Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 08-02-2011) 08-03-2011, n. 9118 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza in data 26.7.2010, il Tribunale del Riesame di Milano confermava l’ordinanza del GIP del Tribunale di Milano applicativa della custodia cautelare nei confronti di A.G. D., imputato del delitto di cui all’art. 416-bis c.p., commi 1, 2, 3 e 4 per aver fatto parte dell’associazione mafiosa denominata ‘ndrangheta, operante da anni sul territorio di Milano e province limitrofe e costituita da numerose "locali" coordinate da un organo denominato "La Lombardia", deputato a concedere agli affiliati "cariche" e "doti" secondo gerarchie prestabilite e mediante cerimonie e rituali tipici dell’associazione mafiosa; scopo dell’associazione era – tra gli altri indicati – anche quello di commettere delitti in materia di armi, esplosivi e munizionamento, contro il patrimonio, la vita e l’incolumità individuale, in particolare commercio di sostanze stupefacenti, estorsioni, usure, furti, abusivo esercizio di attività finanziarie, riciclaggio, reimpiego di denaro di provenienza illecita in attività economiche, corruzioni, favoreggiamento di latitanti, corruzione e coercizione elettorale, intestazione fittizia di beni, ricettazione omicidi.

A., secondo il capo di imputazione, faceva parte della "locale" di Cormano organizzate da P.P.F., M.C.R. e L.N.; in particolare A., con il ruolo di partecipe, aveva partecipato a summit in occasione dei quali si decidevano la concessione di doti, la riammissione nel sodalizio di soggetti in precedenza espulsi, le strategie dell’associazione e i partecipanti si mettevano a completa disposizione degli interessi della locale, cooperando con gli altri associati nella realizzazione del programma criminoso del gruppo.

La difesa di A. ha presentato richiesta di riesame (senza presentare motivi) in data 16.7.2010;

il GIP ha trasmesso al Tribunale del Riesame gli atti relativi alla misura cautelare in data 20.7.2010;

l’udienza davanti al Tribunale del Riesame si è svolta in data 26.7.2010. Nell’ordinanza si da atto che nella suddetta udienza, preliminarmente, il difensore aveva eccepito la inefficacia della misura ai sensi dell’art. 309 c.p.p., commi 5 e 10 per omessa trasmissione al Tribunale delle bobine contenenti le conversazioni intercettate, precisando di non essere in grado di dire se dette bobine fossero state trasmesse dal P.M. al GIP all’atto della richiesta della misura cautelare; aveva lamentato anche di non aver potuto ascoltare le conversazioni intercettate poichè la sua richiesta, presentata al P.M. il 22 luglio, non era stata evasa ed in proposito aveva prodotto una copia della richiesta avanzata al P.M. e una missiva dell’avv. Ceretta, la quale dichiarava che non era stato possibile effettuare l’ascolto delle bobine.

Nell’ordinanza si da anche atto del parere del P.M., il quale aveva comunicato che le bobine non erano state trasmesse al GIP, come del resto i brogliacci, e aveva messo in evidenza che la difesa non aveva offerto alcuna certezza circa la data in cui aveva chiesto al P.M. l’ascolto delle bobine, richiesta che – se presentata il 22 luglio – sarebbe stata tardiva rispetto alla data dell’udienza. Il Tribunale respingeva la suddetta eccezione con la seguente motivazione.

L’ordinanza non aveva perso efficacia per la mancata trasmissione al Tribunale del Riesame delle bobine delle conversazioni intercettate, in quanto dette bobine non erano state poste dal GIP, che neppure ne aveva avuto la disponibilità, a fondamento del provvedimento coercitivo. Le bobine, comunque, non necessariamente dovevano essere trasmesse al GIP ai fini della decisione sulla misura cautelare personale, potendo la misura essere imposta anche sulla base dei brogliacci o di trascrizioni riassuntive.

La decisione delle Sezioni Unite in data 22.4.2010 aveva ritenuto sussistente una violazione del diritto di difesa, nel caso in cui non fosse stata esaudita la richiesta del difensore di avere a disposizione le bobine per ascoltare direttamente le conversazioni intercettate, a condizione però che detta richiesta fosse stata tempestivamente presentata al P.M. e che lo stesso avesse immotivatamente e ingiustificatamente omesso di provvedere in tempo utile per la discussione davanti al Tribunale del Riesame.

Secondo il Tribunale del Riesame, la difesa non aveva documentato la tempestività della richiesta al P.M. e neppure la circostanza dell’avvenuta presentazione della richiesta, in quanto aveva prodotto una missiva in data 22 luglio e un’altra in data 26 luglio prive di qualsiasi attestazione di deposito all’ufficio del P.M. da cui potesse risultare la data di presentazione. Nella missiva manoscritta in data 26.7.2010 (stessa data dell’udienza) l’avv. Ceretta affermava che nella mattinata odierna (26.7.2010), recatasi nell’ufficio del P.M., aveva verificato che sull’istanza in data 22.7.2010 il P.M. aveva provveduto dando l’autorizzazione; precisava inoltre che le era stato chiesto di ripresentarsi alle ore 12,00 per fissare l’appuntamento per l’ascolto.

A giudizio del Tribunale, anche ammesso che la difesa avesse presentato le suddette istanze nelle date indicate, era evidente la mancanza di tempestività rispetto all’utilizzo che la difesa intendeva farne all’udienza davanti al Tribunale del riesame, essendo stata la stessa difesa nella possibilità di presentare l’istanza al P.M. dal giorno 16.7.2010, data nella quale aveva depositato la richiesta di riesame.

D’altra parte, anche prendendo in considerazione il contenuto della missiva dell’avv. Ceretta, risultava che l’ascolto delle bobine era stato autorizzato dal P.M. lo stesso 22 luglio (giorno della presentazione dell’istanza) e, senza alcuna giustificazione, la difesa aveva atteso fino al giorno dell’udienza davanti al Tribunale per conoscere l’esito della sua richiesta.

Per quanto riguarda il merito, il Tribunale, dopo aver richiamato e riassunto le complesse motivazioni dell’ordinanza cautelare, metteva in evidenza che la difesa non aveva contestato la sussistenza dell’associazione descritta al capo 1 dell’incolpazione, limitandosi ad evidenziare la mancanza di specifici elementi da cui desumere la partecipazione del ricorrente all’associazione di cui trattasi.

Osservava poi che la partecipazione ad una associazione di tipo mafioso può essere desunta da indicatori fattuali come, ad esempio, i comportamenti tenuti nelle pregresse fasi di "osservazione" e "prova", l’affiliazione rituale, l’investitura della qualifica di "uomo d’onore", la commissione di delitti scopo e altri significativi facta concludentia. Considerava anche indici classici di partecipazione: il conferimento di una "dote" o di una carica sociale; la partecipazione ad eventi riservati, quali summit, per assumere decisioni di ‘ndrangheta o riti di affiliazione; la disponibilità non occasionale a incarichi di fiducia; la commissione di reati fine con metodo mafioso; l’accreditarsi esplicitamente come appartenente alla ‘ndrangheta, comunicando con terzi. Svolgeva considerazioni generali sull’attività della locale di Cormano, della quale è accusato di far parte il ricorrente, rilevando che erano stati raccolti elementi a carico di diciassette soggetti partecipanti alla suddetta locale, tutti per lo più incensurati, ad eccezione di L.D., al quale erano affidati "lavori sporchi". Anche nella locale di Cormano erano in vigore le regole generali della ‘ndrangheta che, tra l’altro, prevedevano un rito di affiliazione con giuramento di fedeltà e conseguentemente irrevocabilità del vincolo, assegnazione di cariche e altro.

Di particolare rilievo, nelle attività dell’associazione, erano i summit ai quali avevano partecipato appartenenti alla locale di Cormano e di altre locali. A carico di A. – che risiedeva in Lombardia dal 1979, lavorando come autista presso l’ATM di Milano, ed era originario di Grotteria, come la gran parte degli altri componenti della locale di Cormano – l’ordinanza indicava, in particolare, i seguenti elementi:

– una conversazione ambientale del 12.11.2008 tra Ma.

V. e P.P.F. (rispettivamente a capo della locale di Bollate e della locale di Cormano) nella quale i due affermano che m. era stato allontanato persino giù in Calabria e che nessuno lo invitava a partecipare più alle riunioni;

in questo contesto, P. aveva anche detto che quando era stata fatta la riunione in montagna non avevano chiamato m. ma "quello del pullman, A.";

– una conversazione ambientale del 29.10.2008 tra Ma. e P., nel corso della quale quest’ultimo comunica che stavano per dare il "Quartino" a suo fratello, a un certo P. "e a A.P. quello del pullman…";

– A., in virtù dei servizi resi all’associazione, aveva ricevuto la dote del "Quartino" in occasione di una riunione del (OMISSIS) presso la ditta del fratello di P. e, dopo la riunione, c’erano stati i festeggiamenti presso il ristorante (OMISSIS);

– nel corso del servizio di osservazione nei pressi del suddetto ristorante era stata documentata la presenza di diversi associati, oltre all’auto Toyota di A., parcheggiata in loco;

– A. non aveva negato di conoscere i coindagati che erano tutti del suo paese ed anche imparentati con sua moglie, il cui cognome è P.;

– il (OMISSIS) vi era stato un summit presso l’officina di P., nel corso della quale erano stati affiliati due nuovi esponenti; il servizio di o.c.p. svolto in quell’occasione aveva documentato, oltre alla presenza di P., Ma., La.Vi. e M.C., anche quella di A..

Con riguardo, infine, alle esigenze cautelari, l’ordinanza del Tribunale del riesame ricordava che per il reato de quo era prevista dalla legge la presunzione della sussistenza delle esigenze cautelari e della adeguatezza della sola custodia cautelare. Considerata la pervasività dell’associazione all’interno della società lombarda, anche attraverso l’utilizzo di soggetti incensurati e normalmente inseriti a tutti i livelli e considerato che dall’interrogatorio dell’indagato non era emerso alcun segno di resipiscenza o di volontà di rescindere i legami con l’ambiente esaminato, "non pare al Tribunale che il mero dato dell’incensuratezza o la esistenza della regolare attività lavorativa come autista dell’ATM siano elementi utili a contrastare la presunzione della esistenza delle esigenze cautelari…".

Ha proposto ricorso avverso l’ordinanza del Tribunale di Riesame il difensore di A.G.D. deducendo, con un primo motivo, la nullità ex art. 178 c.p.p., lett. c) in relazione all’art. 268 c.p.p., con conseguente richiesta di annullamento dell’ordinanza e comunque declaratoria di sopravvenuta inefficacia della medesima ai sensi dell’art. 309 c.p.p., commi 5 e 10.

Il ricorrente ha sostenuto la violazione del diritto di difesa, poichè non gli era stata data la possibilità di ascoltare le due conversazioni intercettate costituenti il fondamento dell’accusa.

La ricostruzione sul punto contenuta nell’ordinanza impugnata non corrispondeva alla realtà dei fatti.

L’istanza era stata presentata in Procura il giorno 22 luglio e il P.M. nello stesso giorno aveva dato l’autorizzazione all’ascolto delle due intercettazioni, differendo l’effettivo accesso alla sola mattinata dell’udienza (doc. 2 degli allegati al ricorso).

L’avv. Simona Ceretta, il giorno dopo (23 luglio), aveva depositato presso la Cancelleria del Tribunale del Riesame la delega sia a visionare gli atti del procedimento sia all’ascolto delle conversazioni intercettate (doc. 3). Nello stesso giorno 23, l’avv. Ceretta aveva comunicato tramite fax al ricorrente avv. Marco Baroncini che non aveva potuto ascoltare le registrazioni, poichè la Cancelleria le aveva fatto presente che i supporti informatici non vengono mai trasmessi al Tribunale del Riesame (doc. 4).

Sabato 24 luglio l’avv. Ceretta non era riuscita "nuovamente ad avere accesso e si era ripresentata, come concordato, la mattina dell’udienza, lunedì 26 luglio". L’udienza davanti al Tribunale era stata fissata alle ore 10,40; il ricorrente aveva chiesto un differimento di poche decine di minuti per aver la possibilità di ascoltare le registrazioni, ma il Presidente aveva respinto la richiesta di rinvio, trincerandosi dietro la mancanza di tempestività della richiesta, impedendo in tal modo l’esercizio di un legittimo diritto di difesa.

La richiesta di ascoltare le registrazioni era stata del tutto tempestiva, poichè presentata al P.M. il giorno dopo che il ricorrente aveva ricevuto l’avviso della fissazione dell’udienza davanti al Tribunale del Riesame. Il P.M., se non fosse stato in grado di soddisfare in tempo utile l’accesso alle registrazioni, avrebbe potuto soddisfare il diritto della difesa trasmettendo le stesse al Tribunale del Riesame come elementi sopravvenuti a favore della persona sottoposta alle indagini. Peraltro anche il Tribunale avrebbe potuto acquisire dette registrazioni ex officio al fine di verificare la sussistenza delle condizioni di cui all’art. 273 c.p.p..

Secondo il ricorrente, non era stato trasmesso al Tribunale del Riesame l’interrogatorio di garanzia di A., nel quale lo stesso si era avvalso della facoltà di non rispondere, nonostante nella missiva in data 19.7.2010 del P.M. si desse atto della trasmissione (doc. 8). Quindi non si comprendeva da dove erano state tratte le dichiarazioni attribuite all’ A. riportate nell’ordinanza impugnata.

Con un secondo motivo il ricorrente ha dedotto l’inosservanza dell’art. 273 c.p.p. in ordine alle condizioni di applicabilità della misura cautelare e comunque mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione dell’ordinanza circa la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. Diversamente da quanto affermato nell’ordinanza, la difesa del ricorrente aveva contestato la mancanza di prove circa l’affiliazione dell’ A. alla struttura denominata La Lombardia, e quindi la mancata verifica che la c.d. locale di Cormano, della quale avrebbe fatto parte A., avesse quella effettiva capacità di intimidazione richiesta per la sussistenza del reato di cui all’art. 416 bis c.p..

Al suddetto rilievo il Tribunale del Riesame non aveva dato alcuna risposta.

La mera qualità di "uomo d’onore" non poteva integrare, di per sè, gli estremi del delitto contestato, in quanto sarebbe stato necessario riscontrare la fattiva partecipazione del soggetto al sodalizio criminale, del tutto inesistente per A., del quale non vi era una sola intercettazione che lo riguardasse direttamente, in quattro anni di indagini.

Non poteva darsi alcun valore probatorio alle conversazioni indicate nell’ordinanza a carico di A., in quanto si tratta di discorsi tra terze persone che avevano appreso la circostanza da altri.

Non vi era alcun riscontro al fatto che A. avesse partecipato alle riunioni dell’associazione elencate nell’ordinanza, nè vi era prova che avesse partecipato, la sera del (OMISSIS), ai festeggiamenti presso il ristorante La Rete di Milano, poichè non era stato identificato il soggetto che aveva utilizzato l’autovettura intestata all’ A., parcheggiata quella sera nei pressi del suddetto ristorante. Inoltre, in vista della riunione del (OMISSIS), non risultava alcun contatto telefonico dell’ A. con partecipanti alla stessa riunione. Non era vero, come si afferma nell’ordinanza, che A. avesse dichiarato di conoscere i coindagati e neppure era vero che avesse un qualche legame di parentela o affinità con P.P.F., legame neppure menzionato nella scheda relativa all’ A..

Con un terzo motivo il ricorrente ha dedotto l’inosservanza dell’art. 275 c.p.p., comma 3 e comunque la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione circa la sussistenza di esigenze cautelari.

Il Tribunale non aveva considerato che emergevano dati escludenti in radice una qualsiasi esigenza cautelare, poichè non erano emersi facta concludentia indicativi della partecipazione al sodalizio criminale; non erano risultati contatti con gli altri presunti affiliati; A. era del tutto incensurato; non era risultata alcuna situazione patrimoniale che potesse far sospettare il coinvolgimento dell’ A. nelle attività economiche dell’associazione.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Il difensore ha ragione quando afferma che era un suo diritto ascoltare le poche conversazioni che riguardavano l’ A., prima di discutere il ricorso davanti al Tribunale del Riesame, ma anche dalla documentazione allegata al ricorso per cassazione si evince che l’ascolto delle suddette conversazioni non è avvenuto per fatto imputabile alla difesa che, dopo aver correttamente presentato in data 22 luglio 2010 presso la Procura della Repubblica di Milano l’istanza con la quale chiedeva di poter ascoltare le conversazioni intercettate che riguardavano l’ A., ha inspiegabilmente omesso di ritornare lo stesso giorno o il giorno dopo presso la suddetta Procura per concordare con l’ufficio i tempi e i modi dell’ascolto delle suddette conversazioni.

Risulta infatti dalla documentazione prodotta: che l’istanza è stata presentata in Procura il 22 luglio; che il P.M. nello stesso giorno, e quindi con indiscutibile tempestività, ha autorizzato la difesa ad ascoltare le conversazioni indicate nell’istanza; che l’avv. Simona Ceretta, il giorno dopo (23.7.2010), si è recata presso la Cancelleria del Tribunale del Riesame (e non presso la Procura, come sarebbe stato logico, essendo stata depositata l’istanza in Procura), dove apprendeva che le bobine non erano depositate, come di regola avviene, presso la suddetta Cancelleria; che solo il giorno 26 luglio, data dell’udienza, l’avv. Ceretta si è presentata in Procura, dove le è stato detto di tornare alle ore 12,00 per concordare tempi e modi dell’ascolto.

E’ di tutta evidenza, quindi, che la difesa – tenuto conto degli strettissimi tempi in cui si deve svolgere l’udienza davanti al Tribunale del Riesame – si è ripresentata con ingiustificato ritardo in Procura (solo la mattina dell’udienza) per ascoltare le conversazioni il cui ascolto era stato autorizzato fin dal 22 luglio, e quindi, data l’intempestività della suddetta presentazione nell’ufficio della Procura, legittimamente il Tribunale del Riesame ha respinto la richiesta di un rinvio dell’udienza.

Nel merito, si deve concordare con la difesa quando afferma che la mera qualità di uomo d’onore non è sufficiente ad integrare un grave quadro indiziario in ordine al delitto di cui all’art. 416-bis c.p.p., ma dalla motivazione dell’ordinanza impugnata si evincono una pluralità di elementi a carico di A. che presentano indubbi caratteri di gravità, perchè appaiono idonei – in assenza di spiegazioni o giustificazioni da parte dell’indagato o di altri elementi che li contraddicano – a dimostrare una partecipazione del predetto alle attività dell’associazione.

Nell’ordinanza impugnata, con motivazione ineccepibile sotto l’aspetto logico e giuridico, è stata desunta la partecipazione di A.G. all’associazione di stampo mafioso, descritta nel capo di imputazione, da una conversazione intercettata il 28.10.2008 tra due esponenti di rilievo dell’associazione, nella quale i due avevano parlato del prossimo conferimento del "quartino" a diversi soggetti, tra i quali anche all’ A.; dalla conferma che questa "dote" fosse stata effettivamente conferita, per il fatto che tre giorni dopo vi era stata una riunione presso l’officina di P. G. tra esponenti dell’associazione, seguita da festeggiamenti del gruppo in un ristorante, nei pressi del quale era stata notata l’auto in uso ad A.; da altra conversazione tra due esponenti dell’associazione, intercettata in data 12.11.2008, dalla quale emergeva che A. aveva partecipato a un summit in Calabria in cui si dovevano discutere questioni importanti per l’associazione;

dalla conversazione del 14.3.2009, sempre tra gli stessi esponenti dell’associazione, nella quale si parla dell’affiliazione di "due picciotti" che sarebbe avvenuta il giorno dopo, e il 15.3.2009, in un servizio di o.c.p. svoltosi davanti all’officina di P.P., sono stati notati esponenti dell’associazione, tra i quali vi era anche A.G.D.. Nell’ordinanza impugnata non si attribuisce alcuna dichiarazione ad A., ma si constata che – avvalendosi della facoltà di non rispondere – non ha neppure negato di conoscere coimputatì, originari come lui di Grotteria. La motivazione dell’ordinanza appare esente da vizi anche nella parte in cui ha affermato che, apparendo non rescisso il legame dell’indagato con l’associazione, non si rinvenivano elementi capaci di contrastare la presunzione dell’esistenza delle esigenze cautelari e dell’adeguatezza alla loro tutela della sola misura della custodia in carcere.

Gli argomenti utilizzati dal ricorrente, per dimostrare l’insussistenza di esigenze cautelari, si risolvono nell’asserzione che l’ A. non ha partecipato all’associazione criminosa di cui trattasi. In presenza però di gravi indizi della partecipazione del predetto all’associazione, non consentono di superare la presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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