Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 08-02-2011) 08-03-2011, n. 9114 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza in data 18.8.2010, il Tribunale di Sorveglianza di Trento revocava, nei confronti di T.P., la detenzione domiciliare allo stesso concessa in data 7.6.2010 per i seguenti motivi.

Nel marzo 2010 T.P., allora agli arresti domiciliari per un procedimento in corso a Bari per tentato omicidio, aveva chiesto misure alternative alla detenzione, presentando una dichiarazione di D.M.C., titolare di impresa agricola in (OMISSIS), con la quale la predetta dava la disponibilità ad assumere il T. come bracciante, con orario dalle ore 10 alle ore 17 dal lunedì al venerdì di ogni settimana. In data 6 e 7 maggio 2010 T. aveva anche chiesto, ottenendola, l’autorizzazione sia al GIP di Bari che al Magistrato di Sorveglianza di Trento ad allontanarsi dal luogo degli arresti domiciliari per svolgere la suddetta attività lavorativa. In data 7.6.2010 il Tribunale di Sorveglianza aveva ammesso il T. alla detenzione domiciliare, prescrivendo la suddetta attività lavorativa. In data 1.7.2010 i Carabinieri di Rabbi avevano comunicato, nell’ambito di altro procedimento avviato a seguito di istanza di liberazione anticipata, che il T. non prestava alcuna attività lavorativa e successivamente, in data 13.7.2010, avevano informato che l’attività non era iniziata, poichè la D. era in attesa di avere notizie precise sulla disponibilità del T. a lavorare anche nel periodo invernale.

Il Tribunale di Sorveglianza poneva alla base della revoca il fatto che il T. si era subdolamente proposto, per chiedere misure alternative alla detenzione, come persona già lavorativamente occupata, mentre in realtà non aveva ancora accettato la proposta di lavoro, e si era volontariamente sottratto alla prescrizione di lavorare impostagli dal Tribunale di Sorveglianza. Riteneva, inoltre, che la nuova offerta della D. di assumerlo fino al 31.12.2010, con un impegno lavorativo di sole quindici ore alla settimana, non fosse compatibile con l’impegno lavorativo da esigere a fini rieducativi.

Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso il difensore di T.P., chiedendone l’annullamento per difetto di motivazione e per erronea applicazione dell’art. 51 ter ord. pen. e art. 47 ter ord. pen., comma 6 il Tribunale di Sorveglianza non aveva motivato sulla incidenza che i fatti contestati avrebbero avuto sulla perdurante idoneità del beneficio concesso a perseguire i fini rieducativi ad esso connessi. Non si era tenuto conto che il T. non aveva posto in essere alcun comportamento per ritardare l’inizio dell’attività lavorativa, in effetti non iniziata per cause indipendenti dalla sua volontà. L’attività lavorativa non aveva avuto inizio, oltre che per le condizioni poste dalla D., per lo stato di salute del T., documentato in atti e rappresentato al Tribunale di Sorveglianza che, sul punto, non aveva motivato.

Il Tribunale di Sorveglianza, inoltre, non aveva considerato che la detenzione domiciliare non è subordinata all’esistenza di un’attività di lavoro e aveva omesso qualsiasi giudizio sul comportamento generale e complessivo dell’interessato, sulla sua personalità e sulla prognosi formulabile.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Il Tribunale di Sorveglianza, con analitica motivazione immune da vizi logico-giuridici, ha ritenuto che la condotta del condannato fosse incompatibile con i presupposti e le finalità del beneficio penitenziario, revocando di conseguenza la misura della detenzione domiciliare, ottenuta con l’artificio di presentarsi come persona già dedita al lavoro, che non è stato svolto neppure quando gli era stato prescritto con il provvedimento in data 7.6.2010, con il quale il Tribunale di Sorveglianza l’aveva ammesso alla misura della detenzione domiciliare. A sostegno del ricorso sono stati presentati motivi in fatto che non possono essere presi in esame in questa sede e i denunciati vizi di motivazione non appaiono sussistenti per le ragioni sopra indicate. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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