondatezza della domanda, con la conseguenza che appare antinomico invocare tale principio e contemporaneamente la non applicazione dei principi sull’onere della prova; in secondo luogo la constatazione che il Tribunale abbia dato atto della circostanza che la revoca dell’incarico era intervenuta prima dell’espletamento completo di esso, non poteva dirsi violativo del diritto di difesa dell’esponente nè espressione di una erronea applicazione dell’art. 2697 cod. civ., atteso che il Tribunale non ha affermato che la scelta di ritenere la causa di valore indeterminabile fosse derivata dalla mancata prova dell’esito definitivo della stessa; diverso peraltro è il sostenere – ma su tale rilievo già la Corte ha soffermato la sua analisi sub par. 1/b che da tale situazione il giudice di merito potesse trarre argomenti per sostenere il valore indeterminato della causa.

4 – E’ infine infondato il quarto motivo, con cui il ricorrente lamenta il difetto assoluto di motivazione sulla scelta di liquidare al minimo – pur nell’ambito dello "scaglione" che si riteneva erroneo – l’ammontare degli onorari, incidendo tale critica sull’esercizio di una, non sindacabile in questa sede, valutazione discrezionale del giudice del merito e non essendo altresì detta censura sorretta da diversa prospettazione in ordine al maggior pregio che avrebbe rivestito l’attività difensiva.

5 – Respinto il ricorso parte soccombente va condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità secondo quanto indicato nel dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE Respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 1.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre I.V.A., C.A.P. e spese generali come per legge.

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