Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 24-02-2011) 08-03-2011, n. 9058

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Venezia, con sentenza in data 12/5/2010, confermava la sentenza del Tribunale di Padova in data 18/1/2005, impugnata da F.R., dichiarato colpevole di ricettazione di 39 rotori per apparecchi di analisi centrifughe, dichiarando non doversi procedere con riferimento alla residua imputazione per intervenuta prescrizione, riducendo la pena ad anni uno, mesi quattro di reclusione e Euro 700 di multa, confermando anche le statuizione civili relative al risarcimento del danno non patrimoniale, da liquidarsi in separato giudizio, a favore della parte civile.

Proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato deducendo i seguenti motivi:

a) omessa declaratoria di estinzione del reato, in epoca antecedente alla sentenza della Corte d’appello, essendosi consumato il reato all’ultima data di acquisto dei rotori, cioè in data (OMISSIS), ritenendo applicarsi i termini di prescrizione di cui al il novellato art. 157 c.p.;

b) mancanza e/o illogicità della motivazione sulla ritenuta ammissibilità della costituzione della parte civile, essendo stata firmata la procura speciale dall’amministratore delegato in assenza di delibera del consiglio di amministrazione che lo autorizzava a costituirsi parte civile, non essendo allegati all’atto di costituzione i poteri dell’amministratore;

c) nullità della sentenza per inosservanza e erronea interpretazione dell’art. 648 c.p., inosservanza degli artt. 192 e 546 c.p.p., nonchè nullità della sentenza per contraddittorietà, mancanza e manifeste illogicità della motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza della contraffazione, reato presupposto della ricettazione;

d) nullità della sentenza per insussistenza dell’elemento psicologico del reato di ricettazione, qualificato quale dolo eventuale essendo inconsapevole il ricorrente della illegittimità del prodotto, acquistato a un prezzo di mercato;

e) omessa derubricazione del reato in quello di incauto acquisto;

f) mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 648 c.p., comma 2 per l’omessa qualificazione della particolare tenuità del fatto, con conseguente declaratoria di prescrizione del reato;

g) erronea condanna alla pubblicazione della sentenza in mancanza di giudizio di gravità del fatto che, comunque, non sussiste.
Motivi della decisione

1) Va, preliminarmente evidenziato come in tema di prescrizione del reato, la pendenza del giudizio di appello, rilevante, secondo la normativa transitoria dettata dalla L. n. 251 del 2005, art. 10, comma 3, (come interpretato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 393 del 2006), ai fini dell’applicazione delle "vecchie" o delle "nuove" norme in tema di prescrizione, ha inizio nel momento della pronuncia della sentenza di primo grado, coincidente con il momento della lettura del dispositivo (Sez. 3, Sentenza n. 38836 del 10/07/2008 Ud. (dep. 15/10/2008) Rv. 241291).

Pertanto, relativamente alla individuazione del termine di prescrizione del reato di cui al presente procedimento – già pendente avanti alla Corte di appello nel Luglio 2005 – si applica – L. 5 dicembre 2005, n. 251, ex art. 10, comma 3, – la vecchia normativa.

Quindi, per la ricettazione la prescrizione è di dieci anni, prolungata fino a quindici anni per gli atti interruttivi verificatesi.

Il reato di ricettazione ha carattere istantaneo; pertanto, per individuare il momento consumativo, bisogna risalire a quello in cui è stato commesso il fatto tipico descritto dalla norma, cioè nel momento in cui l’agente ottiene il possesso della cosa, (Sez. 2, Sentenza n. 19644 del 08/04/2008 Ud. (dep. 16/05/2008) Rv. 240406;

Sez. 1, Sentenza n. 1638 del 23/05/1985 Cc. (dep. 22/06/1985) Rv.

169865; Sez. 2, Sentenza n. 2672 del 24/05/1994 Cc. (dep. 17/06/1994) Rv. 198158).

Anche a voler ritenere, cosi come affermato dal ricorrente, la data di consumazione del reato quella del (OMISSIS), il termine di prescrizione non risulta ancora decorso, anche senza tener conto delle eventuali cause di sospensione della prescrizione.

2) Anche il secondo motivo è infondato.

Nella sentenza di primo grado (pag. 4) si da atto di una Delib. del 1999 che conferisce all’Amministratore delegato il potere di "recuperare crediti", potendo quindi agire sia in sede civile che penale non dovendo la delibera precisare in quale sede esperire le eventuali azioni. Peraltro, nel caso in cui la persona offesa sia, come nella fattispecie, una società per azioni, la rappresentanza legale, spetta all’amministratore delegato ( art. 2328 c.c.) che e legittimato a costituirsi parte civile in nome della società, anche in mancanza di una specifica delibera del consiglio d’amministrazione, in quanto eventuali limitazioni del suo potere, ai sensi dell’art. 2377 c.c., comma 3 e art. 2391 c.c., comma 3 non sono opponibili ai terzi.

Nè sposta i termini del problema l’invito, da parte del giudice di primo grado, alla parte civile di produrre le delibere del consiglio di amministrazione, non spostandosi i termini della questione.

Deve considerarsi, quindi, valida la procura speciale, firmato dall’amministratore delegato anche in assenza di delibera del consiglio di amministrazione che lo legittimi a costituirsi parte civile, in mancanza di espresse limitazioni, nell’atto costitutivo, ai poteri dell’amministratore delegato.

3) Il terzo, quarto e quinto motivo di ricorso propongono solo censure di merito, ad una sentenza motivata in modo esaustivo, logico e non contraddittorio e che presenta una valutazione corretta delle risultanze processuali. Il Giudice di primo grado ha, invero, a solo titolo di esempio, ben evidenziato la sussistenza della contraffazione del brevetto, quale delitto presupposto del reato di ricettazione contestato al ricorrente, in base alle risultanze della perizia disposta, costituendo le argomentazioni del ricorrente censure di merito, come tali inammissibili in sede di legittimità.

L’apprezzamento, positivo o negativo che sia, dell’elaborato peritale e delle relative conclusioni costituisce un giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimità potendo il giudice del merito attenersi alle conclusioni del perito ove le condivida, rimettendo al suo elaborato il relativo supporto razionale, senza essere gravato dall’obbligo di fornire in motivazione autonoma dimostrazione dell’esattezza scientifica delle prime e dell’erroneità delle conclusioni del consulente di parte (Cass. 3.2.2003,n. 4803, Carrara). La Corte ha anche ritenuto la sussistenza del dolo del reato di ricettazione con riferimento a elementi sintomatici, evidenziando come l’imputato, operatore professionale del settore, con compiti di elevata responsabilità, avrebbe dovuto rendersi conto che quanto commercializzava doveva essere coperto da brevetto, essendo anche stato informato da Laboindustria dell’esistenza di una controversia avente ad oggetto proprio tali strumenti, escludendo che l’intervenuta archiviazione, con riferimento a fatti analoghi, per mancanza dell’elemento psicologico, potesse giustificare la legittimità del suo operato, avendo dovuto, anzi, metterlo sull’avviso.

Con riferimento alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di ricettazione le Sezioni Unite, con valutazione condivisa dal Collegio, hanno rilevato come l’elemento psicologico della ricettazione può essere integrato anche dal dolo eventuale, che è configurabile in presenza della rappresentazione da parte dell’agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto e della relativa accettazione del rischio, ravvisabile quando l’agente, rappresentandosi l’eventualità della provenienza delittuosa della cosa, non avrebbe agito diversamente anche se di tale provenienza avesse avuto la certezza (Sez. U, Sentenza n. 12433 del 26/11/2009 Ud. (dep. 30/03/2010) Rv. 246324; Sez. 1, Sentenza n. 27548 del 17/06/2010 Ud. (dep. 15/07/2010) Rv. 247718).

In altri termini ci si trova in presenza di un dolo eventuale quando chi agisce "si rappresenta come seriamente possibile (non come certa) l’esistenza di presupposti della condotta ovvero il verificarsi dell’evento come conseguenza dell’azione e, pur di non rinunciare all’azione e ai vantaggi che se ne ripromette, accetta che il fatto possa verificarsi: il soggetto decide di agire costi quel che costi, mettendo cioè in conto la realizzazione del fatto". Nella fattispecie è ravvisabile il dolo eventuale in quanto la situazione fattuale – nella valutazione operata dal giudice di merito in conformità alle regole della logica e dell’esperienza – è tale da far ragionevolmente ritenere che non vi sia stata una semplice mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della res, ma una consapevole accettazione del rischio di commercializzazione degli strumenti prodotti in frode al brevetto, e, quindi, contraffatti, anche indipendentemente dal prezzo di acquisto.

Si configura invece l’ipotesi di cui all’art. 712 c.p. quando il soggetto ha agito con negligenza nel senso che, pur sussistendo oggettivamente il dovere di sospettare circa l’illecita provenienza dell’oggetto, egli non si è posto il problema ed ha, quindi, colposamente realizzato la condotta vietata (Cass. pen., Sez. 2, 15/01/2001, n. 14170).

In sostanza nel delitto di ricettazione è ravvisabile il dolo eventuale quando la situazione fattuale – nella valutazione operata dal giudice di merito in conformità alle regole della logica e dell’esperienza – sia tale da far ragionevolmente ritenere che non vi sia stata una semplice mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della res, ma una consapevole accettazione del rischio che la cosa acquistata o ricevuta fosse di illecita provenienza (Sez. 2, Sentenza n. 45256 del 22/11/2007 Ud. (dep. 05/12/2007) Rv. 238515;

Cass. pen., Sez. 2, 12/02/1998, n. 3783).

Nella fattispecie la Corte territoriale ha accertato il dolo tipico del reato di ricettazione, per tutte le motivazioni già richiamate ed evidenziate, con conseguente implicita esclusione della fattispecie contravvenzionali di cui all’art. 712 c.p..

4) Perchè possa trovare applicazione l’ipotesi prevista dal capoverso dell’art. 648 cod. pen., è necessario che la cosa ricettata sia di valore economico particolarmente tenue, restando comunque impregiudicata la facoltà del giudice, pur in presenza di un valore modesto, di escludere il "fatto di particolare tenuità" prendendo in esame gli ulteriori elementi di valutazione della vicenda, ed in particolare ogni altra circostanza idonea a delineare la gravità del reato e la capacità a delinquere del colpevole.

Deve, ritenersi, in linea di principio, conformemente alla valutazione della Corte territoriale, che non si può attribuire particolare tenuità a un valore certamente non modesto, quale è quello di n. 17 scatoloni contenenti ciascuno 64 rotori,. Non appare, invece, pertinente il rinvio , nel ricorso, alla decisione di primo grado ove non si evidenzia alcun danno in quanto nella sentenza del Tribunale si è rilevato che, nell’atto di costituzione di parte civile.la questione civile è stata delimitata, quanto al petitum, esclusivamente ai danni morali e di immagine; tale limitazione della domanda non impedisce al giudice penale l’autonoma cognizione della gravità del danno arrecato ai fini della qualificazione del fatto e della conseguente graduazione della pena. Aspecifica e generica è, inoltre, la doglianza evocativa di un documento acquisito, prodotto dalla parte civile, in sede di parziale rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale che avrebbe chiarito che nella causa civile non era stato riconosciuto alcun danno.

5) Va disatteso anche l’ultimo motivo di ricorso con cui si lamenta la pubblicazione della sentenza, stante la declaratoria di prescrizione, con riferimento al capo a) della rubrica.

Va, al riguardo rilevato che la pubblicazione della sentenza non è una pena accessoria ma un mezzo di risarcimento del danno non patrimoniale in favore della parte civile che l’ha subito (Sez. 5, Sentenza n. 31680 del 30/05/2001 Ud. (dep. 24/08/2001) Rv. 219652) e già la decisione di primo grado aveva riconosciuto il rapporto strumentale tra la pubblicazione della sentenza e la riparazione del danno non patrimoniale subito dalla società parte offesa La pubblicazione della sentenza di condanna costituisce un mezzo per riparare il danno non patrimoniale e ha natura di sanzione civile e non penale, che si distingue da sanzioni speciali di analogo tenore aventi carattere penale (S.U. 21.5.88, lori (CED, rv. 181124) Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento e al rimborso delle spese della parte civile costituita liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile Instrumentation Laboratori spa che liquida in complessivi Euro 3.000,00, oltre spese generali, Iva e CPA. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 febbraio 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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