Cass. civ. Sez. III, Sent., 09-05-2011, n. 10122 Padroni e committenti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I fatti di causa possono così ricostruirsi sulla base della sentenza impugnata.

L.P. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Venezia l’Azienda Ospedaliera di Padova e l’ULSS (OMISSIS) per ivi sentirli condannare al pagamento in suo favore della somma di L. 38.163.658, diminuita dell’importo di L. 4.100.200, già corrispostole dalla ULSS (OMISSIS). Espose che, affetta da grave sindrome lombo-articolare, era stata visitata dal Dott. F.D. della Clinica Ortopedica dell’Università di Padova che aveva certificato la necessità di un intervento chirurgico indifferibile.

Aggiunse che il Dott. F. le aveva prospettato un tempo di attesa presso la struttura pubblica di diciotto mesi, conseguentemente consigliandole il ricovero presso la clinica privata (OMISSIS). In tale contesto ella aveva inoltrato alla ULSS (OMISSIS) istanza per ottenere l’autorizzazione al ricovero, ai sensi della L.R. 13 giugno 1975, n. 83, artt. 4 e 5.

Sulla base di tali premesse, la L. chiese che l’Azienda Ospedaliera di Padova, dalla quale dipendeva la clinica ortopedica, nonchè la ULSS (OMISSIS) venissero condannate a rimborsarle il costo dell’intervento, al netto di quanto già da essa ricevuto, la prima, per averle rifiutato l’assistenza, ai sensi del D.L. n. 502 del 1992, art. 8, ovvero per responsabilità extracontrattuale, ex art. 2049 cod. civ.; la seconda, in quanto tenuta a fornirle le prestazioni, L.R. n. 83 del 1975, ex art. 4.

Le convenute, costituitesi in giudizio, contestarono l’avversa pretesa.

Con sentenza del 4 aprile 2001 il giudice adito accolse la domanda proposta nei confronti dell’Azienda Ospedaliera, mentre rigettò quella avanzata contro la ULSS (OMISSIS).

Proposto gravame dalla soccombente, la Corte d’appello di Venezia, in data 13 febbraio 2006, ha respinto le richieste di L.P., condannando parte attrice al pagamento delle spese di entrambi i gradi del giudizio.

Avverso detta pronuncia propongono ricorso per cassazione, illustrato anche da memoria, S., M. e A.D., eredi di L.P., formulando due motivi e notificando l’atto all’Azienda Ospedaliera di Padova e alla ULSS (OMISSIS).

Solo la prima ha resistito con controricorso, mentre nessuna attività difensiva ha svolto l’altra intimata.
Motivi della decisione

1.1 Col primo motivo gli impugnanti lamentano violazione degli artt. 342 e 112 cod. proc. civ., nonchè vizi di motivazione e di ultrapetizione.

Deducono che il giudice di merito avrebbe completamente travisato il contenuto dell’atto di appello. Secondo gli esponenti, invero, l’Azienda Ospedaliera non aveva mai sostenuto che il prof. F. non era suo dipendente, ma piuttosto che, nella fattispecie, non aveva agito in tale qualità e cioè, in sostanza, non ne aveva speso il nome. La Corte territoriale, negando che il rapporto di dipendenza tra il medico e la struttura fosse stato provato, non si era accorta che tale profilo, già pacifico in causa, era stato espressamente ammesso anche a pagina 6 dell’atto di appello.

1.2 Col secondo mezzo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 2049 e 1228 cod. civ. e art. 28 Cost..

Deducono che nella memoria autorizzata ex art. 183, ma in realtà ex art. 180 cod. proc. civ., la L. aveva precisato di agire nei confronti dell’Azienda per responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, richiamando gli artt. 1218 e 2049 cod. civ..

Evidenziano quindi che, sotto il profilo dell’illecito aquiliano posto in essere dal F., del tutto irrilevante era l’accertamento dell’esistenza di un nesso di dipendenza tra il medico e la struttura, essendo sufficiente, secondo la consolidata giurisprudenza del Supremo Collegio, la ricorrenza di un rapporto di occasionante necessaria, nel senso che l’incombenza svolta doveva avere determinato una situazione tale da agevolare o rendere possibile il fatto illecito e l’evento dannoso.

2 Le censure sono infondate.

Nel motivare il suo convincimento il decidente ha anzitutto evidenziato che il Dott. F., dopo avere rappresentato alla paziente l’urgenza dell’intervento e averle fatto presente che i tempi di attesa presso la struttura pubblica, nel cui ambito egli sicuramente operava, erano di circa diciotto mesi, le aveva consigliato di ricoverarsi presso la clinica (OMISSIS).

Ha tuttavia ritenuto errata l’affermazione della responsabilità dell’Azienda Ospedaliera, in quanto basata sull’assunto che il F. rivestisse la qualifica di primario della stessa, laddove non ne era neppure dipendente, come era dato desumere dall’intestazione del certificato rilasciato dal medico, ove compariva la dicitura: Professore a contratto di patologia e traumatologia vertebrale della Clinica Ortopedica Sezione di Chirurgia Vertebrale dell’Università di Padova, con espressa indicazione anche del primario, in persona del prof. M..

Ha quindi concluso che, per espressa dichiarazione scritta, direttamente ostensibile alla parte, il F. era legato all’Azienda da un contratto di tipo privatistico, in virtù del quale forniva le sue prestazioni, venendo pagato in ragione dell’opera professionale svolta. Ne ha quindi desunto che la responsabilità dell’accaduto non poteva essere addebitata all’Azienda, in quanto tra la L. e il F. era intercorso un rapporto contrattuale di natura privatistica, mentre nessun contratto o contatto ufficiale sia era mai instaurato direttamente, o tramite dipendente, tra paziente e azienda.

3 Ritiene il collegio che le ragioni addotte dal giudice di merito a sostegno della scelta operata in dispositivo siano immuni dagli errori giuridici e dai vizi motivazionali denunciati dagli impugnanti e resistano, pertanto, alle critiche svolte in ricorso.

Occorre muovere dalla considerazione che indispensabile, ai fini della sussistenza della responsabilità di cui all’art. 2049 cod. civ., è l’esistenza di un rapporto di preposizione, il cui nucleo strutturale minimo è l’espletamento, da parte di un soggetto, di una mansione, nell’interesse e su incarico, ancorchè occasionale o temporaneo, di un altro soggetto. Peraltro, perchè il fatto illecito possa dirsi compiuto dal dipendente nell’esercizio delle incombenze alle quali lo stesso è adibito, non occorre che tra mansioni espletate e fatto dannoso ricorra un rigoroso nesso di causa a effetto, sufficiente essendo che tali incombenze o mansioni abbiano reso possibile, o comunque agevolato, il comportamento produttivo del danno, mentre rimane irrilevante, al fine indicato, che esso travalichi i limiti dell’incarico ricevuto dal preposto.

L’esorbitanza della condotta è invero ininfluente tutte le volte in cui essa, da un lato, sia stata comunque agevolata dal ruolo rivestito dall’agente nell’organizzazione del preponente, dall’altro, si sia comunque realizzata nell’ambito e per finalità coerenti a quelle in vista delle quali la preposizione è avvenuta, in maniera tale da far apparire al terzo in buona fede che l’attività posta in essere per la consumazione dell’illecito rientrasse tra le incombenze proprie del preposto (confr. Cass. civ. 24 marzo 2011, n. 6829).

4 Ora, a ben vedere, la Corte d’appello ha respinto la domanda attrice in ragione, proprio, della ritenuta insussistenza del nesso di occasionalità necessaria, evocato dai ricorrenti, tra l’attività svolta dal F. presso la struttura pubblica e l’illecito di cui l’attrice ha chiesto il ristoro, in tale prospettiva valorizzando il profilo privatistico del rapporto tra Azienda ospedaliera e medico e, a valle, tra medico e paziente. In sostanza, ciò che il giudice d’appello ha negato, è la dipendenza eziologica tra l’affidamento della L. alle distorte informazioni del F. e l’attività da questo svolta come professore dell’Istituto di Clinica Ortopedica, di talchè non ha alcun interesse stabilire, in questa sede, se vi sia stato o meno il denunziato malgoverno delle ammissioni fatte dall’Azienda negli scritti difensivi.

La coerenza della decisione impugnata con i principi giuridici che presidiano la materia e la complessiva adeguatezza dell’impianto argomentativo addotto dalla Corte d’appello a sostegno della scelta decisoria operata relegano le critiche formulate in ricorso al rango di censure di carattere meramente valutativo, inammissibili in questa sede. Non par dubbio invero che l’apprezzamento, in concreto, della ricorrenza del nesso di occasionalità necessaria pertiene al giudice di merito; che esso è conseguentemente incensurabile in sede di legittimità ove congruamente motivato; che la motivazione è adeguata ove, tra l’altro, sia esente da aporie, da contrasti disarticolanti con il contesto fattuale di riferimento, conforme a criteri di comune buon senso. E nella fattispecie tale conformità va riconosciuta a sol considerare, tra l’altro, che le informazioni in ordine ai tempi di attesa per l’esecuzione di un intervento sarebbero state di pertinenza dei competenti uffici amministrativi, di talchè le stravaganti e interessate esternazioni di un professore plausibilmente sono state ritenute inidonee a determinare un affidamento di cui debba rispondere l’Azienda ospedaliera.

Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato.

La difficoltà delle questioni consiglia di compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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