T.A.R. Sardegna Cagliari Sez. II, Sent., 03-03-2011, n. 183 Ordinanze

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il ricorrente con concessione edilizia n. 436 del 21.11.1996 era stato autorizzato a realizzare un fabbricato agricolo in località Corraxi.

A seguito della relazione del Comando Polizia Municipale in data 4.6.1999, nella quale si evidenziava la difformità delle opere in corso di costruzione rispetto al progetto assentito, il responsabile del servizio tecnico, con ordinanza n. 50 del 10.6.1999, aveva disposto la sospensione dei lavori.

Con l’impugnato provvedimento, n. 56 del 29.6.1999, lo stesso funzionario ha ordinato la demolizione delle opere abusive e imposto il ripristino dello stato dei luoghi "sino alle caratteristiche concessionate", concedendo il termine di 45 giorni per l’adempimento.

Avverso detto provvedimento il signor P. ha proposto il ricorso in epigrafe, facendo valere le seguenti censure:

1) incompetenza;

2) violazione degli articoli 6 e/o 12 L.R. 11 ottobre 1985, n. 23;

3) eccesso di potere per perplessità, indeterminatezza dell’oggetto, contraddittorietà, violazione di legge;

4) violazione degli articoli 7 e 8 della legge 7 agosto 1990 n. 241.

Il Comune di Sestu ha dedotto l’infondatezza del ricorso, chiedendone il rigetto.

Alla pubblica udienza del 2 febbraio 2011 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.

Il ricorso è infondato.

Con il primo motivo si deduce l’incompetenza del responsabile dell’ufficio tecnico ad adottare il provvedimento, indicando nel Sindaco l’organo competente.

La censura è infondata.

Sul problema della competenza il Tribunale ha già avuto modo di pronunciarsi con la sentenza 3.7.1998 n. 665, le cui argomentazioni, essendo condivise dal Collegio, possono essere in parte riprese per la decisione sul motivo.

La legislazione regionale (leggi 11 ottobre 1985, n. 23 e 22 dicembre 1989, n. 45) che indica nel Sindaco l’organo competente al rilascio dei provvedimenti autorizzatori e sanzionatori in materia edilizia è coerente con il sistema precedente all’attribuzione del potere di gestione ai Dirigenti, nel quale tutti i poteri, in ambito comunale, erano riservati agli organi politici: Consiglio, Giunta e Sindaco.

Le leggi n. 23/85 e n. 45/89, sono state dettate quando la Regione non aveva competenza in materia di ordinamento degli enti locali, competenza attribuitale solo con la legge costituzionale 23 settembre 1993, n. 2, che ha modificato in tal senso l’art. 3, lett. b) dello Statuto.

Da tale osservazione emerge che le leggi regionali citate non attribuiscono al Sindaco la competenza ad adottare i provvedimenti in materia edilizia, ma prendono atto della disciplina dettata al riguardo dal legislatore nazionale con disposizioni che, all’epoca, si imponevano all’autonomia della Regione e che è stata quindi recepita necessariamente, con rinvio recettizio, nell’ordinamento regionale.

In assenza di una specifica legge regionale successiva alla modifica costituzionale, ha trovato applicazione l’articolo 57 dello Statuto, il quale dispone che nelle materie attribuite alla competenza della Regione fino a quando non sia diversamente disposto con leggi regionali si applicano le leggi dello Stato.

Atteso che il legislatore nazionale con l’art. 51, comma 3 della Legge 8 giugno 1990 n. 142 – comma sostituito prima dall’art. 6, secondo comma lett. f) della legge 15 maggio 1997, n. 127 e poi dall’art. 107 comma 3 lett. f) della legge 18 agosto 2000, n. 267 – aveva attribuito alla competenza dei dirigenti i "provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi, il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni, anche di natura discrezionale, nel rispetto di criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti, da atti generali di indirizzo, ivi comprese le autorizzazioni e le concessioni edilizie", la competenza del Sindaco doveva ritenersi venuta meno.

Con la disposizione dettata al comma 12 dell’art. 2 della legge 16 giugno 1998 n. 191 (diposizione poi introdotta con l’articolo 107, comma 3 lett. g) del D.Lgs n. 267/2000) il legislatore ha inoltre univocamente ricompreso tra gli atti di gestione i provvedimenti repressivi degli abusi edilizi.

La censura va quindi respinta.

Con il secondo motivo si deduce l’illegittimità dell’ordine di demolizione perché è stato concesso per adempiere un termine inferiore, 45 giorni, rispetto a quello previsto dalla legge, 90 giorni.

La censura non può essere accolta.

L’assegnazione di un termine di 45 giorni per provvedere, indubbiamente contrastante con l’art.7 della legge n.47/1985, che prescrive il più ampio termine di 90 giorni, si risolve in una violazione meramente formale, non suscettibile di arrecare alcuna lesione all’interessato, ove abbia, comunque, avuto a disposizione un termine non inferiore a quello di legge per provvedere. (cfr.Consiglio Stato, sez. V, 03 febbraio 2000, n. 597; T.A.R. Valle d’Aosta Aosta, 18 settembre 2002, n. 84; T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 16 gennaio 1996, n. 11).

Come risulta dalla nota prot. n. 12989/13032 in data 9.6.2010, il ricorrente non ha ancora provveduto a demolire le opere non conformi al titolo edilizio e quindi abusive.

Con il terzo motivo si deduce la censura di indeterminatezza dell’oggetto, sul rilievo che il provvedimento impugnato non indica il tipo di abuso commesso, limitandosi ad una generica intimazione all’osservanza della concessione.

La censura è infondata.

L’ordinanza impone la demolizione delle opere non conformi alla concessione edilizia n. 436 del 21.11.1996, che il ricorrente aveva ottenuto per la costruzione di un fabbricato agricolo.

L’individuazione delle parti non conformi al titolo rappresenta un’operazione molto semplice, risolvendosi in un confronto tra quello realizzato e quello previsto nel progetto assentito con la concessione edilizia. L’ordinanza impugnata prescrive chiaramente di demolire i lavori difformi dalla concessione edilizia, al fine di ripristinare lo stato dei luoghi alle caratteristiche della costruzione concessionata.

Con l’ultimo motivo si deduce la violazione degli articoli 7 e 8 della legge 7 agosto 1990, n. 241, per omessa comunicazione dell’avvio del procedimento.

Anche questa censura è infondata.

È pacifico in giurisprudenza che l’omessa comunicazione di avvio del procedimento preordinato all’adozione di un’ordinanza di demolizione di un’opera edile abusiva, non costituisce vizio invalidante l’atto finale nell’ipotesi in cui all’autore dell’opera sia stata in precedenza notificata l’ordinanza di sospensione dei lavori, essendo da questa ragionevolmente e agevolmente intuibile l’intendimento del competente ufficio dell’Ente locale di voler porre in essere i conseguenti atti per sanzionare l’abuso edilizio, stante la doverosità di essi per l’Autorità comunale. (Consiglio Stato, sez. IV, 27 gennaio 2006, n. 399; T.A.R. Basilicata Potenza, sez. I, 19 gennaio 2008, n. 16; T.A.R. Sicilia Palermo, sez. III, 09 novembre 2006, n. 2979).

Come risulta dallo stesso provvedimento impugnato, i lavori erano stati sospesi con l’ordinanza n. 50 del 10.6.1999.

In conclusione il ricorso va respinto.

Le spese del giudizio seguono la regola della soccombenza e si liquidano nel dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando, rigetta il ricorso in epigrafe.

Condanna il ricorrente, risultato soccombente, al pagamento delle spese del giudizio in favore del Comune di Sestu, che liquida nella complessiva somma di Euro 2000,00 (duemila//00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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