Cass. civ. Sez. II, Sent., 09-05-2011, n. 10140 Esercizio delle servitù

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Così la sentenza impugnata riassume lo svolgimento del processo. "Con atto di citazione notificato il 20 marzo 1996 S.C. conveniva avanti al Pretore di Modena – sezione distaccata di Sassuolo – la S.A.T.- Azienda Municipalizzata del Comune di Sassuolo, esponendo di essere proprietaria di un fabbricato con antistante striscia di terreno di sua proprietà, destinata a strada "in perpetuo aperta al pubblico passaggio"; nel 1986 la S.A.T. aveva posizionato sul suolo stradale un "cassonetto" dei rifiuti, senza consenso da parte della S., ed alcuni anni aveva dopo realizzato un cordolo di cemento attorno al contenitore. Chiedeva quindi la condanna della convenuta a rimuovere le opere, o in subordine a trasferirle avanti all’abitazione della frontista, dichiaratasi disponibile; in ogni caso con condanna della convenuta al risarcimento del danno.

Si costituiva la convenuta S.A.T., chiedendo il rigetto delle domande svolte nei suoi confronti, e deducendo in particolare come l’attività di smaltimento rifiuti sia di competenza comunale, secondo il D.P.R. 10 settembre 1982 n. 915. Espletata consulenza tecnica d’ufficio per accertare lo stato dei luoghi e per quantificare l’indennità dovuta e/o i danni per l’eventuale aggravamento della servitù di pubblico passaggio ai sensi dell’art. 1067 cod. civ., espletata la prova orale dedotta da parte convenuta, con sentenza depositata il 25 gennaio 2001 il Tribunale respingeva le domande attrici.

Osservava il Tribunale che a seguito del rogito in data 7 ottobre 1960, e in particolare a seguito della effettiva messa a disposizione della striscia di terreno ai fini della realizzazione della via (OMISSIS), era sorta, in virtù di dicatio ad patriam, una servitù di uso pubblico in servitù di uso pubblico costituisce un diritto reale sui generis di natura essenzialmente pubblicistica che grava su un fondo privato a favore della collettività, ed è soggetta a una propria disciplina pubblicistica diversa da quella cui è sottoposta la servitù prediale. Il proprietario di una strada soggetta all’uso pubblico deve assoggettarsi al potere-dovere del Comune di provvedere allo smaltimento dei rifiuti urbani ( D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, e, poi, D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22; L. 8 giugno 1990, n. 142). Il sistema normativo equipara, ai fini della raccolta e smaltimento rifiuti, le aree e strade pubbliche a quelle private soggette ad uso pubblico ( D.P.R. n. 915 del 1982, art. 2 e D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 7), ed attribuisce ai Comuni il potere di disciplinare la gestione dei rifiuti con appositi regolamenti. La norma regolamentare consentiva, in casi particolari, di collocare i cassonetti in area privata; dalle dichiarazioni testimoniali e dalla consulenza tecnica d’ufficio era risultata la razionalità del collocamento del cassonetto". 2. – La Corte territoriale con la sentenza oggi impugnata rigettava l’appello proposta dall’odierna ricorrente. In particolare dichiarava infondati i motivi che lamentavano l’ultrapetizione per avere il giudice di primo grado dichiarato costituita la servitù di uso pubblico (primo motivo), nonchè quelli relativi all’aver ignorato il contenuto del patto di cui al rogito 7 ottobre 1960, che prevedeva la costituzione di una servitù di pubblico passaggio (2 motivo) e non il diverso "uso pubblico" (3 motivo) consistente nel posizionamento del cassonetto a servizio dei soli residenti della via (OMISSIS) (4 motivo). Al riguardo la Corte territoriale rilevava che i motivi criticavano affermazioni inesistenti o errate posto che il giudice di primo grado "non ha pronunciato alcuna costituzione di servitù di uso pubblico; si è infatti limitato, per inquadrare la fattispecie, a svolgere in parte motiva alcune argomentazioni sulla differente disciplina delle servitù di uso pubblico rispetto alle servitù prediali; nè, tantomeno, ha affermato in alcun punto della sentenza l’esistenza di uso pubblico a favore dei soli residenti della via (OMISSIS)". Al riguardo la Corte territoriale osservava ancora che "va poi condivisa l’interpretazione data dal Tribunale al rogito del 1960, in base al quale "gli acquirenti dovranno destinare una striscia di terreno… in perpetuo aperta al pubblico passaggio", rilevando inoltre che il Tribunale non aveva affermato che "la raccolta rifiuti riguarda solo i residenti", essendo invece il contenitore destinato all’utilizzo indistinto della comunità e giungendo poi la conclusione di escludere che "il collocamento di un cassonetto costituisca … un nuovo uso pubblico rispetto al semplice passaggio". Ribadita la natura di attività di "pubblico interesse" della gestione dei rifiuti, concludeva la Corte che tale attività presuppone come normale l’utilizzo delle strade e che quindi "l’adibizione della striscia di terreno antistante la proprietà dell’appellante al pubblico passaggio comporta la possibilità che la striscia in questione sia utilizzata per la raccolta rifiuti, anche collocandovi un apposito contenitore".

Rigettava infine la Corte territoriale i motivi inerenti alla più opportuna collocazione del cassonetto per aver il Tribunale accertato che tale sistemazione era avvenuta "secondo le esigenze dello stato dei luoghi", restando assorbita poi la domanda di collocamento del cassonetto in altro luogo non essendo emersi profili di illegittimità del provvedimento adottato e non spettando all’autorità giudiziaria la valutazione in ordine alla più opportuna collocazione dei contenitori per rifiuti.

La ricorrente impugna tale sentenza, articolando sette motivi.

Resiste con controricorso la SAT. Le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato e va respinto.

I motivi del ricorso.

1.1 – Col primo motivo di ricorso si deduce: "error in procedendo per violazione ex art. 360 c.p.c., n. 4 dell’art. 112 c.p.c. per aver dichiarato motu proprio il giudice bolognese l’esercizio della servitù di uso pubblico per il collocamento del cassonetto a danno della S. inforza del patto contrattuale di cui al rogito Senni 17 ottobre 1960 (e non come dichiarato dal primo giudice in forza della dicatio ad patriam)".

Deduce la ricorrente error in procedendo per aver il giudice dell’appello dichiarato d’ufficio, senza impugnazione sul punto della sentenza di primo grado, "esercizio della servitù di uso pubblico il collocamento del cassonetto a danno della S. in forza del patto contrattuale di cui al rogito Senni 17 ottobre 1960" e non come dichiarato dal primo giudice in forza della dicatio ad patriam.

1.1.1 – Il motivo è infondato. La sentenza impugnata ha ribadito l’interpretazione data dal Tribunale alla vicenda, ritenendo che la servitù di uso pubblico era sorta in virtù della messa a disposizione della striscia di terreno da parte dei proprietari in ottemperanza del rogito del 1960 e non per effetto del rogito.

1.2. – Col secondo motivo di ricorso si deduce: "error in procedendo per violazione ex art. 360 c.p.c., n. 4 dell’art. 112 c.p.c. e del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ed ex articolo 360 c.p.c., n. 3, per la non puntuale disamina del petitum sostanziale dei primi 4 motivi di appello ed in particolare del primo motivo di appello, (vizio di ultrapetizione a seguito di pronuncia costitutiva di servitù di uso pubblico in forza di "dicatio ad patriam".

Lamenta la ricorrente l’omessa pronuncia sul primo motivo di appello con il quale era lamentata l’ultrapetizione del giudice di primo grado per avere dichiarato costituita una servitù di uso pubblico per dicatio ad patriam.

1.2.1 – Anche tale motivo è infondato. La sentenza impugnata si è pronunciata sul motivo, chiarendo che il Tribunale non aveva costituito una servitù di uso pubblico, ma aveva accertato la costituzione della stessa in virtù di dicatio ad patriam.

1.3 – Col terzo motivo di ricorso si deduce: "violazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 a seguito di motivazione contraddittoria, illogica e insufficiente circa il collocamento del cassonetto in forza della servitù di pubblico passaggio convenzionale di cui al rogito Senni del 17 ottobre 1960". Secondo la ricorrente la Corte territoriale sarebbe incorsa in tale vizio per aver affermato a pagina 5 "che era sorta una servitù di uso pubblico" e a pagina 7 che "il tribunale non aveva pronunciato alcuna costituzione di servitù di uso pubblico". 1.3.1 Il terzo motivo è inammissibile, perchè non pertinente: la sentenza impugnata ha affermato che il collocamento del cassonetto era avvenuto in forza della dicatio ad patriam e non già del rogito del 1960, del quale, oltre tutto il Comune non era stato parte.

1.4 – Col quarto motivo si deduce: "violazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 a seguito di carenza di motivazione logica circa l’uso e/o utilizzo da parte della collettività del cassonetto per cui è causa".

Secondo la parte ricorrente la Corte territoriale non ha esposto "per quali ragioni debba ritenersi che l’utilizzo e/o l’uso indistinto da parte della collettività del cassonetto dei rifiuti e il suo collocamento escludono un nuovo uso pubblico rispetto al pattuito pubblico passaggio" e perchè, una volta adibita la striscia di terreno antistante la sua proprietà a pubblico passaggio, da ciò derivi "la possibilità che la striscia in questione sia utilizzata e/ o usata per la raccolta dei rifiuti" (pagina 11).

1.4.1 – Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato, inammissibile per l’erroneo richiamo alla pattuizione della servitù che invece si è affermata come conseguente alla dicatio ad patriam.

Il motivo è comunque infondato perchè la sentenza ha motivato adeguatamente sul punto, affermando la natura di pubblico interesse dell’attività di raccolta dei rifiuti e la necessità per il suo esercizio dell’utilizzo delle strade pubbliche.

1.5. Col quinto motivo si deduce: "violazione ex art. 360 c.p.c., n. 3 per errar in iudicando a seguito di mancata applicazione anche alle servitù pubbliche dell’art. 1063 c.c., che stabilisce "l’estensione e l’esercito della servitù sono regolati dal titolo e, in mancanza, dalle disposizioni seguenti" ed ex art. 360 c.p.c., n. 5, anche contraddittoria ed illogica motivazione al riguardo". Erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto che il collocamento del cassonetto non costituisse un nuovo e diverso uso pubblico rispetto al passaggio, posto che la servitù non poteva che essere determinata, come previsto in atto, dal solo passaggio pubblico e non già dall’uso pubblico. Nè poteva sussistere la indicata dicatio ad patriam, stante la volontà contraria chiaramente ed immediatamente manifestata dalla S. nel momento del collocamento del cassonetto.

1.5.1 – Anche tale motivo è inammissibile ed infondato.

Inammissibile perchè non pertinente, laddove individua il titolo costitutivo nel rogito e non dall’avvenuta destinazione a strada pubblica e infondato perchè non considera che l’utilizzo delle strade pubbliche, tra le quali vanno ricomprese anche quelle ad uso pubblico, per la collocazione dei cassonetti dei rifiuti è disciplinata dai regolamenti comunali e dal codice della strada.

1.6. – Col sesto motivo si deduce: "violazione ex art. 360 c.p.c., n. 4 dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 11 preleggi per mancato esame e pronuncia circa il 5 motivo di appello". La Corte territoriale aveva ritenuto legittima la collocazione del cassonetto sulla base dell’art. 12 del regolamento comunale del 1995, inapplicabile al caso in questione perchè posteriore di circa 2 anni ai fatti di causa.

1.6.1 – Il motivo è infondato. Parte ricorrente omette di considerare che l’impugnata sentenza ha affermato che la collocazione era stata ritenuta razionale anche dalla consulenza tecnica ed ha escluso, in generale, il potere sindacare le modalità di svolgimento del servizio di raccolta dei rifiuti. Non sussiste, quindi, l’omessa pronuncia sul punto, avendo la Corte valutato complessivamente il motivo di appello in questione.

1.7 – Col settimo motivo si deduce; "violazione ex art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5 dell’art. 112 c.p.c. e difetto di e/o omessa motivazione a seguito di non puntuale e/o non corretto esame di un punto decisivo della controversia (deposizione testimoniale di C.S.)". 1.7.1 – Anche l’ultimo motivo è infondato. La ricorrente lamenta che la Corte non avrebbe valutato anche la testimonianza resa in ordine alla circostanza che il cassonetto era stato spostato a richiesta di un proprietario e non per un pubblico interesse, ma continua a fondare la sua prospettazione sulla ritenuta costituzione della servitù in virtù del rogito e non del fatto obiettivo della messa del terreno a disposizione della collettività per il pubblico passaggio. Sotto tale profilo la testimonianza invocata non assume alcun rilievo.

Al riguardo occorre ancora osservare, da un lato, che la Corte territoriale nella sua sentenza, a pagina 16, ha ampiamente motivato in ordine alla più opportuna collocazione del cassonetto e, dall’altro, che il teste ha specificamente indicato che la scelta della collocazione finale del cassonetto era dovuta alla sua posizione baricentrica rispetto alla strada, non influendo al riguardo la ragione del precedente spostamento. La stessa ricorrente, infatti, nel riportare la dichiarazione testimoniale del teste omette di considerare che il teste nella sua deposizione conclusivamente ha affermato "io valutai che quella dove si trova tuttora il cassonetto, davanti alla proprietà della signora S. era ed è la posizione più opportuna in quanto è baricentrica rispetto alla lunghe, della strada. Da allora, a parte le contestazione sollevata la signora S., non vi sono state più lamentele da parte degli abitanti di via (OMISSIS)". 2. – Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alle spese, liquidate in 2.500,00 (duemilacinquecento) euro per onorari e 200,00 Euro per le spese, oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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