Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-02-2011) 08-03-2011, n. 8990 Sequestro preventivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Il Tribunale di Roma, con ordinanza in data 2 luglio 2010, rigettava la richiesta di riesame proposta da P.T. avverso il decreto di sequestro preventivo emesso il 30 aprile 2010 dal GIP del Tribunale di Roma, relativo alla gestione patrimoniale n. 7108, concernente la posizione fiduciaria 14173, intestata all’Amphora Fiduciaria s.p.a., collegata al conto corrente 100836111 e dei valori in essa contenuti.

Rilevava il Tribunale che, sulla base delle indagini espletate, era da ritenere sussistente il fumus dei reati di associazione per delinquere, riciclaggio, appropriazione indebita ed altro, in ordine ai quali risultavano indagati il P., il B. ed il B.. Irrilevante era, invece, ai fini cautelari reali, l’asserita estraneità del P. alle condotte criminose contestate nell’ambito del procedimento n. 50734/07.

In ordine al periculum in mora, il GIP aveva già evidenziato che sussistente era il rischio dell’aggravamento delle conseguenze degli illeciti per cui si procedeva, "con il definitivo trasferimento presso istituti di credito aventi sedi in Paesi non soggetti alla normativa comunitaria, in tal modo agevolando la commissione di ulteriori condotte di riciclaggio". 2) Ricorre per Cassazione P.T., a mezzo del difensore.

Dopo aver ricordato che il sequestro ha ad oggetto il conto corrente bancario n. (OMISSIS) intestato al ricorrente, acceso presso la Banca di Credito Cooperativo di Manzano, filiale di (OMISSIS), denuncia la violazione di legge e la mancanza di motivazione. Secondo la giurisprudenza della Corte di legittimità spetta al terzo intestatario del conto corrente oggetto di sequestro dimostrare che la somma di denaro relativa sia in tutto o in parte di sua pertinenza.

Davanti al riesame è stato dimostrato che i valori sottoposti alla misura cautelare non solo non provengono da attività illecite, ma rappresentano il frutto dei risparmi da lavoro prestato all’estero e che il denaro è stato trasferito in Italia a garanzia di un prestito erogato dalla Cassa di Risparmio di Udine e Pordenone, filale di Gorizia, ad una società della famiglia P.. Il Tribunale, nonostante le specifiche deduzioni in proposito, confortate da copiosa documentazione, non ha minimamente motivato, incorrendo in una violazione di legge riconducibile alla previsione di cui all’art. 125 c.p.p., comma 3.

L’ordinanza impugnata incorre in ulteriore violazione di legge. Come emerge dal verbale dell’udienza camerale del 2.7.2010 era stata eccepita la mancata produzione da parte del P.M. del verbale di interrogatorio ex art. 351 c.p.p., nel corso del quale il P. aveva chiarito la sua estraneità ai fatti e la lecita provenienza dei fondi. Il Tribunale non ha potuto, pertanto, esaminare un elemento di prova decisivo. Tale circostanza integra la violazione dell’art. 324 c.p.p., comma 5 ed è deducibile in cassazione ai sensi dell’art. 325 c.p.p., comma 1. 3) Il ricorso è fondato.

3.1) Va premesso che, a norma dell’art. 325 c.p.p., il ricorso per cassazione può essere proposto soltanto per violazione di legge.

Secondo le sezioni unite di questa Corte (sentenza n. 2/2004, Terrazzi), nel concetto di violazione di legge può, però, comprendersi la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, quali ad esempio l’art. 125 c.p.p., che impone la motivazione anche per le ordinanze, ma non la manifesta illogicità della motivazione, che è prevista come autonomo mezzo di annullamento dall’art. 606 c.p.p., lett. e), nè tantomeno il travisamento del fatto non risultante dal testo del provvedimento.

Tali principi sono stati ulteriormente ribaditi dalle stesse sezioni unite con la sentenza n. 25932 del 29.5.2008-Ivanov, secondo cui nella violazione di legge debbono intendersi compresi sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidonee a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice.

3.2) Quanto ai poteri del Tribunale del riesame, la giurisprudenza di questa Corte (cfr. in particolare sez. unite 29.1.1997, ric. P.M. in proc. Bassi) è orientata nel ritenere che nei procedimenti incidentali aventi ad oggetto il riesame di provvedimenti di sequestro, non è ipotizzabile una "plena cognitio" del Tribunale, al quale è conferita esclusivamente la competenza a conoscere della legittimità dell’esercizio della funzione processuale attribuita alla misura ed a verificare, quindi, la correttezza del perseguimento degli obiettivi endoprocessuali che sono propri della stessa, con l’assenza di ogni potere conoscitivo circa il fondamento dell’accusa, potere questo riservato al giudice del procedimento principale. Tale interpretazione limitativa della cognizione incidentale risponde all’esigenza di far fronte al pericolo di utilizzare surrettiziamente la relativa procedura per un preventivo accertamento sul "meritum causae", così da determinare una non consentita preventiva verifica della fondatezza dell’accusa il cui oggetto finirebbe per compromettere la rigida attribuzione di competenze nell’ambito di un medesimo procedimento.

L’accertamento, quindi, della sussistenza del fumus commissi delicti va compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati sul piano fattuale, per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono- in una prospettiva di ragionevole probabilità- di sussumere l’ipotesi formulata n quella tipica. Il Tribunale del riesame non deve, pertanto, instaurare un processo nel processo, ma svolgere l’indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull’esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando sotto ogni aspetto l’integralità dei presupposti che legittimano il sequestro (ex multis Cass. pen. sez., 3 n. 40189 del 2006 – ric. Di Luggo). Il controllo non può quindi limitarsi ad una verifica meramente burocratica della riconducibilità in astratto del fatto indicato dall’accusa alla fattispecie criminosa, ma deve essere svolto attraverso la valutazione dell’antigiuridicità penale del fatto come contestato, ma tenendosi conto, nell’accertamento del "fumus commissi delicti", degli elementi dedotti dall’accusa risultanti dagli atti processuali e delle relative contestazioni difensive.

Secondo anche la già citata sentenza (sez. un. n. 23/1997), non sempre correttamente richiamata, al giudice del riesame spetta quindi il dovere di accertare la sussistenza del cd. fumus commissi delicti che, pur se ricondotto nel campo dell’astrattezza, va sempre riferito ad una ipotesi ascrivibile alla realtà fattuale e non a quella virtuale (principi affermati più volte da questa sezione 3, 29.11.1996, Carli; Cass. sez. 3, 1.7.1996, Chiatellino; 30.11.199, Russo; 2.4.2000, P.M. c. Cavagnoli; n. 5145/2006). In conclusione la verifica da parte del giudice del riesame del "fumus commissi delicti", ancorchè limitata all’astratta configurabilità del reato ipotizzato dal p.m., importa che lo stesso giudice, lungi dall’essere tenuto ad accettare comunque la prospettazione dell’accusa, abbia il potere-dovere di escluderla, quando essa appaia giuridicamente infondata (cfr. Cass. pen. sez. 1^ n. 15914 del 16.2.2007-Borgonovo).

Pur non potendosi, quindi interpretare in modo burocratico i poteri del giudice cautelare in relazione alla astratta configurabilità del reato ipotizzato, è assolutamente pacifico che egli non abbia poteri istruttori.

Si è quindi condivisibilmente affermato che "l’unica differenza che corre tra giudice cautelare e giudice di merito è che il primo non ha poteri di istruzione e di valutazione probatoria, che sono incompatibili con la natura cautelare del giudizio, ma tuttavia conserva in pieno il potere di valutare in punto di diritto se sulla base delle prospettazioni hic et inde dedotte ricorra il reato contestato" (cfr. Cass. pen. sez. 3 n. 33873 del 7.4.2006-Moroni).

3.3) Non c’è dubbio che, in sede di misura cautelare reale non rilevino gli indizi di colpevolezza; nè rilevi che i beni sequestrati siano di proprietà dell’indagato. In particolare, ai fini del sequestro preventivo, funzionale alla confisca di cui all’art. 322 ter cod. pen., non occorre provare il nesso di pertinenzialità della res rispetto al reato, essendo assoggettabili a confisca beni nella disponibilità dell’indagato per un valore corrispondente a quello relativo al profitto o al prezzo del reato (cfr. Cass. sez. 6 n. 11902 del 27.1.2005). "Ne deriva che il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, ricade su beni comunque nella disponibilità dell’indagato, senza che a tal fine possano rilevare presunzioni o vincoli posti dal cod. civ. A regolare rapporti interni tra creditori e debitori solidali ex art. 1298 cod. civ., comma 2 o i rapporti tra banca e depositante ex art. 1834 cod. civ., considerato che su queste disposizioni prevalgono le norme penali in materia di sequestro preventivo preordinato ad evitare che, nelle more dell’adozione del definitivo provvedimento di confisca, i beni che si trovino comunque nella disponibilità dell’indagato possano essere definitivamente dispersi" (cfr. Cass. sez. 6 n. 24633 del 29.3.2006; conf. Cass. sez. 6 n. 40175 del 14.3.2007).

3.3.1) Il ricorrente non contestava, però, l’esistenza di indizi di colpevolezza a carico degli indagati. Si limitava, infatti, ad affermare che i valori sequestrati appartenevano a lui, terzo estraneo ai reati ipotizzati, ed erano stati legittimamente acquisiti, allegando, a conforto, documentazione.

Il Tribunale, pur nei limiti del procedimento cautelare, ha completamente omesso di argomentare, sia pure per disattenderle, in ordine alle deduzioni difensive. Rimanendo assorbita ogni altra doglianza, l’ordinanza impugnata va, pertanto, annullata, con rinvio per nuovo esame.
P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Roma per nuovo esame.

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